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QS Edizioni - martedì 19 marzo 2024

Lavoro e Professioni

Per i medici e i dirigenti del Ssn il prossimo contratto deve essere value based.  Ecco come

di Tiziana Frittelli
immagine 25 novembre - Prima di tutto sarebbe necessaria una politica contrattuale, a livello nazionale, di valorizzazione della retribuzione di risultato dei dirigenti, oggi quasi inesistente, per una migliore leva da utilizzare come sistema premiante e per garantire ulteriormente la qualità del sistema, schiacciato su livelli retributivi che non riescono a valorizzare e premiare adeguatamente il livello di impegno e capacity dei dirigenti. Ma non solo
Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 22 novembre, il CCNL dirigenza medica e sanitaria 2016-2018, siglato a luglio scorso. Il contratto (sicuramente il migliore che, date le condizioni, si potesse ottenere), oltre a consentire un incremento retributivo dopo quasi 10 anni di stallo nelle retribuzioni, contiene buone soluzioni sul versante della tutela dei nuovi assunti, delle donne in maternità, dei medici sottoposti a disagio lavorativo. Tuttavia, credo sia necessario interrogarsi sulle esigenze che dovranno essere affrontate nella prossima tornata contrattuale 2019-2021, alcune di carattere organizzativo, altre di carattere economico.
 
L’atto che più di ogni altro ha condizionato l’organizzazione sanitaria italiana è, senza dubbio,  riconducibile al CCNL  della dirigenza medica e sanitaria del giugno 2000, elaborato in un momento storico in cui l’emergenza economico-finanziaria all’interno del Sistema sanitario nazionale non si era ancora manifestata in tutta la sua rilevanza (la prima legislazione in materia di piano di rientro è del dicembre 2004 con la legge n. 311/2004), contestualmente alla prima forma di federalismo fiscale per il finanziamento del SSN (D.Lgs n. 56/2000), subito dopo la riforma del 1999 del D.Lgs n. 502/1992.
 
Il CCNL del 2000 ha scandito la distinzione tra incarichi professionali e gestionali, rimarcando, con riguardo a questi ultimi, la distinzione tra strutture complesse, semplici dipartimentali e semplici, standardizzando, in tal modo, una organizzazione per silos che tuttora connota, in larga parte, la realtà sanitaria italiana, nonostante, nel decennio successivo all’approvazione di quel contratto, il sistema sanitario abbia dovuto elaborare nuovi modelli organizzativi sotto la pressione dell’esigenza di sostenibilità, da un lato, e del mutato quadro demografico ed epidemiologico, dall’altro.
 
Una logica organizzativa che, pur spinta da legittime istanze di valorizzazione, da un lato, ha talvolta comportato un incremento di costi (ad esempio attraverso l’assegnazione di personale dedicato, anche dove non fosse rispondente ad una logica di ottimizzazione frazionare le assegnazioni di risorse) e, dall’altro, ha favorito una frammentazione del percorso diagnostico-terapeutico, talora anche a scapito dell’appropriatezza e qualità degli esiti, con compromissione di una compiuta e strutturata “presa in carico” del paziente.
 
Inoltre, tale assetto organizzativo-dopo l’introduzione dei  criteri adottati dal Comitato Lea nel 2012 (una struttura complessa ogni 17,5 p.l.), che ha necessariamente comportato una consistente riduzione del numero di strutture complesse in tutta Italia -  ha spesso prodotto inutili frizioni all’interno delle aziende (tra management e professionisti e/o tra professionisti) e frustrazioni in chi, aspirando ad una struttura complessa,  si è visto assegnare una struttura dipartimentale,  vivendo tale modifica quale grave diminutio professionale, nonostante il medesimo grado di autonomia caratterizzante l’incarico di struttura complessa e quello di struttura dipartimentale.
 
Il CCNL approvato dal Cdm il 22 novembre 2019 non ha prodotto innovazioni a questo schema, che è rimasto sostanzialmente immutato, a parte il restyling   consistente nella introduzione dell’incarico c.d. di “altissima professionalità” e nella espressa previsione dell’ obbligo di conferire un incarico a tutti i dirigenti  (principio, questo, che, in realtà, avrebbe dovuto ritenersi implicitamente scontato anche nell’ambito degli assetti derivanti dal precedente contratto, ancorché , in realtà, quasi mai applicato).  
 
Quello che manca è una decisa configurazione degli incarichi per processi, per cui anche gli incarichi professionali si fermano sul perimetro delle strutture, al più a valenza dipartimentale, ma pur sempre collocati funzionalmente all’interno di una struttura. Ne è conferma il fatto che il contratto individuale di lavoro deve riportare la sede e l’unità operativa dell’attività lavorativa, quasi volesse eliminare in radice la possibilità di utilizzo condiviso di risorse, funzionale ad una organizzazione per processi.  
 
Ad esempio, chi governa una rete clinica, con quali strumenti organizzativi può farlo?  Con quali assetti contrattuali, tutti fondati sulla logica perimetrale della “struttura” specialistica, si può presidiare, con autonomia e connessa responsabilità, il governo di un complesso percorso sviluppato trasversalmente in termini di processo? 
 
