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Cancro al polmone. Perché in Italia non si vuole fare lo screening?

di Deanna Gatta

01 GIU - Gentile Direttore,
il Ministero della Salute ha organizzato, nello scorso mese di gennaio, un Workshop sullo Screening per il Cancro del Polmone con l'obiettivo, sulla base delle nuove evidenze di efficacia dello screening, di definirne un percorso di valutazione sanitorio-tecnologica (HTA), funzionale alla sua implementazione a livello nazionale.
 
Alcase Italia, che ha partecipato come associazione di pazienti portando il proprio contributo, nei mesi di marzo ed aprile ha più volte sollecitato il Ministero per avere aggiornamenti sull'iter dei lavori.
 
Il 24 aprile 2019 la segreteria del sottosegretario Armando Bartolazzi ha inviato, predisposto dalla Direzione Generale competente in materia, il documento sullo stato dell’arte della proposta di HTA per lo screening del polmone (vedi allegato).
 
Il 2 maggio, dopo aver attentamente valutato i vari aspetti del programma, Alcase Italia ha segnalato, direttamente al sottosegretario Bartolazzi, che, nel documento, viene di fatto elusa l’assoluta necessità di una rapida introduzione in Italia dello screening polmonare. Come chiaramente emerge dalle seguenti criticità:
- contrariamente al mandato del workshop di individuare in tutte le regioni italiane strutture in grado di portare avanti un percorso diagnostico con personale qualificato (che è formabile in una settimana, secondo Un respiro per la Vita del campus Biomedico di Roma), si prevede di avviare soli 4 progetti pilota regionali, che vedranno coinvolti solo 1500 soggetti, per soli due anni inseriti in una rete di biobanche per la raccolta di campioni biologici da stoccare e con la possibilità di sospensione del reclutamento;
 
- il programma stilato non corrisponde ad un programma di screening nazionale, seppur graduale, ma piuttosto ad una sorta di ennesimo studio sullo screening, oggettivamente inutile, essendo l’efficacia salvavita dello screening un dato già accettato dalla comunità scientifica internazionale sulla base delle prove fornite dal National Lung Screening Trial americano e dallo studio Nelson europeo (per non parlare delle recenti conferme pervenute da studi italiani). L’ipotesi che tale iniziativa sia riconducibile a una forma mascherata di ennesimo studio sullo screening è avvalorata, non solo dal numero limitatissimo di persone che si intendono sottoporre a screening e che potranno (a discrezione di chi?) essere ancora meno numerose del target previsto di 1500 individui, ma anche dall’accenno alle Biobanche;
 
- la costituzione di un “Gruppo di coordinamento strategico” e di un “Advisory board”, sono di fatto elementi ostativi e dilatori e rappresentano il rischio concreto di creare delle arene di dibattito perpetuo, paralizzato dagli immancabili conflitti di interesse;
 
- i criteri di scelta delle 4 regioni, (di per sé soluzione non garantista dei diritti di tutti i cittadini) non sono, tra l’altro, esplicitati in maniera chiara, trasparente e condivisa, sollevando in tal modo insormontabili problemi etici. Come, infatti, le fortunate regioni saranno selezionate?
a) sulla base della popolazione residente (cioè Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia) e nel qual caso come verranno individuate le struttura d’eccellenza?
b) sulla base del numero di strutture di eccellenza presenti sul territorio?
c) sulla base della disponibilità dei Presidenti di regione?
 
In definitiva, si ravvisa nel documento ministeriale una chiara strategia procrastinante e una metodica di lavoro che tanto richiama quella degli storici “azzecca-garbugli” di manzoniana memoria. Si riconoscono i ben conosciuti percorsi farraginosi e contorti, volti unicamente a mantenere ben saldo il sistema di spartizioni e di interessi privati nella cosa pubblica. Come è ben evidente in un documento, come questo, fatto di commissioni, comitati, gruppi, sottogruppi di coordinamento, esperti, processi di valutazione e controllo…
 
Tutto il mondo, oltre gli Stati Uniti dove da anni lo screening - gratuito e aperto a tutti i soggetti a rischio - è già una realtà, si sta attivando per combattere il “big killer” mediante la prevenzione secondaria: Cina, Canada, Giappone ed ovviamente l’Europa. Anche la Gran Bretagna si è avviato un progetto di screening mobile del carcinoma polmonare mettendo in campo dei camper, unità mobili dotate di apparecchiature per la tomografia computerizzata (TC), con i quali conta di raggiungere, in un arco di 4 anni, più di 600mila persone tra i 55 e 74 anni.
 
Perché il nostro Paese deve essere sempre l’ultimo fra gli ultimi?! Alcase Italia desidera offrire, senza chiedere nulla, né contributi, né rimborsi di qualsiasi tipo, la conoscenza e l’impegno dei suoi medici per veder avverarsi quello che è il suo desiderio (ma dovrebbe essere di tutti!) di salvare migliaia di vite umane. In pratica, chiede a chi di dovere di rivedere la procedura prevista, tutt’altro che efficace ed idonea alla risoluzione di quella che é una vera e propria emergenza sanitaria, da affrontare senza colpevoli ritardi.
 
In conclusione Alcase Italia sollecita a superare l’onnipotenza della burocrazia, una congrega che soprattutto alimenta se stessa e che tende ad impedire o ritardare qualsiasi cosa e che si rifiutino con coraggio percorsi, approcci, suggerimenti e provvedimenti che fanno gli interessi di un piccolo gruppo di autoreferenziati, ignorando quelli del 99% della popolazione
 
Deanna Gatta
Presidente Alcase Italia

01 giugno 2019
© Riproduzione riservata

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