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Comparto, nuovo Contratto svolta o compromesso?

di Grazio Gioacchino Carchia

20 GIU - Gentile Direttore,
il 18 giugno 2025 è stata firmata l’ipotesi di contratto collettivo nazionale di lavoro per il triennio 2022-2024, relativa alle professioni sanitarie non mediche del comparto sanità. Un evento formale e simbolico che ha suscitato reazioni divergenti tra gli addetti ai lavori.

Da un lato, si riconoscono alcuni passi avanti: aumenti economici tra i 160 e i 200 euro lordi mensili, valorizzazione di funzioni organizzative, nuove indennità per turni e condizioni di disagio, tentativi (seppur timidi) di riconoscere l’evoluzione di competenze specialistiche. È un contratto che fotografa una lenta progressione.

Dall’altro lato, però, molti lavoratori e sindacati di base denunciano con lucidità ciò che continua a mancare: un vero recupero del potere d’acquisto, la correzione di storiche diseguaglianze con la dirigenza medica, il riconoscimento sostanziale del carico professionale nei servizi territoriali, nei laboratori e nei reparti.

Ma c’è un elemento in particolare, passato quasi inosservato, che merita una riflessione più ampia. Nella stessa notte, mentre si firmava l’ipotesi di contratto per le professioni sanitarie, è stato firmato anche il nuovo contratto nazionale dei metalmeccanici, con aumenti che, in proporzione, risultano perfino più consistenti di quelli destinati a chi lavora nella salute pubblica.

Un paradosso? Forse. Oppure, come avevo già avuto modo di osservare in passato, l’ennesima conferma di un meccanismo di bilanciamento sociale implicito, in cui alcune categorie — per la loro forte presenza sindacale e industriale — riescono a ottenere risultati più sostanziosi, mentre altre sembrano essere mantenute entro margini “di sostenibilità” per motivi più ampiamente politici o macroeconomici.

È lecito, quindi, porsi una domanda scomoda: alcune professioni vengono “contenute” economicamente per non alterare certi equilibri tra categorie sociali? E se sì, è ancora accettabile che questo accada nel silenzio, mentre si parla di “centralità del Servizio Sanitario Nazionale”?

No, non è uno scandalo. Ma nemmeno una svolta. È un compromesso — figlio di un sistema che riconosce il nostro valore più facilmente a parole che nei fatti.

E allora, se posso concludere con ciò che sento davvero, vorrei dire che:
una firma non è mai l’ultima parola, ma solo una virgola nel discorso della nostra dignità professionale.
Cordiali saluti

Grazio Gioacchino Carchia
Tecnico di Laboratorio BiomedicoFondatore del gruppo “PSU - Professioni Sanitarie Unite

20 giugno 2025
© Riproduzione riservata

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