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Viaggio nelle professioni sanitarie. I Tecnici della riabilitazione psichiatrica, intervista alla presidente Roberta Famulari

di Lorenzo Proia

“Dobbiamo essere messi nelle condizioni di poter esercitare in seno alla comunità, affiancando utenti e famiglie, la grande criticità è rappresentata dal fatto che ad oggi siamo molto sottodimensionati nell’organico della rete dei servizi di salute mentale. Il TeRP, contrariamente alla sua vocazione e alle sue potenzialità, viene impiegato prevalentemente in strutture di ricovero a carattere residenziale, questo è solo uno dei diversi setting di cura, i TeRP dovrebbero operare nei CSM”

27 MAG - Proseguiamo il nostro viaggio tra le 19 professioni sanitarie del “maxi-albo” TSRM e PSTRP con i Tecnici della riabilitazione psichiatrica (TeRP), intervistando la presidente Roberta Famulari. 3052 gli iscritti agli albi, una figura che non trova omologhi nel resto d’Europa e che nasce dalla 180 del 1978.

Presidente, ci vuole delineare la storia del Tecnico della riabilitazione psichiatrica e il suo profilo e qual è il vostro ruolo dopo la riforma della legge 180 del 1978?
La nostra professione è più giovane rispetto ad altre, nel senso che noi nasciamo grazie e a seguito della legge 180/1978 che sancisce la chiusura degli ospedali psichiatrici e dà l’impulso ad un’importante cambiamento al livello dell’organizzazione dei servizi, ma non solo questo, sarebbe riduttivo: la legge Basaglia crea una vera e propria rivoluzione culturale e scientifica, anche per la malattia mentale si può parlare di cura e riabilitazione! Un cambio di paradigma che ha aperto la strada verso la curabilità della patologia forse più temuta, l’esistenza di una figura professionale che porta nella propria denominazione tale assunto costituisce una prova.

Il Tecnico della riabilitazione psichiatrica (TeRP) è il professionista sanitario che nell’area della riabilitazione ha una competenza specialistica in ambito psichiatrico. Ci tengo a sottolineare che dalle sue origini il TeRP si è formato all’interno di un percorso di studi universitario dapprima, tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ’90, attraverso le scuole dirette a fini speciali, istituite all’interno delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, dopo attraverso i diplomi universitari e infine, grazie all’ultima riforma universitaria, all’interno dei corsi di laurea triennali. Ciò ha fatto si che ad oggi a fronte degli attuali 3052 iscritti agli albi abbiamo solo 11 iscritti agli elenchi speciali ad esaurimento, e di questi la quasi totalità è costituita da professionisti in possesso di un diploma universitario riconosciuto tramite il profilo professionale del 1997 che fu soppresso nel 2001, per dare luogo al nostro attuale profilo professionale individuato e definito nel 2001. Abbiamo assistito ad un pasticcio normativo.

Qual è la specificità del il Tecnico della riabilitazione psichiatrica?
Il TeRP (DM 29 n. 182 /2001) si occupa di prevenzione, individuando da una parte le criticità e i diversi ordini di fattori di rischio predisponenti lo sviluppo di un disagio psichico, che potrebbe diventare franca patologia psichiatrica, e dall’altra fattori protettivi per la tutela della salute mentale. Ovviamente, si occupa di cura e riabilitazione attraverso diversi tipi di modalità di approccio, tecniche e interventi volti alla riduzione della disabilità e al miglior funzionamento psicosociale possibile: il suo operato si estende lungo l’intero arco della vita della persona.

