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Dipendenza o convenzione, lasciate decidere i medici   

di Michele Diana 

13 FEB -

Gentile Direttore,
l’argomento del giorno è da un po’ quello delle Case di Comunità e della legittima richiesta di Ministero della Salute e Regioni di farle decollare al più presto, riempiendole di contenuti: personale medico e paramedico. La protesta del principale sindacato dei MMG sulla possibile assunzione alla dipendenza dei colleghi del Corso di Formazione in Medicina Generale (nonché di eventuali MMG già convenzionati che volessero transitare) è legittima: non può esserci coercizione, e si devono lasciare liberi i professionisti di scegliere il loro destino professionale. Tuttavia, se da un lato non deve dipendere dal Ministero e dalle Regioni, dall’altro, non deve dipendere neppure dal sindacato o dall’Enpam.

Allora si vedrà se è vero quanto sostenuto dal sindacato, e cioè che i MMG preferiscono all’unanimità il rapporto convenzionale, così come lo conosciamo adesso, o se invece una parte di essi, più o meno consistente, preferirà le tutele tipiche del rapporto di impiego (ferie, congedo parentale, TFR, malattia, etc...); se i MMG preferiranno il “rischio di impresa” (ma, in buona sostanza attualmente esiste una partita IVA di sola facciata, essendo dei parasubordinati senza diritti nei fatti); o se preferiranno non sostenere spese per l’avviamento e il mantenimento dello studio professionale, lavorarando in una struttura pubblica. Ed infine se preferiranno non soggiacere ulteriormente al ricatto di un pagamento per quote capitarie (non sempre basate su un clima di fiducia reciproca tra cittadino e medico, come si vuol far credere).


Il sindacato avrebbe potuto, in epoca non sospetta, prevedere e richiedere un mutamento radicale della forma di pagamento, da quote capitarie a quota oraria, e soprattutto spingere per un contratto analogo a quello della specialistica ambulatoriale, che ha tutte le tutele della dipendenza (ferie, malattia, congedo parentale, tredicesima e TFR) in un sistema territoriale dove ormai la maggior parte dei MMG sono donne. Ma questo non è stato fatto. E adesso, per continuare a garantirsi una posizione di preminenza e per salvaguardare l’Enpam, millanta la perdita del rapporto fiduciario e la perdita degli avamposti medici nelle zone remote.

Va da sé che con la dipendenza non si perde affatto il rapporto di fiducia, perché il cittadino può continuare a rivolgersi al medico che ha sempre preferito, semplicemente informandosi sugli orari di sua presenza in struttura; né la capillarità nel territorio, perché in un’epoca in cui i dipendenti pubblici e privati possono lavorare in Smart Working da casa, quindi anche a distanza, il medico dipendente potrà continuare ad avvalersi in quota parte anche di ambulatori ubicati nel territorio per i cittadini ivi residenti, con spese di gestione poste a carico della ASP. Quindi è un falso problema, invocato dal sindacato per mantenere lo status quo.

Il Corso di Formazione in Medicina Generale oggi viene gestito dagli Ordini dei Medici, (che, guarda caso, hanno all’interno una rappresentanza sindacale elevata) che istituzionalmente tutelano la professione, ma che non dovrebbero avere vocazione alla formazione; sarebbe più opportuno quindi puntare su una formazione specialistica universitaria, ad esempio in Medicina di Comunità e delle Cure Primarie.

Enpam sostiene che se i futuri MMG venissero inquadrati come dirigenti, l’Ente non potrebbe più pagare le pensioni. Ma, a parte il patrimonio consolidato e accumulato dall’Ente, e le garanzie che esso deve comunque fornire agli organi di controllo statali circa la propria solidità, va detto che non si può vincolare una scelta di campo politico-sanitaria, che riguarda milioni di Italiani e dove sono in ballo i fondi del PNNR, alle esigenze interne di un ente assistenziale privato. Tanto il Sindacato quanto l’Ente Previdenziale sono dunque chiamati a scendere a patti con le Regioni ed il Governo. Altrimenti, per dirla con Shakespeare: "La gloria e il potere sono come un cerchio nell’acqua che non smette mai di allargarsi, finché a causa del suo stesso allargarsi non si disperde nel nulla".

Per concludere: lasciamo alle Regioni la possibilità di far decidere i singoli medici circa il loro destino, non altri al loro posto. Chi vuole rimanga convenzionato; chi invece preferisce svolgere un’attività dirigenziale venga inquadrato come dirigente. In entrambi i casi si lavorerà nelle case di comunità, in ambulatori presenti nel territorio, anche nelle località disperse e remote, e nelle AFT.

PS: va ribadito che in una professione che viene sempre più declinata al femminile, le tutele tipiche del rapporto di impiego sono però ormai imprescindibili. Anche per i convenzionati.

Michele Diana
MMG



13 febbraio 2025
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