La nuova bozza del Piano strategico operativo di preparazione e risposta ad una pandemia da patogeni a trasmissione respiratoria a maggiore potenziale pandemico 2025-2029, aggiornata al 18 agosto 2025, rappresenta un netto avanzamento rispetto alla versione precedente datata 23 luglio. Non si tratta più soltanto di un documento tecnico-strategico, ma di un vero e proprio testo normativo e operativo, pronto per essere approvato in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Cambia la dimensione del nuovo testo: oltre 300 pagine contro le 156 della bozza di luglio. Questa crescita non è solo quantitativa, ma qualitativa. Nel nuovo documento vengono infatti integrati tutti gli allegati tecnici – come le azioni nazionali, regionali, i criteri di riparto e i format per i cronoprogrammi – che nella versione precedente erano solo richiamati. Ma, soprattutto, viene inserito formalmente l’accordo Stato-Regioni che sancisce l’adozione del Piano e ne stabilisce le regole attuative. Si tratta del passaggio che trasforma una proposta programmatica in un piano esecutivo, completo di risorse, tempistiche, obblighi e responsabilità.
Un elemento di svolta è rappresentato dalla definizione del quadro finanziario. Per la prima volta, il Piano viene corredato da uno stanziamento economico pluriennale, previsto dalla Legge di Bilancio 2024: 50 milioni di euro nel 2025, 150 milioni nel 2026 e 300 milioni a decorrere dal 2027. I fondi saranno distribuiti tra le Regioni in base alla popolazione residente (con esclusione delle Regioni a statuto speciale, salvo la Sicilia che partecipa in misura ridotta). Il finanziamento non è generico: è vincolato all’attuazione delle azioni previste dal Piano, e le Regioni dovranno dimostrare, anno per anno, di aver pianificato, avviato e rendicontato le attività.
Questo introduce un meccanismo di monitoraggio e responsabilizzazione che mancava nella versione precedente. Le Regioni sono chiamate a trasmettere, entro 90 giorni dalla firma dell’accordo, un cronoprogramma dettagliato che indichi come intendono attuare le azioni minime previste a livello territoriale. Una seconda scadenza è fissata al 31 dicembre 2025, data entro la quale dovrà essere inviato un programma più ampio, comprensivo anche di eventuali azioni aggiuntive. Per ogni anno successivo, le Regioni dovranno inviare una relazione tecnica e finanziaria, che sarà valutata da un apposito Comitato di Coordinamento nazionale.
Il Comitato, istituito presso il Ministero della Salute, avrà un ruolo centrale. Sarà composto da rappresentanti del Ministero stesso, delle Regioni, dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Agenas. Il suo compito sarà quello di valutare la coerenza dei piani regionali e delle relazioni annuali, fornendo pareri tecnici che diventeranno vincolanti ai fini dell’erogazione dei fondi. In altre parole, si introduce un sistema premiale basato su evidenze e risultati, con l’obiettivo di evitare che le risorse stanziate si disperdano in attività non coerenti con la strategia nazionale.
Un altro aspetto sostanziale riguarda il potenziamento degli organici. Il Ministero della Salute si impegna formalmente, entro 90 giorni dalla firma dell’accordo, a presentare una proposta normativa per superare i limiti attuali alle assunzioni nel Servizio sanitario, almeno per quanto riguarda i Dipartimenti di Prevenzione, ritenuti centrali per affrontare una futura pandemia. Contestualmente, si prevede anche la realizzazione di una piattaforma informatica nazionale per il monitoraggio dell’attuazione del Piano, capace di tracciare in tempo reale il livello di preparazione di ciascun territorio.
Anche sul piano tecnico, il testo del 18 agosto presenta un arricchimento rispetto alla versione di luglio. Le sezioni sulle fasi operative, sulla gestione dei segnali di allerta e sugli scenari di rischio vengono estese e dettagliate. Viene introdotta, ad esempio, una nuova tabella che sintetizza i tipi di rischio, le fonti informative, le reti coinvolte e le azioni previste per ciascuna fase (prevenzione, allerta, contenimento, controllo, recupero). Si amplia anche l’articolazione delle azioni regionali, che nella nuova versione sono codificate puntualmente e collegate agli obiettivi da raggiungere. Questa struttura consente una pianificazione più uniforme tra le Regioni e facilita il lavoro di monitoraggio da parte del Ministero.
Il piano si articola in diverse fasi, ciascuna pensata per guidare in modo ordinato la risposta del sistema sanitario di fronte a una minaccia epidemica, partendo dalla prevenzione fino alla gestione della fase post-critica. Ogni fase è legata a una determinata situazione epidemiologica e prevede azioni specifiche per garantire la massima efficacia nella tutela della salute pubblica.
