La sanità e il PD, il dibattito. Carnevali: “Abbiamo perso le elezioni ma siamo ancora un interlocutore necessario per il mondo della sanità”

La sanità e il PD, il dibattito. Carnevali: “Abbiamo perso le elezioni ma siamo ancora un interlocutore necessario per il mondo della sanità”

La sanità e il PD, il dibattito. Carnevali: “Abbiamo perso le elezioni ma siamo ancora un interlocutore necessario per il mondo della sanità”
La sconfitta del PD è ormai un dato acquisito, ma sarebbe ingeneroso non riconoscere lo sforzo e la spinta riformatrice che il PD ha impresso al paese in questa legislatura, a partire dalla sanità. Il problema vero rimane il finanziamento del Fondo Sanitario, che è in vero sempre aumentato ma non basta per garantire l'attuazione dei nuovi Lea e dare risposte alla carenza del personale sanitario. L’impegno del PD non mancherà per l’avvio di un confronto politico serio sul futuro del Ssn

Da sempre la sanità è un tema che in campagna elettorale tende a sparire dai focal point delle agende politiche. Anche in questa tornata elettorale, in assenza di dibattito, i temi della salute e della sanità sono stati affrontati, a livello nazionale, in maniera evanescente, purtroppo sopraffatti dalla travolgente ventata di temi come l’immigrazione e l’insofferenza per il cosiddetto establishment, temi gestiti con cinismo e spregiudicatezza dalle opposizioni.
 
Nonostante i segnali di un’economia in ripresa, non si è riusciti ad invertire totalmente la rotta, distribuendone il dividendo sociale. Anzi, il Paese ha subito una lacerazione, come ben mette in evidenza il Censis nel suo ultimo rapporto, che ha fatto emergere la paura ed il rancore, accentuando ancora di più le diseguaglianze sociali ed economiche. Ed è proprio da qui che il Partito Democratico deve ripartire, dopo aver analizzato a fondo (e lo sta continuando fare) la sconfitta elettorale e i motivi che l’hanno determinata. Però al contempo faccio fatica a comprendere le dure (a tratti astiose) analisi sulla incapacità o inattività del Partito Democratico su un ambito che in questi 5 anni ho seguito da vicino, in quanto componente della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati.
 
La sconfitta del PD è ormai un dato acquisito, ma sarebbe ingeneroso non riconoscere lo sforzo e la spinta riformatrice che il PD ha impresso al paese in questa legislatura, a partire dalla sanità. E sarebbe altresì una grande menzogna attribuire al PD la volontà di puntare ad una privatizzazione del SSN. La sostenibilità del SSN è un tema vero, e non di oggi, che investe tutti i paesi europei e che non può essere derubricato a puro esercizio teorico. Se è vero, come afferma anche il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva del Senato sul SSN, che la sostenibilità del sistema è prima tutto un problema culturale e politico allora la discussione deve necessariamente iniziare a fare davvero i conti con fenomeni come l'invecchiamento della popolazione, il conseguente aumento della domanda di servizi sanitari e assistenziali, l’aumento delle malattie croniche e l’utilizzo di farmaci e tecnologie sempre più innovative, senza prescindere dall’attuazione del cosiddetto Pilastro Sociale Europeo.
 
Probabilmente ha qualche ragione Federico Gelli quando sostiene che è mancata quella capacità di comunicare ai cittadini cosa è stato fatto in questi 5 anni. A mio parere sono state fatte molte cose: la riforma degli Ordini in sanità, consenso informato (biotestamento) e legge sulla responsabilità professionale: tre leggi fondamentali che andrebbero lette insieme perché fortemente intrecciate. Esse affrontano da punti di vista diversi ma convergenti, diverse questioni fondamentali per la Sanità di oggi in tutto il mondo, e questo indipendentemente dal tipo di organizzazione del sistema sanitario. Ricordo ancora la legge sul “dopo di noi” il varo dei nuovi Lea attesi da oltre 15 anni, le norme sui vaccini e l’approvazione del piano sanitario delle cronicità. Sono norme che però, nonostante la loro importanza, non hanno ancora avuto il tempo per manifestare la loro efficacia e dare piena visibilità ai loro effetti, forse per questo, più che per carenza di capacità comunicativa, hanno pesato poco.
 
Cosa non abbiamo potuto affrontare? La grande questione affrontata parzialmente per vincoli di bilancio è stata quella della non autosufficienza. Abbiamo comunque aumentato il fondo portandolo a 450 milioni e nella legge di stabilità di quest'anno c'è un primo riconoscimento della figura del caregiver.
 
Il problema vero rimane il finanziamento del Fondo Sanitario, che è in vero sempre aumentato (dai 109 miliardi del 2013 ai 113,4 di oggi) ma non basta per garantire l'attuazione dei nuovi Lea e dare risposte alla carenza del personale sanitario, situazione che particolarmente stressato il sistema. A mio avviso questa potrebbe essere una delle ragioni che hanno contribuito ad allontanare gli elettori dal PD.
 
