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Chi e perché sta abbandonando i consultori?

di Michele Grandolfo

È totalmente irragionevole che solo una quota irrisoria, generalmente meno del 20%, di donne in gravidanza venga seguita dal consultorio familiare o da un’ostetrica, come è raccomandato, nonostante le indagini nazionali condotte dall’ISS nel corso di decenni testimonino come l’assistenza consultoriale o dell’ostetrica e gli incontri di accompagnamento alla nascita  producano maggiore soddisfazione e migliori esiti di salute, come la maggiore persistenza dell’allattamento al seno, senza trascurare la minore esposizione alle pratiche inappropriate

11 DIC - I consultori familiari istituiti nel 1975 (legge 405) sono i servizi di base a fondamento di una sanità pubblica sostenibile nel 21esimo secolo.
 
Prima della loro istituzione esistevano servizi consultoriali di ispirazione cristiana e laica, che si ispiravano alla definizione di salute del 1948 (non solo assenza di malattia ma completo benessere psicofisico) che metteva in discussione il paradigma del modello biomedico di salute, ma non ne traeva tutte le conseguenze mantenendo il paradigma che ha caratterizzato tutto il ventesimo secolo: il paternalismo direttivo.
Nel secolo scorso si sviluppano le istituzioni di sanità pubblica, anche in risposta alle rivendicazioni espresse nei conflitti sociali, soprattutto nel campo del lavoro, riconoscendo le crisi sanitarie (anche dovute alle condizioni di estremo disagio negli ambienti di lavoro) come problema di ordine pubblico.
 
In Italia la Sanità Pubblica ha avuto livelli di eccellenza nella qualità dell’organizzazione sul territorio e per le attività svolte: Medici provinciali e Laboratori di Igiene e Profilassi e Ufficiali sanitari in ogni comune, con le ostetriche condotte. Tutto sotto il coordinamento del commissariato alla sanità del ministero dell’interno (il ministero della sanità fu costituito negli anni cinquanta). Vale la pena ricordare che i “general practitioner” della riforma inglese di Beveridge si ispiravano ai nostri ufficiali sanitari.
 
Il paternalismo direttivo veniva radicalmente messo in discussione dal  movimento delle donne dalla fine degli anni sessanta: nelle piazze e per le strade le donne gridavano “il corpo è mio e lo gestisco io”. Rivendicazione radicale dell’autodeterminazione e dell’autonomia. Già il movimento operaio aveva minato il paternalismo direttivo rivendicando il diritto a parlare delle loro condizioni e di essere artefici della tutela della loro salute, con Maccacaro, e, con Basaglia, anche ai malati di mente fu riconosciuto il diritto alla parola.
Per inciso, Maccacaro e Basaglia furono giganti del ventesimo secolo, che ricordo assieme a A. B. Sabin, altro genio assoluto della sanità pubblica con un vaccino adatto per una strategia vincente di sanità pubblica, che esalta il concetto di salute come bene comune.
 
I consultori femministi autogestiti prefigurarono i futuri consultori della legge 405 per il portato innovativo non solo sotteso da un modello sociale di salute (quelle sociali sono le cause dietro le cause) ma, soprattutto, per la modalità non paternalistica delle relazioni con la finalità della promozione della salute.
Il compromesso lessicale che li fa chiamare nella legge consultori familiari servì per affermare una rivoluzione copernicana: è la persona, nel contesto delle sue relazioni affettive e sociali, che decide di sé con consapevolezza, acquisita nel percorso della promozione della salute.
Le donne e l’età evolutiva sono le sezioni prioritarie della popolazione verso le quali delineare strategie di promozione della salute, le prime perché perni delle relazioni affettive e sociali, l’età evolutiva perché costruisce il futuro.
 
Mentre il paternalismo direttivo trova giustificazione in un modello biomedico di salute: il professionista sa e dispone il da farsi e la persona deve seguire le direttive, il modello sociale di salute implica che la dicibilità delle cause sociali è competenza della persona e deve essere messa in grado di esprimere tale competenza: si tratta di un iniziale percorso di empowerment, che si attiva se chi opera si dispone con rispetto, gentilezza, empatia, compassione e umiltà, da considerare vere e proprie competenze professionali. Per inciso, è di moda la medicina narrativa, ma la medicina o è narrativa o non è.
 