Tutto parte dalla fase di prevenzione e preparazione, che corrisponde al periodo in cui non si rileva alcuna circolazione interumana di agenti patogeni a trasmissione respiratoria con potenziale pandemico. In questo momento, il sistema sanitario lavora “dietro le quinte”: si rafforzano le capacità di risposta, si aggiornano i piani, si formano gli operatori, e si monitora costantemente il panorama internazionale per individuare eventuali segnali di allarme. È una fase di vigilanza strategica e pianificazione, volta a non farsi trovare impreparati.
Quando si manifesta un primo segnale di rischio, si entra nella fase di allerta. In questa fase il sistema si attiva con maggiore intensità: ci si prepara concretamente alla possibilità di rilevare casi sul territorio nazionale. Anche se il contagio non è ancora presente, si potenziano le attività di sorveglianza e le misure di risposta sono pronte a scattare.
Se viene confermato un primo caso sul territorio, inizia la fase di contenimento. L’obiettivo, in questa fase, è chiaro: fermare sul nascere la trasmissione del virus, contenendo il focolaio e impedendo che si espanda. Si punta a ridurre il cosiddetto “numero di riproduzione” (R) al di sotto di 1, cioè far sì che ogni persona infetta contagi meno di un’altra, così da spegnere la catena epidemica. Le misure vengono applicate solo nelle aree coinvolte, mentre i territori non interessati restano in stato di allerta.
Quando il contenimento localizzato non è più sufficiente, si passa alla fase di controllo, che si divide in due approcci: soppressione e mitigazione. Con la soppressione, si cerca ancora di ridurre drasticamente la trasmissione su scala nazionale, mantenendo l’R sotto 1. Lo scopo è duplice: proteggere le persone più vulnerabili e alleggerire la pressione su ospedali e servizi essenziali. La mitigazione, invece, entra in gioco quando sopprimere la diffusione non è più possibile o le misure necessarie diventano troppo pesanti da sostenere nel tempo. In questo caso si mira a ridurre almeno l’impatto dell’epidemia, tenendo l’R vicino a 1 e limitando i danni al sistema sanitario e alla società nel suo complesso. Qui, oltre agli aspetti strettamente clinici, si valutano anche le conseguenze psicologiche, economiche e sociali: ad esempio, l’accesso alle cure per i malati cronici, la salute mentale della popolazione, o l’impatto sulla scuola.
Quando finalmente i casi, i ricoveri e i decessi iniziano a calare in modo significativo, si passa alla fase di recupero. È il momento in cui si può allentare progressivamente la risposta emergenziale e tornare a una gestione ordinaria della malattia, pur mantenendo attive alcune misure di controllo e monitoraggio per evitare ricadute. L’assistenza sanitaria torna a funzionare normalmente, ma con la consapevolezza di dover mantenere una certa prontezza.
Accanto a queste fasi operative, il piano introduce un sistema per valutare il rischio epidemico, che si basa su tre elementi fondamentali: la probabilità che un evento avvenga, il suo impatto sul sistema sanitario, e la resilienza del territorio, cioè la sua capacità di reagire. La probabilità di diffusione si misura non solo con i modelli matematici (come l’R), ma anche osservando l’andamento dei casi, dei ricoveri e dei focolai. L’impatto si valuta guardando alla pressione sugli ospedali, in particolare sui posti letto e sulle terapie intensive, soprattutto nelle fasce di popolazione più fragili. Infine, la resilienza viene stimata attraverso indicatori pratici come la velocità di notifica dei casi, la capacità di tracciare i contatti e la disponibilità di risorse umane. Si considerano anche proiezioni a breve termine sui possibili sviluppi dei ricoveri.
La bozza del 23 luglio si limitava a tracciare una visione di insieme e a stabilire i princìpi guida. Con la versione di agosto, quel disegno viene completato con gli strumenti giuridici, amministrativi e finanziari per trasformare le strategie in atti concreti. Si passa dalla “preparazione alla preparazione” – come spesso accade nei documenti di sanità pubblica – all’attuazione effettiva, con scadenze, verifiche e sanzioni (come la perdita dei fondi) in caso di inadempienza.
In sintesi, il Piano pandemico 2025-2029, nella sua versione aggiornata, si propone non solo come una risposta all’esperienza Covid, ma come un modello strutturale di governance per le future minacce sanitarie. Con l’integrazione dell’accordo Stato-Regioni, la definizione dei fondi, la responsabilizzazione delle Regioni e l’impegno del Ministero per le necessarie riforme, il testo appare oggi maturo per l’approvazione definitiva.
Giovanni Rodriquez