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L’oculistica sta uscendo dai Lea. Ma un rimedio ci sarebbe…

di Claudio Maria Maffei

14 DIC -

Gentile Direttore,
è ormai esperienza comune confrontarsi con la quasi pratica impossibilità di accedere a prestazioni oculistiche tempestive e di qualità sia diagnostiche che chirurgiche nel Servizio Sanitario Nazionale, tanto nelle strutture pubbliche che in quelle private contrattualizzate. Di fatto, l’oculistica sta uscendo dai LEA in modo tanto devastante nei risultati quanto sommesso, quasi banale, nei modi. Infatti, nessuno apparentemente vuole questo fenomeno, ma in tanti nei fatti lo sostengono.

Da anni anche su queste pagine la Società Oftalmologica Italiana (SOI) sta denunciando questa deriva per bocca soprattutto del suo Presidente, Matteo Piovella. L’ultimo appello a farsi carico di questa problematica che ritrovo qui nell’Archivio di QS risale a pochi giorni prima delle ultime elezioni politiche, un appello rivolto ai cittadini elettori e quindi indirettamente ai politici, finora insensibili al problema.

Il titolo, efficace come nello stile del quotidiano, era “Nel 2030 in Italia raddoppieranno le persone cieche. La politica batta un colpo”. Stralcio solo un paio di passaggi dell’intervento: “Siamo retrocessi da primi in Europa e riferimento internazionale per gli oftalmologi del mondo, all’ultimo posto proporzionalmente dietro l’Albania. L’hanno percepito chiaramente il 70% dei pazienti affetti da maculopatia, la malattia della retina che impedisce di leggere un estratto conto bancario, che non hanno accesso a cure adeguate come avviene in Francia Inghilterra e Germania per motivi di mera stupida burocrazia e che sono consapevoli di essere a rischio perdita della vista.”

E ancora: “La cataratta che tutti prima o poi dovremo sviluppare, oggi ha triplicato i vantaggi dopo l’intervento perché riesce a correggere eliminandoli tutti i difetti di vista anche preesistenti. Ma la distratta e in altre cose affaccendata politica quella di oggi con la p minuscola ha deciso senza competenza o informazione che l’intervento deve costare solo 700 euro anche se adottando le nuove scoperte e tecnologie ne sono necessari 4000.”

Non mi sogno di entrare nel merito tecnico delle questioni ripetutamente sollevate dalla SOI su queste pagine a partire dal 2017, ma forse anche da prima. Peraltro nel sito della SOI c’è il Manifesto per i Cambiamento “Accesso alle Cure Oculistiche Sostenibili in Italia” che fornisce una sintesi delle criticità e delle proposte dal punto di vista della Società.

Faccio solo alcune osservazioni da vecchio burocrate su alcuni “equivoci” di tipo ammnistrativo che hanno contribuito assieme alla cecità della politica e del suo apparato tecnico a creare questa situazione:

  1. l’equivoco della oculistica pubblica come disciplina prevalentemente ospedaliera: l’oculistica in forma strutturata è prevista nel DM 70 tra le discipline presenti nei soli ospedali di primo livello il che si traduce in una penalizzazione enorme della attività chirurgica programmata di bassa complessità, specie in periodi di crisi pandemica o post pandemica. Negli ospedali sede di DEA di primo livello, figuriamoci se il DEA è di secondo livello, la attività di chirurgia oculistica sarà prioritariamente rivolta ai traumi e alla chirurgia della retina. Giusto, ma la cataratta così si fa poco e in termini di impatto sulla qualità della vita delle persone i mancati o tardivi interventi per cataratta pesano moltissimo per la loro elevatissima frequenza. Si tenga anche conto che in questi ospedali l’oculistica viene tenuta alla copertura in presenza dalle 8.00 alle 20.00 con la pronta disponibilità integrativa per la notte. Il che vuol dire un notevole assorbimento di ore di servizio del poco personale disponibile;
  2. l’equivoco degli ospedali per acuti che debbono privilegiare la complessità: qual è l’ospedale che non ha tra i suoi indicatori principe il peso medio dei ricoveri? E la chirurgia oculistica “pesa” poco e “diluisce” il peso medio. Chi ci investirà mai se non ci sarà un sistema diverso per “pesare” le attività di un ospedale?
  3. l’equivoco dei DRG a rischio di inappropriatezza quando erogati in regime di ricovero ordinario: anche in questo elenco la chirurgia oculistica è letteralmente ai primi posti. Siccome non c’è l’elenco dei DRG a “valenza sociale” e un loro sistema di pesatura alla chirurgia oculistica rimane lo stigma che non è “roba da ospedale”;
  4. l’equivoco che le tariffe vanno tenute basse e che tanto nel sistema degli ospedali pubblici le tariffe sono come i soldi del Monopoli: le tariffe basse hanno ridotto di molto l’interesse dei privati contrattualizzati nei confronti della chirurgia oculistica e le stesse strutture pubbliche le analisi costi-ricavi le fanno e come;
  5. l’equivoco dell’extra-moenia come opportunità: che spinta hanno (se non personale di tipo etico che per fortuna è presente in tanti, ma non in tutti) gli oculisti delle strutture pubbliche a battersi per avere più spazi operatori quando lo stesso intervento lo possono fare in regime privato nelle loro bellissime e attrezzatissime strutture private?
  6. l’equivoco che non ci sia niente tra DM 70 e DM 77: in realtà c’è moltissimo e cioè gli standard programmatori e organizzativi che mancano per attività specialistiche ad elevatissimo impatto sociale che sono poco ospedaliere e non abbastanza territoriali. Oculistica a parte questo è il problema ad esempio della allergologia già segnalato più volte qui su QS.

A questa rimozione del problema della oculistica che esce dai LEA un rimedio ci sarebbe: l’obbligo per i politici e gli amministratori pubblici di effettuare gli accertamenti e gli interventi di tipo oculistico solo attraverso i percorsi istituzionali del Servizio Sanitario Nazionale. Magari così si accorgono.

Claudio Maria Maffei



14 dicembre 2022
© Riproduzione riservata

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