È opportuno sottolineare che solo dopo un decennio con la Carta di Ottawa (1986) si propone una nuova definizione di salute come la condizione in cui la persona ha capacità autonoma di controllo sul proprio stato: la promozione della salute si pone tale obiettivo.
L’arte socratica della maieutica viene applicata per stimolare la riflessione e il ripensamento sui propri vissuti quotidiani, sulla memoria storica della comunità di appartenenza, compresi i tabù e i pregiudizi: alle domande che emergono debbono essere proposte le migliori conoscenze scientifiche, con i contesti di validità  e i loro margini di errore. La riflessione in corretti termini probabilistici sui benefici e sui rischi delle varie alternative, alla luce delle preferenze della persona, può portare all’autodeterminazione e al controllo autonomo del proprio stato.
 
Il movimento delle donne, nel rivendicare per tutte e per tutti l’autodeterminazione, sperimentò un modello di servizio di base, originale per i paradigmi che congiuntamente lo sottendevano, per costruire un percorso di liberazione dagli stereotipi e di acquisizione di consapevolezza.
Le professioniste e i professionisti che si impegnarono con entusiasmo nei nuovi servizi tuttavia furono, nella generalità dei casi, condizionati dal modello ambulatoriale di attesa di chi propone un problema di salute anche se non mancarono esperienze geniali di offerta di servizio in ambienti comunitari per la promozione della salute, a partire dalle scuole. La deriva verso una prevalente attività di cura era inevitabile senza una strategia operativa per la promozione della salute. Venivano a essere privilegiate le prestazioni, i cui numeri venivano richiesti come valutazione di attività dai servizi di gestione tradizionali. Ciò comportava un rischio di frammentazione e settorializzazione in clamorosa contraddizione con l’idea originale di operare come equipe multidisciplinare.
 
Già nei primi convegni degli inizi degli anni ottanta emersero le criticità, peraltro favorite dalle legislazioni regionali differenziate secondo logiche contraddittorie. Le criticità furono esacerbate dalle ostilità dei servizi tradizionali che provarono sistematicamente ad emarginare questi servizi innovativi che mettevano in discussione con la loro presenza il modello biomedico di salute e il paternalismo direttivo. Anche se, a tale proposito, la deriva ambulatoriale tendeva a far  rientrare dalla finestra i due paradigmi tradizionali. Peraltro, la stessa riforma sanitaria della legge 833/78 fu osteggiata proprio per i principi innovativi che avevano dato luogo precedentemente anche all’istituzione dei consultori familiari.
Era necessario riflettere sulle implicazioni in termini di strategie operative della scelta della promozione della salute come attività dominante e qualificante. L’idea del POMI nasce alla metà degli anni ottanta, le prime formulazioni furono approvate in commissioni ministeriali del 1987-89 e del 1995-96, da cui scaturirono finanziamenti e la legge 34/96 che stabiliva un consultorio ogni 20 mila abitanti. Il POMI fu varato nel 2000.
 
Come valutare l’efficacia, in termini di impatto di sanità pubblica, dell’attività di promozione della salute? Il livello di capacità autonoma di controllo sul proprio stato non è misurabile, ma lo sono gli effetti, in termini probabilistici, di riduzione del rischio di eventi e condizioni di sofferenza,  di una maggiore capacità di cercare salute e della disponibilità ad aiutare altre persone nella crescita di consapevolezza.  Il primo punto è cruciale: le condizioni di rischio non sono uguali nelle stratificazioni sociali e, nella generalità dei casi, chi vive in condizioni di marginalità sociale è a maggior rischio e ha minore capacità di “cercare salute”. Senza un modello operativo di offerta attiva non viene esposto all’attività di promozione della salute proprio chi è a maggior rischio e, di conseguenza, l’impatto dell’intervento risulta ridotto.
 
