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Health for all: il caso Sardegna 

di Simona De Francisci

15 OTT - Gentile Direttore,
il grido di allarme lanciato dai partecipanti alla presentazione del 7° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica la settimana passata deve essere immediatamente raccolto a livello centrale e regionale e tradotto in azioni politiche ad effetto immediato.

I numeri e le analisi proposte sono inquietanti: sembrano nelle loro tendenze temporali descrivere una deriva inesorabile, alla quale però può e deve essere posto un freno. Per il bene di tutti. È doveroso perché non è in gioco un banale concetto astratto (quello di salute) ma l’esistenza di un intero sistema. Dalla salute dipende la sussistenza del nostro sistema sociale, finanziario, ed economico. Il DG dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus e Mariana Mazzucato in un recente editoriale su The Lancet hanno parlato, non casualmente, di “Advancing the economics of health for all”.

Una soluzione, o meglio più strategie risolutive esistono. Il rapporto GIMBE ne ha elencato tredici, numero considerato un simbolo di trasformazione e rinascita in varie culture, elemento di connessione tra ciò che è e ciò che sarà. Tuttavia, aldilà delle cabale e delle tradizioni culturali e spirituali, i tredici pillar di GIMBE meritano la diade riflessione-azione.

Alcuni sintomi di background delle molteplici patologie del SSN devono essere stimolo per la creazione di una forza motrice di cambiamento, soprattutto nel Mezzogiorno (la questione meridionale, la frattura strutturale Nord-Sud).

Prenderò ad esempio la mia regione di appartenenza, la Sardegna. Capitolo rinunce alle prestazioni sanitarie in ambito nazionale: 7,6% nel 2023, in crescita rispetto al 2019 (6,3%) e al 2022 (7%). Tradotto in frequenze assolute sono circa 4,48 milioni che hanno detto “non posso” (difficoltà finanziarie o di accesso, lunghe liste di attesa) in presenza di un bisogno di salute. +600.000 rispetto al 2022 le persone con difficoltà finanziarie impossibilitate a curarsi, per un totale di 2,5 milioni pazienti. Nelle Isole la frequenza percentuale di rinuncia sale all’8,6%. La Sardegna presenta un 13,7% da brivido, con +1,4% dal precedente 12,3%.

Il monitoraggio dei LEA con il Nuovo Sistema di Garanzia è impietoso per la Sardegna nell’annualità 2022: 166,11 lo score totale che descrive una regione inadempiente. Insufficiente in due delle tre aree di valutazione: prevenzione (46,55, punteggio molto lontano dal cut-off di sufficienza di 60) e distrettuale (50,45). Nel confronto con le altre regioni l’immagine della Sardegna ne esce con le ossa rotte: 20a e penultima nell’area della prevenzione, seguita solo dalla Calabria, 19a nella area distrettuale, e 17a in quella ospedaliera. Una débâcle paragonabile in ambito bellico a quella della Repubblica Romana a Canne contro l’esercito di Annibale, alla luce di quanto investito dalla Regione Sardegna per la voce sanità (circa metà del bilancio regionale). La variazione 2021-2022 tra gli adempimenti vede un -3,57, nella scia di una tendenza geografica meridionale.

Su cosa intervenire? Su cosa puntare? Richiamo due dei tredici punti GIMBE. Salute in tutte le politiche al primo posto. È il cardine: senza salute tutto si paralizza (la pandemia Covid-19 ne è un esempio pratico).

A questo deve seguire la prevenzione e la promozione della salute. Prevenzione primaria, secondaria, e terziaria. La caduta libera dei servizi per la prevenzione (-18,6%) nel 2023 VS. 2022 deve essere punto di partenza. Penso soltanto alle cifre drammatiche degli screening oncologici in Sardegna, descritte nel rapporto AIRTUM, dove pochi aventi diritto vengono coinvolti nelle attività di screening del tumore della mammella, della cervice uterina, e del colon-retto.

Nuove politiche sanitarie basate sulla inibizione dei determinanti di malattia, sul potenziamento di quelli di salute, ed una alfabetizzazione sanitaria per un empowerment comunitario (knowledge, attitudes, and behaviors).

Tutto tenendo sempre vivo quanto presente nella dichiarazione di Alma Ata del 12 settembre 1978: “…la salute è un diritto umano fondamentale…la tutela della salute rappresenta un risultato sociale esiziale, che deve coinvolgere il settore sanitario, economico, e sociale…”.

Simona De Francisci
Giornalista

15 ottobre 2024
© Riproduzione riservata

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