Cambia lo scenario geopolitico internazionale
La nomina del nuovo Presidente Donald Trump in USA ha determinato un cambiamento profondo delle politiche americane su temi sensibili come salute, clima, immigrazione che impattano tutte sul tema “One Health”.
La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2024 (UNFCCC COP 29) si è tenuta nel novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian, ha avuto uno svolgimento complesso e ha registrato grandi differenze di intenti tra i Paesi partecipanti tanto che si è stato ad un passo di un clamoroso fallimento. I Paesi emergenti chiedevano aiuti per adottare tecnologie green, mentre i Paesi più sviluppati frenavano e alla fine per evitare il fallimento completo si è arrivati ad un mini accordo finanziario a supporto dei Paesi con siccità e con alti livelli di inquinamento. L’andamento ed i risultati della conferenza sono stati senza dubbio condizionati dall’attesa dell’esito delle elezioni americane di novembre 2024. Elezioni che hanno poi registrato la designazione di Donald Trump a Presidente USA con il pieno controllo della Camera dei Rappresentanti e del Senato, nonché della Corte Suprema e poi i primi atti ostili verso gli interventi e le misure adottate dalla precedente amministrazione per il contrasto del cambiamento climatico
Clima e ambiente: lo scenario in divenire Lo Stato di salute della natura e del clima è ormai allarmante e l’azione delle principali imprese globali, nonostante un positivo slancio, rimane al di sotto di quanto sarebbe necessaria per rispristinare lo stato di salute degli ecosistemi planetari.
È quanto emerge dal Briefing “State of Nature and Climate 2025”, redatto da World Economic Forum (WEF), Potsdam Institute of Climate Impact Research (PIK) e l Carbon Discluse Project (CDP) e presentato il 21 gennaio 2025 nel corso di un evento dal titolo “Nature e Clima: un bilancio globale”, organizzato dal Centre for Nature and Climate del WEF, una piattaforma multi-stakeholder che si concentra sulla protezione del nostro ambiente e sulla promozione di pratiche sostenibili, a cui sono affiliate oltre 400 organizzazioni pubbliche e private, più di 150 fondazioni filantropiche e 5 Governi, la cui mission è realizzare la decarbonizzazione dell’industria in linea con il percorso di Parigi per il riscaldamento globale a 1,5 °C; la transizione dei sistemi nell’uso degli oceani e del suolo e la gestione delle risorse in termini di cibo, acqua e materiali.
Nel corso dell’evento, a cui hanno partecipato quali relatori il Direttore del PIK, Johan Rockström, la CEO del Centre for Nature and Climate, Gim Huay Neo e la CEO del CDP, Sherry Madera, si è sottolineato come la Terra stia perdendo resilienza. Già sei dei nove punti di svolta planetari sono già al di fuori dei limiti di sicurezza, lasciandoci sull’orlo di un declino irreversibile e che c’è necessità di un’azione più incisiva del settore privato nell’affrontare l’emergenza climatica e della natura.
Il briefing fornisce solide prove scientifiche che l’umanità sta mettendo la stabilità dell’intero Sistema Terra a rischio, mettendo a repentaglio lo sviluppo economico globale. I limiti del sistema planetario (Planetary Boundaries) si trovano nella “zona di rischio crescente”.
Sei dei nove confini sono già stati superati (Nuove sostanze chimiche artificiali; Cambiamento climatico; Sfruttamento delle acque dolci; Cicli biogeochimici di azoto e fosforo; Cambiamenti nell’uso dei suoli; Perdita di biodiversità), mentre degli altri tre, uno si sta velocemente avviando verso il limite (Acidificazione degli oceani). Solo un confine è stabile (Riduzione dell’ozono) ed un altro, il solo, la Quantità di aerosol atmosferico sta migliorando.