Offerta: ci si rivolge alla persona con rispetto, gentilezza, empatia, compassione ed umiltà; attiva: se la persona rifiuta il coinvolgimento ci si deve domandare quali errori possono essere stati compiuti nel superare le barriere della comunicazione, guarda caso maggiori per chi vive in condizioni di marginalità sociale, perché non è dato sapere senza un’indagine epidemiologica se il rifiuto sia stata una scelta consapevole, da rispettare, o, piuttosto, una conseguenza di un difetto di comunicazione.
 
Quindi la conoscenza epidemiologica dei differenziali di rischio nella comunità di riferimento è essenziale per non rischiare di andare a cercare la chiave dove c’è luce e non dove la si è persa.
Quindi strategie operative per rispondere alle domande: Chi? Come? Quando? Dove? Con la consapevolezza che le persone difficili da raggiungere sono anche quelle a maggior rischio.
Infatti, come si è detto, la capacità di cercare salute è un risultato dell’azione di promozione della salute e non può essere valido il modello operativo di attesa che un bisogno, peraltro potenziale, venga proposto spontaneamente.
 
L’offerta attiva ha un alto valore di etica pubblica, chiaramente richiamata dall’articolo 32 della Costituzione, ma rappresenta una modalità operativa essenziale per le verifiche di efficacia in quanto altrimenti non sarebbe possibile riconoscere se il risultato dell’attività dipenda dall’agire professionale o non piuttosto dai fattori che hanno determinato l’autoselezione. Quindi, la valutazione della qualità è possibile in modo rigoroso solo quando il meccanismo dell’offerta attiva è operativo.
È interesse di tutti che i servizi operino secondo il modello dell’offerta attiva, infatti il benessere di ciascuna persona dipende da quello di tutte le altre e anche  i più abbienti vedono il loro benessere aumentare se aumenta quello dei meno abbienti, a conferma che la salute è bene comune.
 
Parlare di strategie operative ha senso se sono chiari gli obiettivi specifici e scelti gli indicatori di esito per valutarli,  se è definita la popolazione “bersaglio” con le sue articolazioni rispetto al rischio,  se sono delineate le attività i cui risultati da valutare con adeguati indicatori di risultato, le modalità con cui svolgerle, a partire dalle procedure per l’offerta attiva, da cui ricavare gli indicatori di processo. In tale prospettiva derivano conseguentemente i carichi di lavoro necessari, per ogni componente dell’equipe consultoriale, per coinvolgere un numero minimo ottimale delle popolazioni bersaglio, nel bacino di riferimento del servizio consultoriale, dei programmi strategici (percorso nascita, educazione sessuale nelle scuole, prevenzione del tumore del collo dell’utero), di quelli satellite, oltre  al tempo per rispondere alle richieste di altre autorità, per l’utenza spontanea, la programmazione, la formazione e la valutazione, avendo cura di raggiungere equamente tutte le articolazioni sociali. È da tale approccio che scaturisce l’indicazione di un consultorio ogni 20000 abitanti della legge 34/96 con l’organico e gli orari di lavoro indicati nei documenti ministeriali e infine nel POMI.
 
Perché i programmi strategici indicati? Nel percorso nascita si vive un cambiamento di rilevanza assoluta in cui si esprime una competenza e una ricerca di benessere: la disponibilità a rimettere in discussione gli stili di vita è massima, il contatto con i servizi sanitari avviene nella dimensione della fisiologia (nella generalità dei casi). Inoltre sperimentare una competenza, quella di far nascere, rafforza il senso di competenza, essenziale per affrontare le “sfide” poste dal nuovo sistema relazionale  affettivo nella ricerca del ben-essere.
 
L’ostetrica, figura pivotale nell’equipe consultoriale (equipe che va vista come ensamble jazzistico piuttosto che orchestra sinfonica) svolge una funzione essenziale nel far emergere, valorizzare, promuovere, sostenere e proteggere le competenze della donna e della persona che nasce (questo e non altro significa assistere la fisiologia) , accoglie le “fragilità” e, promuovendo la capacità di cercare salute, aiutare la donna a tenerle sotto controllo e a superarle, offre un’opportunità eccezionale di crescita di consapevolezza, a partire dall’alimentazione e la procreazione responsabile. Tale “assistenza” deve essere garantita a maggior ragione quando si ha a che fare con una gravidanza e parto problematici, in cui l’affiancamento dell’esperto di patologia è indispensabile, perché in tali circostanze si propone la tendenza a delegare e a perdere il controllo sul proprio stato. Per la persona che nasce avere la possibilità di poter sperimentare le proprie competenze sostenute dalla dimensione affettiva è essenziale per sviluppare il senso di autonomia e renderlo meno disponibile agli stereotipi, alimentari e non solo.
 