Altro problema riguarda l’entità (bassa) delle retribuzioni (così come per tutte le professioni sanitarie). Non è facile trovare finanziamenti aggiuntivi, ma un percorso (molti pensano giustamente alla defiscalizzazione di alcune quote di retribuzione) va individuato.
 
A fronte del grave impoverimento del capitale umano della sanità pubblica, dovuto sia alla carenza in alcune discipline per sottodimensionata programmazione nazionale delle borse di specializzazione (sono stati presentati emendamenti di maggioranza al disegno di legge di bilancio per l’incremento di 2000 borse di specializzazione), sia per le basse retribuzioni che stanno favorendo una progressiva “migrazione” verso le strutture private, in grado di assicurare livelli stipendiali più alti ai migliori (dopo onerosi investimenti in formazione a carico delle strutture pubbliche), il testo della manovra 2020 non registra, allo stato, risorse per il nuovo contratto; tuttavia, sono stati presentati emendamenti di maggioranza sulla RIA che potrebbero consentire di incrementare i Fondi contrattuali a disposizione della contrattazione integrativa.
 
Le retribuzioni dei nostri dirigenti medici e sanitari sono tra le più basse d’Europa, peraltro bloccate per quasi 10 anni e con nuove scarsissime risorse a disposizione del contratto appena approvato, che ha deciso di convogliarle in maniera preponderante sullo stipendio tabellare e sulla retribuzione di posizione/indennità.
 
Dopo il conglobamento della retribuzione di risultato nelle voci base della retribuzione, effettuato con il CCNL 2005, che ha notevolmente abbassato la capienza dei Fondi di risultato, la nuova ipotesi di CCNL prevede, altresì, la possibilità di spostamento fino al 30% del fondo di risultato a vantaggio del fondo per la retribuzione degli incarichi.
 
Inoltre, a detrimento delle risorse destinate a remunerare il risultato, si prevede che l’indennità per le sostituzioni nel nuovo CCNL venga finanziata proprio con il fondo per la retribuzione di risultato.
 
Sarebbe necessaria una politica contrattuale, a livello nazionale, di valorizzazione della retribuzione di risultato dei dirigenti, oggi, come visto, quasi inesistente, per una migliore leva da utilizzare come sistema premiante e per garantire ulteriormente la qualità del sistema, schiacciato su livelli retributivi che non riescono a valorizzare e premiare adeguatamente il livello di impegno e capacity dei dirigenti. La logica, comprensibile e quasi necessitata dopo 10 anni di attesa, e’ stata che, in presenza di risorse limitate da destinare alla contrattazione, si dovesse puntare ad incrementi il piu’ possibili generalizzati e fissi, indipendenti dai livelli di performance.
 
Una recente riflessione di Kpmg, Bocconi e Cerismas, avente ad oggetto “Nuova governance del SSN” rileva che “il fatto che gli incarichi gestionali siano remunerati di più degli incarichi professionali, contraddice la natura di aziende “brain intensive” come sono quelle sanitarie. Inoltre, l’eccessiva uniformità dell’indennità di posizione nelle aziende sanitarie pubbliche, impedisce la competitività rispetto alle aziende sanitarie private, che sono in grado di attrarre tutte le migliori professionalità, soprattutto nei profili per i quali mancano candidati.”
 
Inoltre, rileva lo studio, “le migliori risorse professionali sono attratte e tendono a spostarsi nei territori con i sistemi sanitari più forti e nelle aree più urbanizzate del paese, contribuendo alla crescita dei differenziali di capacity, di competence e quindi di servizio, sia nel divario tra aree urbane e rurali, sia tra Nord Sud.” La misura individuata sarebbe di “Permettere alle regioni di istituire e promuovere sistemi di incentivi economici (dedicando una quota del monte salari), professionali (rapidità di carriera) e simbolici per la mobilità da aree urbane a rurali e inter-regionale dei clinici, del middle management e del top management. La mobilità può essere permanente, a tempo determinato o costruita con logiche di gemellaggio/rotazione e quindi con presenze programmate (es. un giorno la settimana, o una settimana al mese) o altra soluzione ritenuta funzionale ad es. per arricchire una equipe chirurgica di maggiori competenze”.  
 
Al riguardo, le Regioni, in sede di formulazione del Patto per la Salute, hanno proposto di prevedere, per il periodo di vigenza del presente patto, che le Regioni in equilibrio economico o che abbiano migliorato il loro conto economico nei 3 anni precedenti, e che abbiano garantito i livelli essenziali di assistenza e avviato con atti di Consiglio regionale o di Giunta il processo di adeguamento alle disposizioni di cui al DM 2 aprile 2015, n. 70, possano mettere a disposizione delle aziende ed enti del SSR, anche con finalità perequative relativamente alle consistenze medie dei fondi, un ammontare di risorse dall'1% al 3%, aggiuntivo rispetto alle vigenti previsioni contrattuali, calcolato sul monte salari regionale al netto degli oneri riflessi, rilevato nell’anno 2018, allo scopo di:
- valorizzare le professionalità dei dirigenti medici, veterinari e sanitari e degli operatori delle professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione del comparto sulla base di criteri definiti da linee di indirizzo regionali;
- remunerare i dirigenti medici, veterinari e sanitari che effettuano attività di lavoro per guardia medica e/o in pronta disponibilità con una adeguata maggiorazione dei compensi e delle indennità previste dai contratti di lavoro;
- riconoscere ai dirigenti medici, veterinari e sanitari e agli operatori delle professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione del comparto che operano in zone disagiate e in servizi disagiati specifiche indennità volte a ristorare il relativo disagio, sulla base di linee di indirizzo regionali che andranno a definire anche le zone e i servizi disagiati in parola, considerando tale previsione alternativa alle risorse aggiuntive regionali già previste dai contratti collettivi nazionali.
 