Ci occupiamo quindi di valutare con strumenti standardizzati il funzionamento personale e sociale, pianificando l’intervento riabilitativo caratterizzato dall’essere multidimensionale, aderente ai principi EBM e fondato sulle buone prassi. La metodologia di lavoro, che si svolge in équipe vede nel Progetto terapeutico riabilitativo individualizzato (PTRI) lo strumento fondamentale per riuscire a rispondere a 360 gradi non solo ai bisogni di salute, specifici delle persone in cura psichiatrica, ma a tutta la gamma dei bisogni comuni che nel corso della vita ognuno porta con sé, facendo si che vengano rispettati ed esercitati i diritti di cittadinanza. Il TeRP si rivolge anche alla famiglia, perché molto deve essere fatto per chi ha un congiunto con una malattia così complessa e che si trova ad affrontare un grosso carico sia a livello emotivo che pratico. Alle famiglie ci rivolgiamo non solo in termini di accoglienza e di ascolto ma attraverso dei veri e propri programmi di intervento codificati, di tipo psico-educativo, con lo scopo di fornire le giuste strategie di atte a fronteggiare situazioni difficili e complesse.

Massima attenzione rivolgiamo verso i percorsi di inclusione e integrazione sociale della persona svantaggiata, attraverso interventi di “rete” con altri servizi ed agenzie locali nel territorio. Molta importanza riveste il lavoro di sensibilizzazione, del per fronteggiare e per il superare lo stigma verso la patologia psichiatrica e chi ne è affetto, che non è solo legato al pregiudizio sociale ma è anche interiorizzato da chi soffre (stigma interno). Per tale ragione, potendo diventare un grande ostacolo nel processo riabilitativo indirizzato alla recovery, deve essere trattato con specificità.

Attualmente si parla molto del ruolo delle professioni sanitarie di “comunità”. Qual è il vostro contributo in questo contesto?
La nostra figura professionale ha in sé una forte vocazione comunitaria, come tutto il settore della salute mentale, tuttavia stiamo assistendo alla perdita di tale vocazione, e soprattutto nel resto del sistema salute il centro dell’assistenza è rappresentato dall’istituzione ospedaliera e da quella residenziale per lungo degenti, ne abbiamo avuto triste testimonianza proprio in questo momento di emergenza sanitaria. Il nostro Paese ha mancato al mandato della legge 833/78 che ha ridisegnato interamente tutta l’assistenza sanitaria e inglobando in sé la 180, emanata qualche mese prima, che ha dato impulso alla moderna psichiatria di comunità ponendosi come modello per tutta la sanità. Non dobbiamo quindi definire la nostra caratterizzazione in tal senso perché siamo già dei professionisti di “prossimità”, dobbiamo essere messi nelle condizioni di poter esercitare in seno alla comunità, affiancando utenti e famiglie, la grande criticità è rappresentata dal fatto che ad oggi siamo molto sottodimensionati nell’organico della rete dei servizi di salute mentale, per averne contezza, basta consultare il rapporto salute mentale del Ministero della Salute; infatti secondo i dati 2018 del Sistema informativo salute mentale risulta che i TeRP che operano nei dipartimenti di salute mentale (DSM) e nelle strutture convenzionate sono 767 su tutto il territorio nazionale. Il dato ahimé parla da sé!

Inoltre il TeRP, contrariamente alla sua vocazione e alle sue potenzialità, viene impiegato prevalentemente in strutture di ricovero a carattere residenziale, questo è solo uno dei diversi setting di cura, i TeRP dovrebbero operare nei Centri di salute mentale (CSM), servizi ad accesso diretto ambulatoriale, cuore pulsante della rete dei servizi che dovrebbe fare da cabina di regia tra tutte le tipologie di servizio dei DSM (ambulatoriale, semiresidenziale, residenziale e ospedaliero), il domicilio degli utenti e l’insieme delle altre agenzie territoriali nell’ottica della piena integrazione socio-sanitaria. È importante sottolineare che, così come in tutti gli altri ambiti della salute, l’intervento precoce, ridurrebbe di gran lunga la disabilità della persona e consentirebbe una ripresa con esiti prognostici più favorevoli e sicuramente con una riduzione dei costi economici.