L’età evolutiva, peraltro immersa in un processo di formazione formale (che, se ben condotto, aiuta a sviluppare competenze e autonomia), ha una plasticità caratteristica dei continui cambiamenti che sperimenta. Lo stimolo alla riflessione e al ripensamento sui vissuti e sulla memoria storica della comunità di appartenenza, da connettere alla memoria storica della comunità globale, anche con gli strumenti didattici in corso di acquisizione, ha una potenzialità di successo straordinaria, soprattutto se c’è l’invito a produrre “opere” da utilizzare per “educare” gli adulti (ecco che cosa si deve intendere con l’”health promoting school”). Il tema della sessualità e delle relazioni affettive è certamente un tema caldo di estremo interesse ed è presente in tutte le manifestazioni della creatività umana, vero e proprio “cavallo di Troia” per sviluppare processi di consapevolezza con la finalità di aumentare il controllo sul proprio stato: non c’è ambito migliore per mettere in discussione gli stereotipi, a partire da quelli primali del maschilismo.
 
La prevenzione del tumore del collo dell’utero ha come popolazione bersaglio le donne di età compresa tra 25 e 64 anni: è la popolazione femminile più attiva, pilastri delle famiglie, con “bisogni” di promozione della salute facilmente immaginabili: dal desiderio di fecondità alla procreazione responsabile, dall’alimentazione all’attività fisica, dalla prevenzione dei tumori alla gestione della menopausa, per citare i più importanti.
Se l’età evolutiva costruisce il futuro, la crescita di consapevolezza delle donne ha evidenti riflessi nella famiglia e nella società, con effetti più rapidamente acquisibili.
 
Se la promozione della salute ha come obiettivo specifico una aumentata capacità di cercare salute
, si comprende come la relazione che si instaura con le singole persone nei programmi strategici e in quelli satellite offre l’opportunità di far emergere fragilità, problemi familiari e/o sociali che altrimenti non emergerebbero se non come punta di iceberg:  spesso si tratta di condizioni delle quali si ha vergogna a parlare,  come nel caso di abusi e violenze familiari o condizioni di dipendenza che riguardano la persona stessa o i propri cari. Si riconosce così l’importanza strategica delle equipe multidisciplinari per la straordinaria capacità di immediata presa in carico in un sistema protetto. Non c’è problema di salute che non si configuri in tutte le sue sfaccettature e implicazioni bio-psico-sociali.
 
In definitiva, avere servizi di base con capacità di visione integrata, dedicati alla promozione della salute, con prioritaria attenzione alla salute della donna e dell’età evolutiva, considerate in un sistema paternalistico aree di fragilità mentre invece, liberi dagli stereotipi, sarebbero da considerare aree forti della popolazione per le potenzialità di promozione  della salute, è la condizione perché possa esistere un valido servizio sanitario pubblico universale.
Promuovere la consapevolezza delle persone e delle comunità nel produrre benessere riduce i rischi di malattia e le conseguenti necessità di cura e riabilitazione, determina anche le condizioni per arginare la vera piaga che minaccia la sostenibilità del sistema sanitario pubblico: l’esplodere dell’inappropriatezza.
 
Nell’attuale temperie, caratterizzata da una continua e pervicace offerta di prestazioni diagnostico terapeutiche, ammantate della fascinosità dell’essere prodotte dalle biotecnologie avanzate ma spesso prive di documentata validità scientifica (mancano conclusive prove di efficacia) e sempre più, ingiustificatamente,  costose, l’unico baluardo per frenare il rischio di insostenibilità è rappresentato dalla consapevolezza delle persone e dalla loro capacità autonoma di controllo del proprio stato di salute che le rende difficile preda di un mercato famelico.
L’inganno sta nello scambiare come scientifico qualcosa prodotto dalle più avanzate biotecnologie ma senza il riscontro scientifico delle prove di efficacia. Si comprende come per fare mercato della salute ci sia necessità di un ritorno asfissiante di paternalismo direttivo, peraltro ammantato della vernice della scientificità, in un contesto di persone deleganti e non autonome.
 