Nel 2024, il mondo ha sperimentato un deterioramento e rischi a cascata per la salute globale del pianeta:
I comportamenti delle imprese in questo contesto
Solo il 10% delle aziende dimostra di aver intrapreso azioni tangibili per affrontare l’emergenza climatica e della natura, Le aziende che vengono analizzate dal CDP-Corporate Health Check rappresentano il 67% del mercato dei capitali e sono valutate in base a 4 livelli. Solo l’1% sta ottenendo risultati che le pone al livello (Livello 4).
Per le aziende che hanno fatto i maggiori progressi, sono state individuate 4 leve chiave:
A livello globale, solo il 35% delle aziende è sulla buona strada per raggiungere i propri obiettivi.
A livello regionale, l’Europa è in testa con il 46% delle aziende attive su percorso per raggiungere i propri obiettivi. Segue il Nord America 33%, poi Asia (32%), America Latina, Oceania (27%) e Africa (25%).
Tabella_ Le macro regioni del mondo sulla strada del contenimento del surriscaldamento del clima.
Fonte: “State of Nature and Climate 2025”, redatto da World Economic Forum (WEF), Potsdam Institute of Climate Impact Research (PIK) e Carbon Discluse Project (CDP)
Il consumo di acqua è una questione importante per il 75% delle aziende valutate di tutti i settori, ma solo per il 48% divulga i dati. Allo stesso modo, mentre le foreste sono un argomento fondamentale per il 28% delle aziende, solo il 13% fornisce informazioni e pratiche in merito. Delle aziende che forniscono informazioni sulla natura, il 22% ha riferito di progressi rispetto ai propri obiettivi idrici e il 15% su quelli forestali.
Per quanto riguarda governance e incentivi, il 90% delle aziende dispone di un supervisore a livello di consiglio di amministrazione sulle questioni climatiche, con il 59% delle aziende che ha schemi di incentivazione monetaria per il management qualora vengano raggiunti gli obiettivi legati al clima. Inoltre, oltre un quarto (27%) delle aziende ha fissato un prezzo interno del carbonio, con una media prezzo di 70 dollari a tonnellata.
Quali policy attuare?
La convergenza tra scienza e azione economica, come sottolineato nel briefing sullo stato della natura e del clima mette in evidenza che mentre i rischi aumentano su scala planetaria, il progresso delle aziende per mitigare questi rischi è ben al di sotto della velocità di progressione che il mondo scientifico segnala.
Leader aziendali che divulgano dati trasparenti e responsabili ci dimostrano che i mercati dei capitali possono prosperare bilanciando contemporaneamente le esigenze delle persone, del pianeta e del profitto aziendale.
Sarebbe necessario che più aziende ne seguissero l’esempio, per integrare l’azione per il clima con gli sforzi per proteggere la biodiversità, l’acqua, l’utilizzo dei suoli, la qualità dell’aria e gli altri confini planetari (Planetary Boundaries).
La performance finanziarie possono coesistere con le azioni per la sostenibilità?
Le aziende all’avanguardia nel campo del clima e della natura costituiscono quasi il 20% della capitalizzazione di mercato totale e testimoniano un aumento del 10% all’annuo dal 2022, rispetto alle aziende non in linea con i propri obiettivi in materia di emissioni.
A conclusione del Briefing “State of Nature and Climate 2025”, redatto da World Economic Forum (WEF), Potsdam Institute of Climate Impact Research (PIK) e l Carbon Discluse Project (CDP) c’è l’appello alle aziende di tutta l’economia globale ad accelerare e integrare gli sforzi per impostare e coscienziosamente perseguire obiettivi climatici e naturali lungo tutta la catena del valore. I governi e la società dovrebbero aumentare sostegno e premi per le imprese che contribuiscono a salvaguardare il nostro futuro collettivo.
“Adottare un comportamento positivo nei confronti dell’ambiente non è più un optional, ma un obbligo aziendale”, ha dichiarato Sherry Madera, la CEO di CDP, aggiungendo che le aziende potrebbero identificare meglio i rischi e le opportunità finanziarie se venisse quantificato l’impatto delle crisi climatiche e naturali su di esse, e viceversa.