Sul fronte dei lavoratori, dopo aver provveduto al rinnovo del contratto del comparto, abbiamo varato norme per assumere i vincitori di concorso ancora in lista d’attesa, per limitare il lavoro flessibile, per stabilizzare i precari e per permettere alle Regioni virtuose di avere meno vincoli per le assunzioni.
 
Ma evidentemente tutto questo non è bastato a convincere gli elettori italiani a riconfermare la fiducia al PD.
 
Adesso, concluse le analisi post voto, è bene spostare l’attenzione sulla formazione del nuovo governo e sulle politiche sanitarie che i partiti usciti vincitori vorranno mettere in campo. A prescindere dalle idee politiche o dai programmi credo che non si possa prescindere da alcuni temi e/o riflessioni che ognuno per le sue competenze e responsabilità dovrà intraprendere:
– Garantire in maniera uniforme i livelli essenziali di assistenza, puntando sul rilancio del Piano nazionale liste d'attesa in modo da poter esportare le migliori esperienze che hanno già dimostrato la loro efficacia sul campo;
 
– Dare finalmente applicazione concreta alle leggi di riforma approvate e completarne l’iter con la pubblicazione dei Decreti applicativi;
 
– Mettere mano a misure in grado di favorire una più efficace e mirata azione dello Stato centrale per superare le grandi diversità regionali e le più gravi inefficienze a danno dei cittadini, garantendo al contempo autonomia a quelle amministrazioni virtuose. Autonomia che però non deve essere prevaricante rispetto alla cornice normativa nazionale di cui lo Stato centrale deve continuare a rimanere l’unico garante. Altrimenti il rischio non è solo l’acuirsi delle diseguaglianze a livello territoriale, ma la tenuta stessa del sistema cosidetto “pubblico” a vantaggio di una sempre più paventata privatizzazione della sanità. E’ cosa risaputa che non in tutte le Regioni sono garantite le stesse prestazioni sanitarie, gli stessi farmaci, gli stessi servizi.
 
Disuguaglianze insostenibili, che danno vita a 21 sistemi sanitari regionali con differenze notevoli sia per quanto riguarda l'assistenza che gli esiti. Per non parlare dell’elevato numero di pazienti che si spostano da regione a regione per ricevere assistenza sanitaria. Bisognerà riprendere in mano il tentativo della riforma Costituzionale del dicembre 2016 che in maniera saggia, a mio avviso, intendeva ridare centralità e dignità alle politiche sociali (delle quali fanno parte la non autosufficienza, la disabilità, i servizi per le famiglie e la lotta alla povertà), riconoscendo una responsabilità statale di coordinamento attraverso norme generali e comuni e garantendo alle Regioni piena autonomia di programmazione e organizzazione dei servizi.
 
– Risolvere la questione del personale sanitario: Medici, ospedalieri e di famiglia, infermieri, intervenendo sulla formazione, sul ricambio generazionale, colmando il divario rispetto ai bisogni di una rete territoriale per la presa in carico dei pazienti cronici. Si stima che nei prossimi 5/8 anni, a causa dei pensionamenti, 14 milioni di cittadini italiani potrebbero rimanere senza un presidio medico. Bisogna azzerare lo squilibrio tra il numero dei laureati in medicina e gli accessi alle successive specializzazioni, comprese quelle di medicina generale, riducendo i tempi oggi troppo lunghi tra il conseguimento della laurea e l'esame di stato, valutando l'introduzione della laurea abilitante che consenta di svolgere l'Esame di stato subito dopo il suo conseguimento.
 
Ciò garantirebbe un numero adeguato di medici per il futuro e consentirebbe di bilanciare il numero di professionisti che andranno in pensione. Grazie all'impegno profuso in questi anni, ad oggi, siamo a quota 7400 borse di studio: 6.000 borse di studi all'anno di specializzazione (non era mai stato raggiunto un numero così alto di borse di specialità, quasi raddoppiato rispetto alle 3500 del 2013), a cui dobbiamo sommare le 900 borse di formazione in medicina generale messe a disposizione ogni anno dal Ministero della Salute. Per quanto riguarda gli Infermieri, il Piano Nazionale per la cronicità prevede un loro ruolo decisivo sia per l’empowerment del paziente che per la presa in carico anche attraverso la costituzione di ospedali di comunità e di reparti a gestione infermieristica.

– Dare finalmente attuazione in tutte le Regioni alle strutture territoriali dei Medici di Medicina Generale (AFT e UCCP) invertendo il rapporto, in alcune Regioni troppo sbilanciato, tra assistenza territoriale e assistenza ospedaliera. Si contribuirebbe così ad allentare la pressione sui Pronto Soccorso ospedalieri e sulle liste d’attesa. Sembra che vada in questa direzione, finalmente, anche la nuova Convenzione nazionale di imminente approvazione.
 
L’impegno del Partito Democratico non mancherà per l’avvio di un confronto politico serio sul futuro del SSN, consapevoli del fatto che non sarà a lungo in grado di sopportare ulteriori restrizioni finanziarie, pena un ulteriore peggioramento della risposta ai bisogni di salute dei cittadini, un indebolimento del suo carattere universalistico e un deterioramento delle condizioni di lavoro degli operatori.
 
On. Elena Carnevali (PD)

Elena Carnevali

28 Marzo 2018

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