L’inappropriatezza si mangia fino a un terzo delle risorse dedicate alla salute, tenendo conto anche degli effetti iatrogeni da mettere sempre in conto. L’insostenibilità è garantita e la deriva verso sistemi privatistici è all’ordine del giorno. L’esperienza statunitense ci indica la meta: più spese a fronte dei peggiori indicatori e maggiori differenziali di salute, oltre ad ampie quote di popolazione non coperte dall’assistenza sanitaria.
Se c’è un ambito in cui l’inappropriatezza esplode in tutta la sua inaccettabilità e contraddittorietà è proprio il percorso nascita, caratterizzato nella generalità dei casi dalla fisiologia, che deve essere rispettata ed è invece  sistematicamente violata con la “minaccia” del rischio e con la presunzione di produrre maggiore sicurezza che, al contrario, viene messa in discussione: le interferenza sulla fisiologia (che è bene ricordare essere espressione di competenza) produce danno, come è nel caso del trauma perineale, o induce al ricorso a pratiche di chirurgia maggiore (taglio cesareo, salva vita nelle rare volte per cui è indicato) con complicanze iatrogene non trascurabili.
 
Gli effetti iatrogeni a breve non sono l’unico effetto perverso dell’inappropriatezza, sono di gran lunga più importanti gli effetti subdoli di inibizione del senso di competenza, prodotta con l’interferenza della sua espressione. Per non parlare dell’impedimento dell’espressione di competenza della persona che nasce, con effetti devastanti, anche di tipo epigenetico, e dell’impedimento dell’incontro che permette l’espressione di autonomie in relazione affettiva, fondamento di tutte le relazioni affettive valide. Questo è l’effetto perverso di impedire il contatto pelle-pelle immediato e prolungato e il conseguente tempestivo attacco al seno, determinanti l’avvio corretto dell’allattamento e della sua persistenza nel tempo.
 
Nel percorso nascita l’inappropriatezza, nel foraggiare in modo scandaloso il mercato della salute, produce senso di dipendenza, delega all’”esperto” che si ammanta dell’alone della scienza negandola quando propone procedure non sostenute da valide prove scientifiche: ecco le basi del mercato della salute.
 
È totalmente irragionevole che solo una quota irrisoria, generalmente meno del 20%, di donne in gravidanza venga seguita dal consultorio familiare o da un’ostetrica, come è raccomandato, nonostante le indagini nazionali condotte dall’ISS nel corso di decenni testimonino come l’assistenza consultoriale o dell’ostetrica e gli incontri di accompagnamento alla nascita  producano maggiore soddisfazione e migliori esiti di salute, come la maggiore persistenza dell’allattamento al seno, senza trascurare la minore esposizione alle pratiche inappropriate.
 
È proprio la costanza di rilevazione nelle indagini epidemiologiche di maggiore soddisfazione e di maggiore efficacia dei servizi consultoriali, nonostante i limiti, nonostante l’emarginazione, permette di affermare che i consultori familiari pubblici operanti secondo il modello del POMI sono servizi del ventunesimo secolo e pilastri di un servizio sanitario nazionale pubblico, universale e sostenibile.
 
Michele Grandolfo
Epidemiologo, già dirigente di ricerca dell'Istituto Superiore di Sanità e direttore del reparto Salute della Donna e dell'Età evolutiva del CNESPS

 
Riferimenti
Indagine percorso nascita 2002 http://www.epicentro.iss.it/problemi/percorso-nascita/ind-pdf/nascita-1.pdf
http://www.epicentro.iss.it/problemi/percorso-nascita/ind-pdf/nascita-tabelle.pdf
Indagine percorso nascita 2009-10 Rapporto ISTISAN 12/39 www.iss.it/binary/publ/cont/12_39_web.pdf
Indagine percorso nascita immigrate 2009 Rapporto ISTISAN 11/12 www.iss.it/binary/publ/cont/11_12_web.pdf

11 dicembre 2017
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