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La violenza nei confronti dei sanitari minaccia il servizio sanitario pubblico

di Marco Ioppi

10 SET - Gentile direttore,
è diventata ormai una triste abitudine dover registrare aggressioni e atti di violenza ai danni del personale sanitario. Quello che è peggio è che si stanno abituando tutti, dalla politica, alle istituzioni, alla opinione pubblica, fino alle stesse Aziende Sanitarie alle quali, comunque, spetta il dovere di mettere in sicurezza le proprie strutture, oltre che il personale che vi opera.

La ferma e indignata condanna della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici che ha chiesto da Stato e Regioni una risposta esemplare, ha avuto il sostegno di tutti, pronti a condannare gli episodi di violenza ormai abituali e a chiedere misure straordinarie, ma il personale sanitario è stanco di essere vittima di aggressioni di ogni genere, senza che le istituzioni riescano a trovare soluzioni efficaci e non sa più cosa farsene della solidarietà e delle promesse.

L’Ordine di Trento si associa allo sdegno e alla condanna di ogni atto di violenza, ma allo stesso tempo teme che le soluzioni proposte, pur se condivisibili, non siano in grado, da sole, di essere risolutive. C’è da chiedersi se l’aggravarsi di tanta violenza, via da quella legata alla follia o a cause di dipendenza, non abbia radici anche nella crisi sistemica del Servizio Sanitario che, come ha dichiarato allarmata la Corte dei Conti alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2024 “non garantisce più alla popolazione un’effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie, con intuibili conseguenze sulla salute delle persone e pesante aumento della spesa privata”.

Cresce infatti il numero di cittadini che non riescono a trovare risposta alle loro domande di salute, il SSN soffre di disorganizzazione ed è sottofinanziato, mancano medici e quelli in servizio vivono in un clima di malessere con carichi di lavoro che non permettono una vita privata. Si ha anche troppo spesso una narrazione della sanità distorta trovando riportati sui media quasi unicamente i fatti apparentemente negativi, senza preventiva documentazione di quanto realmente accaduto, con il risultato di alimentare la convinzione che qualsiasi cosa che va storto sia automaticamente colpa dei professionisti sanitari. Tutto ciò fa sì che pazienti e loro familiari, vivendo in un simile contesto, trovino naturale denunciare o, peggio ancora, spinti dalla esasperazione, magari aggredire il primo camice bianco a portata di mano, come se fosse il responsabile del malfunzionamento del sistema e non la prima vittima.

Tutto questo non è accettabile e men che meno giustificato, ma indubbiamente è indice di una realtà fortemente malata che si esprime con la violenza e che per questo ci deve vedere tutti preoccupati nel costruire ogni giorno un sistema e una cultura in difesa del valore del Servizio Sanitario e di conseguenza delle persone che hanno bisogno di cura.

Non sono solo i fatti di violenza che ci devono preoccupare, ma soprattutto il contesto in cui avvengono per cui è necessario che tutti gli attori del sistema salute reagiscano con una risposta adeguata secondo i rispettivi ruoli e responsabilità.

Il ruolo delle istituzioni. La stessa Politica non può tirarsi fuori o pensare che sia sufficiente qualche disegno di legge di inasprimento delle pene. I governanti devono convincersi che investire in Salute rende, contrasta i conflitti sociali e le violenze nelle strutture sanitarie, riduce malattie e sofferenze, produce ricchezza individuale e collettiva: la sanità va giustamente finanziata assumendo e valorizzando il personale, migliorando l’organizzazione, sostenendo la ricerca e la prevenzione.

Una nuova cultura della cura. E’ fondamentale che tutti, medici, istituzioni e cittadini non abbiano a rassegnarsi alla violenza, al conflitto sociale; bisogna al contrario prevenirli tramite un processo culturale che faccia comprendere che al riconoscimento della complessità che caratterizza la relazione medico paziente sia corrisposto altrettanto grado adeguato di complessità per il medico. Bisogna correggere l’idea che responsabilità corrisponda a colpa, che la medicina possa dare sempre e a tutti risposte miracolistiche. Bisogna inoltre introdurre la differenza che c’è tra “insuccesso ed errore”. L’insuccesso, la complicanza, è un evento naturale di ogni atto umano e in medicina dipende dal grado di complessità della stessa nel quale rientrano i limiti oggettivi delle conoscenze, le singolarità dei malati, i contesti e le situazioni. Oggi l’insuccesso viene scambiato per errore, per colpa, intasando i tribunali, rovinando ingiustamente la vita professionale di molti medici, favorendo speculazioni e malafede tanto da incrinare quella “alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia”. Per superare le violenze, il conflitto tra cittadino e personale sanitario, bisogna che insuccesso ed errore vengano definiti in modo chiaro per poi procedere a depenalizzare la complessità della medicina e quindi l’insuccesso e a penalizzare invece l’errore secondo legge.

Il ruolo della deontologia e dell’etica professionale. Viviamo in un contesto sanitario molto compromesso del quale i medici non possono definirsi solamente vittime. I medici hanno però spesso accettato di subire passivamente il passaggio dalla medicina ippocratica, a contatto diretto con il paziente, a quella tecnologica e, concentrati su questa, danno meno importanza alla dimensione relazionale con il paziente. Lo dimostrano le segnalazioni dei cittadini che arrivano all’Ordine in cui prevalgono le criticità di relazione rispetto alle contestazioni sulle competenze, a conferma che la medicina non è solo una prestazione tecnica di risultato.

Ritornare a vivere la relazione medico paziente con empatia ed umanità è una scelta obbligata per ristabilire con il cittadino, come raccomanda il Codice di Deontologia Medica, all’art. 20 una “alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su una informazione comprensibile e completa considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura”. Dare valore e mettere in pratica quanto il Codice di Deontologia Medica raccomanda e che la Legge 219 del 2017 sancisce è la carta vincente, a disposizione del medico, per far sentire ai pazienti che il medico è loro vicino, che lavora e opera per il loro bene e che ogni atto di violenza fatto contro il medico è fatto contro noi stessi.

Le drammatiche notizie che arrivano dalla Puglia ci servano per non farci trovare impreparati. Ci siano di monito per mettere in atto risposte adeguate secondo i rispettivi ruoli e responsabilità: ricostruire quindi una relazione medico paziente improntata alla umanità e gentilezza, investire sul sistema Salute, coinvolgere i cittadini a comprendere la complessità della cura. Queste sono le ricette che l’Ordine, al di là delle varie proposte che si sono lette e sentite, si sente di proporre alla riflessione di coloro ai quali sta a cuore la salute: il bene più prezioso che abbiamo da preservare.

Dott. Marco Ioppi
Presidente OMCeO Trento

10 settembre 2024
© Riproduzione riservata

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