Come vi collocate in ambito europeo?
Figura unica. Non esiste un profilo omologo in nessun Paese europeo e in gran parte della realtà internazionale. Il nostro profilo non trova un corrispettivo regolamentato in Europa dove, in diversi Paesi, più figure professionali diverse, concorrono all’erogazione delle stesse prestazioni fornite in Italia solo dal TeRP. Questo fenomeno è in linea con il quadro della psichiatria italiana, che differisce per storia, cultura, principi ed organizzazione sanitaria, talora anche in maniera più progredita rispetto ad altri Stati europei ed oltre i confini dell’Europa stessa. Come sappiamo, l’“esperienza italiana” in ambito psichiatrico continua ad essere oggetto di interesse e presa come esempio riguardo alle riorganizzazioni sanitarie psichiatriche di diversi Paesi a livello mondiale.

La nostra professione, così indirizzata specificatamente per competenze e funzioni con taglio preciso di settore, potrebbe diventare modello di riferimento a livello europeo, facendosi portatrice di valori culturali e teorico-esperienziali, in grado di rispondere alla sempre crescente complessità nell’ambito della salute mentale. Il fatto che la nostra figura non sia regolamentata anche in Europa senz’altro non determina, per i requisiti richiesti, una disparità per provenienza nazionale, ma pone la necessità di valutare i requisiti in base alle competenze professionali specifiche, sia per formazione che per expertise, così come già previsto dalla normativa vigente in tema di circolazione dei professionisti negli stati membri (art. 7 par. 4 - Direttiva 2013/55/UE). Nel recente passato AITeRP, nell’allora veste di Associazione maggiormente rappresentativa, in sinergia con alcuni dei nostri corsi di laurea, tenendo conto del crescente interesse per la mobilità in ambito europeo, mostrato da parte di colleghi e studenti laureandi, ha cercato di individuare in Europa professionisti con competenze, almeno in parte trasversali e/o sovrapponibili alla nostra, con l’obiettivo futuro di poter dare avvio ad un lungo e complesso intervento di riconoscimento della nostra figura professionale. Ad esempio, nel Regno Unito sono presenti tre tipologie diverse di professionisti (Social worker, il Mental health nurse e il Primary care graduate mental health worker) che hanno delle competenze che rientrano all’interno del profilo professionale del TeRP.

Veniamo infine al rapporto con la FNO TSRM e PSTRP e come vede la coesistenza fra 19 professioni.
Abbiamo aspettato tanto per essere riconosciute professioni e professionisti ordinati, aver raggiunto questo obiettivo comune è importante, l’Ordine è un organo di tutela sia rispetto al cittadino sia rispetto al professionista, una volta istituito formalmente, dalla legge 3/2018, e consegnataci dal Ministero la messa in opera della legge si è posta la sfida di “costruirlo” e farlo funzionare nel rispetto del mandato istituzionale, secondo i principi di efficienza ed efficacia. Diverse sono le criticità, che risiedono proprio nella sua singolare architettura e nella sua singolare “dimensione”, ma sono tante anche le potenzialità, la sfida rimane aperta e la nostra Commissione d’albo nazionale è ottimista in tal senso, ritenendo la pluralità una ricchezza. Auspichiamo, inoltre, che l’Ordine possa avere sempre maggiore incisività istituzionale in tema di miglioramento dei servizi e di riorganizzazione nell’ambito del sistema sanitario e socio-saniatario. Sin dal 2018 siamo stati co-protagonisti del cambiamento insieme alle altre professioni sanitarie e alla FNO, dapprima attraverso AITeRP e successivamente con l’elezione della Commissione d’albo nazionale, avvenuta lo scorso settembre a Roma.

Lorenzo Proia
 
Leggi le interviste precedenti: Audiometristi (Cino); Perfusionisti (Scali); Tecnici di neurofisiopatologia (Broglia); Podologi (Cassano); Terapisti occupazionali (Della Gatta); Tecnici ortopedici (Guidi); Ortottisti (Intruglio)

27 maggio 2021
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