Gli eventi meteorologici estremi, provocati dal cambiamento climatico, rappresentano un rischio per i beni immobili aziendali, mentre la perdita di integrità della natura potrebbe compromettere i servizi naturali forniti da ecosistemi sani, come la depurazione delle acque e l’impollinazione.
Dobbiamo però tener a mente che le aziende non possono gestire ciò che non possono misurare. Si ripropone quindi il tema della collaborazione scientifica e della divulgazione di studi e ricerche tra i Paesi e gli operatori interessati. Come sostiene da tempo Papa Francesco “Siamo tutti sulla stessa barca, o ci salviamo insieme o non si salva nessuno”.
Tabella – Scenari possibili di surriscaldamento climatico
Le temperature globali rischiano seriamente di aumentare più di 2 gradi rispetto ai livelli dell’era preindustriale nel 2100. Fondamentale sarà il ruolo dei Centri di Ricerca, delle Agenzie nazionali e dei network scientifici e quanto verranno ascoltati dai governati, ma l’aria che tira non è delle migliori e si preannunciano anche nella UE passi indietro per le difficoltà economiche e sociali che la transizione comporterebbe. Se si stanno creando muri che aumentano i rischi per la salute pubblica planetaria.
Le scelte dei governi
Preoccupano in particolare le scelte che l’amministrazione Trump ha iniziato a mettere in atto e quelle che ha dichiarato che farà: l’uscita degli USA dal WHO e da tutti gli accordi climatici in nome di un inverosimile negazionismo della crisi climatica e, di conseguenza, la liberalizzazione di tutte le attività di ricerca e trivellazione di gas e petrolio per le corporation americane del settore in tutto il mondo con qualsiasi tecnica estrattiva e infine le ancora non ben definite politiche di sanità pubblica dove si prospettano approcci inquietanti.
Le scelte americane avranno effetti economici e politici, come è ovvio, sul resto del mondo. La presidente Von der Leyen sta per presentare il Competitiveness Compass, un atto che dovrebbe mettere l’Europa nella condizione di affrontare la “dura competizione globale”. La Commissione Ue sta per assecondare così le spinte delle imprese europee per smantellare le poche e faticose conquiste della scorsa legislatura sulla responsabilità socio-ambientale delle imprese. Il rischio di un arretramento del Green Deal europeo è quasi una certezza.
“One Health” e clima
Se questo è lo scenario è evidente che siamo arrivati ad un punto critico e forse già di non ritorno.
Si rafforza quindi la convinzione d’intraprendere politiche di salute che guardino all’approccio One Health. Non si può sottovalutare però la persistenza di scetticismi, anche tra addetti ai lavori. Chi dice che è una “moda”, chi che ci si deve concentrare sulle emergenze di tutti i giorni: le liste d’attesa, i Pronto soccorsi in sofferenza e il personale sanitario che scarseggia e non fare “fughe in avanti”, sottovalutando il fatto che le soluzioni forse si trovano proprio guardando avanti.
Il Ministero della Salute italiano ha ormai adottato l'approccio "One Health", che riconosce l'interconnessione tra la salute umana, animale e dell'ecosistema, per sviluppare politiche sanitarie integrate e sostenibili. Questo approccio è evidente in diverse iniziative e piani strategici.
Il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 (PNP) rafforza una visione che considera “la salute come risultato di uno sviluppo armonico e sostenibile dell’essere umano, della natura e dell’ambiente. Promuove l'applicazione di un approccio multidisciplinare, intersettoriale e coordinato per affrontare i rischi potenziali o esistenti che emergono dall'interfaccia tra ambiente, animali ed ecosistemi”.
Il grado d’implementazione di questi principi resta però sconosciuto, sappiamo che in questo momento in Italia non stiamo investendo in prevenzione quanto sarebbe logico fare.
