Il dibattito in corso sul cosiddetto ddl Calderoli e sul modello di autonomia differenziata che esso propone non fa altro che sottolineare la sempre più marcata tendenza della politica italiana – e quella dei commentatori più o meno di parte che si avvicendano in queste ore – a ragionare sulla scorta dei timori dovuti a preconcetti, e non delle opportunità che possono derivare da un nuovo modo di guardare a problemi fin troppo noti. Soprattutto in sanità il nostro regionalismo va ripensato, è vero, ma nel senso di un suo ampliamento funzionale, non certo limitandolo.
Anche se demonizzare i sistemi sanitari regionali è divenuto lo sport preferito di chi vorrebbe ricentralizzare tutto, resta un fatto che le Regioni che sono in grado prendere decisioni, organizzarsi, raccogliere e distribuire risorse, hanno dimostrato di portare a casa risultati importanti e, cosa ancora più importante, di saper costantemente migliorare le proprie performance.
In primis la Lombardia, che resta ancora – dati alla mano – la Regione più efficiente ed attrattiva in termini di mobilità sanitaria. Ma questa tendenza andrebbe incoraggiata, spingendo le Regioni meno virtuose a migliorare, e non utilizzata come spauracchio di una sempre maggiore distanza tra aree più ricche e altre più svantaggiate.
Come ha detto recentemente Alberto Cirio, Presidente della Regione Piemonte, una spesa efficace dipende soprattutto dal grado di conoscenza del territorio e anche dalle opportunità di controllo da parte dei cittadini sulla politica. In altri termini è una questione di buona politica e di scelte opportune e ponderate.
Inoltre, l’Italia si differenzia da anni per caratteristiche diverse e livelli di prestazioni differenti in ambito sanitario. Lo era prima della legge sull’autonomia e lo è ora. Con la proposta di un’autonomia differenziata si potrà però chiaramente correlare le singole scelte ai singoli risultati.
Facciamo qualche esempio.
Lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si rivolge, per legge, alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni con un controllo da ripetersi ogni 2 anni. Ciò rappresenta l’obiettivo che dovrebbero avere tutte le Regioni: alcune superano l’obiettivo minimo, invitando allo screening una fascia di età più ampia (come ad esempio la Lombardia), altre non raggiungono nemmeno il livello minimo.
I dati PASSI ISS mostrano come la copertura dello screening mammografico organizzato fosse già bassa, con una ulteriore flessione dovuta al Covid. Soprattutto al 2020 emergono molte differenze tra Nord e Centro rispetto al Sud e Isole. Per chiarire meglio il punto, occorre sottolineare che questi dati riguardano l’organizzazione dello screening, ma non sembrano essere legati alla disponibilità di macchinari e attrezzature, al contrario, sembrano essere maggiormente legati a una questione strategico-organizzativa e ciò risulta chiaro leggendo i dati delle liste d’attesa per l’effettuazione di una mammografia nello stesso periodo.
Infatti, da un’analisi dell’Osservatorio Hi – Healthcare Insight, promosso da Fondazione The Bridge, nonostante le diminuzioni di prestazione dovute al Covid, risulta una media di prestazioni eseguite per tempo pari al 81,92% nel 2019 e al 76,97% nel 2020; la Regione che mostra contrazioni più consistenti nelle due annualità è il Molise, mentre la Puglia sembra addirittura aver recuperato nell’ultimo anno analizzato.
Ugualmente, osservando le informazioni inerenti al tempo di attesa espresso in giorni, si segnala un gap medio di soli 6 giorni (media di 33,33 giorni nel 2019 e di 39,41 giorni nel 2020); in questo caso sono 5 le Regioni che mostrano discrasie tra i due anni (Puglia, Piemonte, Lazio, Campania e Abruzzo). Solo per la Basilicata sembrano esserci stati problemi.
Le scelte locali sono ben visibili anche in tema vaccinale e, in questo caso, non si tratta della classica antitesi nord-sud, ma delle conseguenze di politiche sanitarie. Ad esempio, fino a qualche anno fa la provincia di Bolzano, spesso in testa alle classifiche per la qualità della vita, era una delle più basse per coperture vaccinali.
Inoltre, già da alcuni anni è in corso un dibattito sulla necessità di una riforma strutturale del sistema della Medicina Generale che, coerentemente con le riforme derivanti dall’attuazione del PNRR e il sistema di Case della Comunità, dovrà sempre più adattarsi alle esigenze delle singole Regioni.
Sono questi solo alcuni spunti di riflessione utili per aiutarci tutti, politica e opinione pubblica, a concentrarci di più sulle possibili soluzioni per un miglioramento del nostro sistema sanitario, e meno a mantenere ostinatamente posizioni – o rendite di posizione – per opportunismo o ristrettezze di vedute. Il tutto a dispetto di alcune evidenze e a discapito di un sano dibattito per il bene del Paese.
Rosaria Iardino
Presidente Fondazione The Bridge