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Cinque cose da rivedere del DM 71

di Ettore Jorio

Forma del decreto ministeriale, non menzione dell'obbligatorietà di accreditamento istituzionale, la distanza tra i presidi,  la disponibilità di personale e lo spessore dell’attività da erogare alla collettività. Su questi punti una riflessione è indispensabile

08 MAR - Sta andando in porto, tra pareri preventivi del Consiglio di Stato e formazione di Intesa in Conferenza Stato-Regioni, il DM 71. Un importante provvedimento ministeriale recante il regolamento che sancisce i “Modelli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale del SSN”. Il tutto in armonia con la Misura 6, Componente 1, del PNRR, in quanto tale finalizzato a cambiare il mondo della assistenza territoriale nazionale, sempreché l’inflazione in atto e la guerra consentano l’esecuzione dei relativi appalti, persino di quelli in esecuzione.
 
Le perplessità cui rimediare
Il ricorso ad una siffatta fonte normativa e il suo contenuto giustificano però qualche perplessità, e non di poco conto, con un certo distinguo tra le strutture fisse e il modello organizzativo per la presa in carico del paziente per coordinarne le fasi assistenziali, qual è la COT.
 
Prima di tutte
La messa in discussione dell’adeguatezza e della sufficienza del ricorso ad un decreto ministeriale. Le strutture di prossimità (case ed ospedali di comunità), quali elementi portanti della nuova metodologia dell’assistenza sociosanitaria alla persona sul territorio e dunque implementativi del distretto sanitario, avrebbero dovuto rintracciare la loro istituzione nell’ordinamento in un atto avente valore di legge, tale è il vigente d.lgs. 502/92. Più esattamente, integrando sensibilmente la disciplina dettata dagli artt. 3 quater-sexies.
 
Ciò in quanto, la loro attività, a differenza di come ha fatto il DM 70 con la fissazione di standard quali-quantitativi dell’assistenza ospedaliera, concretizza e sviluppa quel segmento assistenziale che è tipico del distretto sanitario di base, così come battezzato dalla legge 833/1978, istitutiva del SSN, tanto da rinnovarne i connotati erogativi e di metodo. In quanto tale, i compiti e le funzioni andrebbero istituzionalizzati legislativamente, quanto a principi fondamentali, e resi funzionanti con legislazione di dettaglio dalla Regione che avrebbe, tra l’altro, l’irrinunciabile compito di poterle disporre secondo il proprio fabbisogno epidemiologico, gli indici di deprivazione caratterizzanti la propria società civile e le difficoltà viarie e orografiche.
 
La seconda
Riguarda, quanto alle strutture, la non menzione - che la lascia immaginare ad una sua mancata previsione normativa in tal senso - della obbligatorietà dell’accreditamento istituzionale, che renda idonee le anzidette al complesso utilizzo multiprofessionale cui le stesse sono destinate.
 
La terza
Afferisce all’assenza di una qualsivoglia indicazione in ciò che sembra essere una condizione inscindibile, specie nei punti ove ad essere assistiti sono più comuni periferici e separati da una rete viaria non propriamente comoda per non dire impervia. Il riferimento è la unitarietà funzionale tra le due strutture, intendendo per tali la casa e l’ospedale di comunità, non ritenendo affatto esaustiva la loro allocazione in siti distanti l’uno dall’altro che scombussolerebbe la vita degli assistiti stanziali, che sarebbero costretti a rintracciare nella prima le attività di primario intervento e nelle seconde quelle infermieristiche di necessità, spesso immediatamente successive. Supporre il contrario, oltre che a determinare un dispendio di energie finanziarie evitabile con la comune economia di scala, da realizzarsi facendo più cose insieme ad un minore costo unitario, creerebbe delle notevoli disfunzioni assistenziali, tenuto conto che nel Paese, soprattutto nelle aree del Mezzogiorno, oltre ad avere una rete viaria difficile difettano notevolmente i trasporti pubblici locali.
 
La quarta
Inerisce la difficoltà che si registrerà, sempreché si riescano a realizzare nel breve periodo le strutture (CdC e OdC) e il modello organizzativo di presa in carico del paziente (COT), nella disponibilità del personale necessario, che non è affatto di poco conto, e della sopportabilità dei costi aggiuntivi, che rimarranno a totale carico delle aziende sanitarie di riferimento. Un problema al quale, PNRR a parte, va individuata da subito una soluzione, allo scopo di assicurare quell’assistenza territoriale che per essere tale ed efficiente è determinata dalla somma delle strutture e del personale sanitario e non solo.
 
La quinta
E’ l’ultima, interessa lo spessore dell’attività da erogare alla collettività. Esso riguarda certamente l’area sociosanitaria, in quanto tale garante anche delle prestazioni disciplinate dall’art. 3 septies del vigente d.lgs. 502/1992. Più esattamente, di quelle sanitarie a rilevanza sociale e di quelle sociali a rilevanza sanitaria. Il problema che tuttavia rimane - prescindendo dalla difficoltà che molti servizi sanitari regionali andranno adeguati in tal senso tant’è che alcuni non hanno mai provveduto a prevederlo a prestazioni integrate – riguarda l’attività socioassistenziale. Una competenza che andrà certamente compresa nel segmento assistenziale di base, e quindi distrettuale, tenuto conto dell’importanza che un tale settore d’intervento riveste, anche alla luce di quanto abbiano inciso negativamente le performance rese da e nei confronti di alcune RSA, abbandonate a se stesse a lottare contro il Covid.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

08 marzo 2022
© Riproduzione riservata


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