Meglio stiamo facendo, dopo anni di incertezze, nel campo dell’antibiotico- resistenza di cui è stato finalmente percepito il reale pericolo. Con il Piano Nazionale per il Contrasto dell'Antimicrobico-Resistenza 2022-2025 (PNCAR), adottando il metodo "One Health", il Ministero ha sviluppato il PNCAR per affrontare l'antimicrobico-resistenza. Questo piano coinvolge tutti gli attori possibili, sia istituzionali che non, per contrastare efficacemente questo fenomeno.
È attualmente in corso una riorganizzazione del Ministero per adottare un approccio "One Health" all’interno del Servizio Sanitario Nazionale. Questa riorganizzazione mira a creare un modello di assistenza territoriale di prossimità, rispondendo ai bisogni di salute in maniera più capillare e vicina ai cittadini. Include il potenziamento dell’assistenza domiciliare, la realizzazione di nuove strutture sanitarie sul territorio e la definizione di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico.
Il contesto italiano è complesso e richiederebbe un forte coordinamento Stato-Regioni-PPAA.
In molte occasioni alla regionalizzazione del sistema sanitario vengono inputati la frammentazione, i problemi di massa critica e di economie di scala, la difficoltà nello sviluppare le competenze e gli strumenti che servono per stare al passo con l’innovazione. Tutto ciò non favorisce certo l’implementazione di una politica “One Health”. Forse per questo, certamente non solo per questo, Governo e Ministero stanno di fatto adottando una linea neo accentratrice. Si veda, ad esempio, il Decreto sulle liste d’attesa e la proposta, allo studio, di una rete di grandi ospedali indipendenti dalle Regioni.
Va però considerato che un sistema sanitario decentrato permette alle Regioni di adattare le politiche sanitarie alle peculiarità locali, promuovendo innovazione e sperimentazione sul campo. D'altro canto il rischio, e purtroppo gli esempi non mancano, sta nell’instaurarsi di condizioni di disparità nell'accesso e nella qualità dei servizi tra le diverse Regioni.
La via per riuscire ad attuare una politica sanitaria centrata su “One Health” è forse saper bilanciare centralizzazione e decentralizzazione per rispondere adeguatamente alle sfide sanitarie, tenendo conto delle specificità locali e della necessità di una governance efficace.
Una dimensione sovranazionale per una politica “One Health”
Per un efficace politica “One Health” occorrerà anche qualcosa di nuovo e di più: creare un vasto ecosistema della salute che per essere indipendente da condizionamenti di ogni tipo, primo fra tutti la minaccia oligopolista in corso, deve avere dimensioni e disponibilità finanziarie significative, cioè sovranazionali, con piani d’investimento e d’intervento focalizzati sugli interessi ed il bene dei cittadini, un condiviso sistema regolatorio, adeguato a tale finalità ma opportunamente snello, per non sortire l’effetto contrario.
Crediamo che sbagli chi considera la dimensione continentale europea troppo vasta per condividere gli stessi bisogni, le stesse esigenze e le stesse aspettative dei cittadini. Le differenze sono marginali e si risolvono con una politica di gestione della sanità e del welfare nuova e coraggiosa da costruire progettando i processi che generano salute e la loro implementazione con la partecipazione di una miriade di comunità civiche, “think globally, act locally”.
Accanto all’azione dei policy maker servirà anche una “rivoluzione cognitiva” di massa. Se questa sarà la futura discontinuità nelle società democratiche non prevarrà il rischio di oligopoli predatori che si fanno Stato. Come sempre nella storia quanto più e quanti più cittadini avranno i mezzi culturali adatti tanto più saremo al sicuro dal pericolo di nuovi despoti che ci spingeranno a barattare sistemi che si fondano sull’universalismo con approcci basati sugli individui. Se ciò dovesse accadere alcuni, tra i cittadini, saranno più forti e si faranno valere ma altri non avranno le stesse possibilità e… alla fine perderanno tutti.
Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma.
Laura Franceschetti,
Professoressa presso DiSSE, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma
Andrea Vannucci,
Professore a contratto di programmazione, organizzazione e gestione delle aziende sanitarie DISM UNISI,