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A proposito di aggressioni 

di Carlo Olivero 

11 SET - Gentile Direttore,
sono un infermiere, finalmente in pensione da inizio anno, dopo lunga esperienza in emergenza e area critica, in particolare 31 anni di 118 (dalla sua nascita). Fermo restando che la perdita di autorevolezza di chi lavora in sanità alla base delle aggressioni, dovuta in parte alla presunzione del paziente di sapere cosa è bene e giusto per lui meglio di chi per lavoro se ne occupa, non può essere risolta in tempi brevi, ritengo che nelle molteplici e a volte fantasiose proposte per limitare il triste fenomeno non si sia accennato al ruolo del datore di lavoro.

Una mattina ricevo una richiesta di ambulanza e mentre faccio il normale triage, senza il minimo segnale di escalation, assolutamente a freddo mi sento dire dalla chiamante: “Non fare domande del cazzo, io vengo lì, ti taglio la gola, ammazzo i tuoi figli e ti brucio la casa”, seguito dalla chiusura della chiamata. Quindi richiamo per confermare con ulteriori informazioni il codice, che dalle poche notizie era verde, ma la chiamante non risponde.

Avvisato l’equipaggio inviato del potenziale rischio, venivo informato successivamente che la chiamante, dopo aver accolto con insulti e minacce l’equipaggio, aveva rifiutato l’ospedalizzazione per la figlia ventenne, preferendo rivolgersi ad un medico non meglio specificato.

Pur avendo in azienda una specifica modulistica per la segnalazione delle aggressioni verbali o fisiche non avevo mai segnalato nulla, anche dopo aggressioni fisiche, per fortuna senza grosse conseguenze, ma questa volta, colpito dalla violenza immotivata espressa dalla chiamante, non essendoci alcun motivo di preoccupazione per la figlia né alcun ritardo percepibile (le minacce erano arrivate circa all’ottavo secondo di conversazione) ho deciso di segnalare il fatto.

Ho in seguito contattato il responsabile dell’ufficio che si occupa delle segnalazioni chiedendo quali sarebbero state le azioni messe in campo in nostra difesa e con mia sorpresa mi è stato risposto che le segnalazioni venivano raccolte a solo scopo statistico per eventualmente attivare, se giunte in gran numero, un corso di autostima per il personale.

Orbene io ho una tale autostima da ritenere ridicolo e vagamente insultante l’idea che di fronte a episodi di aggressione si debba lavorare sulla mia autostima e non sulla persecuzione giudiziaria dell’aggressore.

La mia ex azienda d’altronde non ha mai ritenuto di procedere contro gli aggressori, nemmeno in caso di conseguenze fisiche importanti (mesi di infortunio per un collega aggredito appena sceso dall’ambulanza), nemmeno come richiesta per i danni relativi all’assenza del dipendente, lasciando totalmente a carico del professionista l’eventuale azione legale.

Fino a quando le aziende sanitarie non applicheranno in proprio una tolleranza zero nei confronti degli aggressori la sensazione di chi lavora in prima linea non potrà che essere quella di abbandono, favorendo così burn-out o fuga verso lidi più sicuri.

Carlo Olivero
Ex Infermiere 118

11 settembre 2024
© Riproduzione riservata

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