Il Mef  ha presentato proposta alternativa che prevede che le Regioni in equilibrio economico, che hanno garantito i livelli essenziali di assistenza e attuato, con atti di Consiglio regionale o di Giunta, il processo di adeguamento alle disposizioni di cui al DM 2 aprile 2015, n. 70,  ferma restando la soglia di spesa per il personale fissata normativamente, possano, al solo fine di perseguire la graduale perequazione del trattamento accessorio fra aziende ed enti del servizio sanitario delle predette regioni – per valorizzare le professionalità dei dirigenti medici, veterinari e sanitari e degli
operatori delle professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione del comparto sulla base di criteri definiti da linee di indirizzo regionali, anche tenendo conto delle attività svolte in zone disagiate (aree interne) - destinare alla contrattazione integrativa risorse aggiuntive, nel limite del 2 per cento del monte salari regionale al netto degli
oneri riflessi, rilevato nell’anno 2018, da definirsi nell’ambito del tavolo di verifica per gli adempimenti.
 
In coerenza con quanto sostenuto in sede di Patto per la Salute, tra gli emendamenti richiesti dalle Regioni al disegno di legge di Bilancio all’esame della Commissione Bilancio del Senato, c’è la richiesta di Risorse aggiuntive regionali (RAR). 
 
La modifica si propone di consentire alle Regioni in equilibrio economico di autorizzare l’incremento, da parte delle aziende ed enti del proprio Sistema sanitario regionale, dei fondi premialità e fasce del personale del comparto sanità e dei fondi di risultato del personale dirigenziale, in applicazione delle clausole dei relativi Ccnl che prevedono tale incremento in misura percentuale del monte salari, in presenza di avanzi di amministrazione e pareggio di bilancio ovvero della realizzazione di programmi, correlati ad incrementi quali-quantitativi di attività del personale, finalizzati al pareggio di bilancio entro un termine prestabilito.
 
Tale politica, sicuramente suggestiva e rispondente alla giusta e necessitata logica della sostenibilità, rischia tuttavia di squilibrare ulteriormente alcune realtà a danno di altre, rendendo sicuramente preferibile, almeno con riguardo alla valorizzazione delle risorse destinate alla remunerazione del risultato e della qualità, la prefigurazione di una misura strutturale e generalizzata per tutta l’area, che prescinda dalle condizioni di equilibrio degli aggregati economici regionali di base: correlare il finanziamento della parte retributiva concernente il risultato a detti aggregati rischia di aggravare le distanze tra servizi regionali in termini di attrattività e performance (uno dei problemi che si dovrà vagliare prioritariamente in ambito di regionalismo differenziato).
 
Al fine di superare il problema della carenza di medici, soprattutto in alcune discipline destinate all’emergenza, sarebbe forse utile, oltre alle altre misure strutturali a cui si è già fatto cenno, valutare la esigenza, in sede di implementazione dei Contratti collettivi, di valorizzare, già in termini di graduazione e differenziazione della stessa retribuzione di posizione, quei fattori organizzativi oggettivamente implicanti una posizione di maggiore esposizione allo stress lavorativo e alla responsabilità medico legale afferente.
 
Al riguardo, di recente la Simeu ha elaborato una serie di proposte, tra le quali la richiesta di una maggiore  valorizzazione economica del lavoro in Emergenza Urgenza, attraverso provvedimenti che tengano conto  anche dell’impossibilità dei medici di Emergenza e Urgenza di svolgere attività libero professionale, differentemente dalla massima parte dei colleghi, allo scopo non solo di premiare un’attività oggettivamente difficile e faticosa, ma anche di arrestare l’attuale fuga dai Pronto Soccorso di professionisti preziosi e difficilmente sostituibili.
 
Federsanità, consapevole della centralità di queste tematiche per la salvaguardia del Sistema Salute, ha organizzato un convegno dedicato a L’impatto organizzativo sui percorsi assistenziali del CCNL della dirigenza e dell’accordo dei MMG. Quali ipotesi per le nuove tornate contrattuali?”, che si terrà nell’ambito del Forum Risk Management, il 28 novembre, alle ore 9, a Firenze, nel corso del quale verranno resi noti i risultati di una survey tra direttori generali su queste tematiche.
 
Tiziana Frittelli
Presidente Federsanità
25 novembre 2019
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