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Responsabilità professionale. E alla fine il medico rinuncia all’alleanza con il malato e alla sua autonomia clinica, pur di stare tranquillo

di Ivan Cavicchi

Dispiace constatarlo ma è così. Il ddl appena approvato dalla Commissione Affari Sociali della Camera sancisce infatti la perdita della libertà di azione del medico che si troverà vincolato a linee guida che diventano non più strumenti facoltativi di consultazioni ma strumenti vincolativi e dall’altro scarica sul malato l’onere della prova in barba al rapporto di fiducia medico/paziente

23 NOV - Sabato mattina (l’altro ieri) ero al V Congresso Aio (Qs 20 novembre 2015). Dopo la mia relazione di apertura si sono succeduti altri relatori tra i quali un avvocato  cassazionista (Maddalena Giungato) che, a un certo punto del suo discorso, ha fatto un inciso piuttosto critico sul testo unificato appena approvato alla Camera  “Disposizioni in materia di responsabilità professionale...ecc) che mi ha colpito per due ragioni:
· questo avvocato per professione difende abitualmente i medici in tribunale, cioè conosce bene la trincea;
· i suoi giudizi contrastano  con quelli positivi sul ddl che avevo letto di Fnomceo e dei sindacati (vedi diversi commenti su QS del 20/21 novembre 2015).
 
Le obiezioni più incisive riguardavano:
· l’art. 3 quindi l’istituzione del difensore civico quale garante del cittadino che “può essere adito gratuitamente” da tutti, “direttamente o mediante  un proprio delegato per la segnalazione anche anonima di disfunzioni del sistema  dell’assistenza sanitaria”;
· l’art. 4 che istituisce presso l’Agenas “l’osservatorio nazionale sulla sicurezza in sanità” che deciderà “idonee misure” sul problema senza che  sia prevista alcuna rappresentanza della professione (si parla genericamente di ausilio delle società scientifiche);
· l’art. 7 che prevede l’azione di rivalsa della  Asl nei confronti del medico (nella misura massima di un quinto della retribuzione mensile con una serie di interdizioni professionali) e delle assicurazioni.
 
Incuriosito non poco, appena arrivato a casa, mi sono andato a leggere il testo, scoprendo non solo che i giudizi dell’avvocato cassazionista non erano per niente strampalati, ma che dal  punto di vista della “questione medica”, le cose erano ben più drammatiche: i medici  forse, ripeto forse, con quella proposta rimediavano qualcosa (Cassi Qs 20 novembre 2015), ma come professione certamente ne uscivano malissimo. In altre parole: quando la pezza è peggiore  del buco.
 
Subito mi è come scoppiata in faccia la contraddizione:
· da una  parte  il senso della manifestazione del 28 novembre, di emancipazione quasi di liberazione della professione dai tanti dispotismi ai quali è sottoposta;
· dall’altra il senso di sottomissione  della professione che per risolvere il problema del contenzioso legale accettava  di rinunciare niente meno che alla sua autonomia clinica.   
 
Chiedo, soprattutto a Roberta Chersevani, emancipazione e sottomissione possono stare nella stessa rivendicazione?
 
Le mie riflessioni:
· l’istituzione del difensore civico cioè un garante dei cittadini significa che i medici rinunciano a recuperare un rapporto fiduciario con i loro malati combattendo il contenzioso legale “semplicemente” rifondando le loro relazioni di cura;
· i medici con questa proposta di legge non sono più i garanti storici che sono sempre stati dei loro malati,  diventandone di fatto  le  controparti; la famosa alleanza terapeutica va a farsi benedire;
· si prevede “l’anonimia” della segnalazione, come se il medico fosse un criminale  pericoloso, ma in questo modo non solo si favorisce  la diseducazione sociale dei cittadini (che ricordo oltre che avere dei diritti hanno dei doveri), ma il medico diventa il parafulmine di tutta la malasanità, cioè tutte le disfunzioni del sistema gli saranno addebitate (l’art. 3 parla di “disfunzioni del sistema”). La disfunzione diventa malpractice;
· l’osservatorio, senza la presenza dei medici, dà l’idea di una professione sotto tutela, probabilmente suggerita da una fraintesa idea di neutralità dell’organismo stesso, ma le società scientifiche (lo dico ovviamente con il massimo rispetto) non sono la stessa cosa dei medici nei servizi, come la teoria non è la stessa cosa della pratica;
· l’azione di “rivalsa” delle aziende vuol dire scaricare il contenzioso sulle assicurazioni. Ciò ha due significati uno politico e uno pratico: il primo è che con la rivalsa tutta la responsabilità diventa individuale quindi non c’è più l’attenuante della responsabilità organizzativa (la Fnomceo che su questi problemi ha fatto tanti convegni  deve  dire  addio al Swiss Cheese Model per la gestione del rischio clinico); il secondo è che se le rivalse saranno onerose lo saranno anche i premi da pagare.
 
Ma la lettura del testo del ddl ha rivelato altre magagne:
· tutta l’organizzazione necessaria a far camminare la proposta di legge  e descritta nell’art. 2 (attività di gestione del rischio sanitario), art. 3 (difensore civico), art. 4 (osservatorio nazionale) è rigorosamente a costo zero, cioè il ddl  rischia di essere una petizione di principio dal momento che non prevede nessun finanziamento dedicato...e in tempi di definanziamento con le aziende che dovranno finanziarsi anche  le coperture assicurative, non è uno scherzo;
· il ddl legittima di fatto la medicina difensiva per mezzo di un sistema sovrano di linee guida, che con il ddl diventano non più strumenti facoltativi di consultazioni ma strumenti vincolativi. A parte il problema importante sollevato da Gallone (QS 20 novembre 2015) di chi fa le linee guida e di quali linee guida, è evidente che per non incorrere in alcuna responsabilità professionale, cioè per essere invulnerabile, il medico ne farà un uso cautelativo generalizzato. Addio autonomia clinica.
 
A questo punto mi chiedo:
· perché mai con il “decreto appropriatezza” i medici hanno gridato per difendere giustamente la loro autonomia in pericolo e ora che con questo ddl  la loro autonomia rischia di essere integralmente amministrata  dalle linee guida, non dicono niente? Anzi si dichiarano d’accordo?
· come si risolve la contraddizione evidente che c’è tra sicurezza delle cure (art. 1) e autonomia clinica come prima condizione della  appropriatezza?
· come si può evitare che l’appropriatezza (per me propriety) sia ridotta a mero proceduralismo?
· come è possibile che l’autonomia sia un valore categorico non negoziabile  nel caso delle sanzioni e sia un valore relativo negoziabile  nel caso della responsabilità professionale?
· che fine ha fatto la tanto citata “centralità del malato”?
· quale professione sarebbe quella che, per diventare invulnerabile cioè proteggersi le terga, si vende la ragione fondante del suo modo di essere?
 
E’ del tutto evidente che con questa proposta di legge i medici rischiano di passare alla storia come degli opportunisti  a etica variabile. Invece di superare il self interested  che tanto li ha screditati  e tanto ci costa, di fatto hanno accettato di metterlo a regime. Chi se ne frega dell’autonomia e della questione medica! L’importante è essere invulnerabili  cioè  farla franca! E questo, è bene che si sappia, non giova all’immagine già molto compromessa della professione.
 
Se per essere invulnerabile devo da una parte scaricare l’onere della prova sul malato e dall’altradiventare una lavatrice obbediente, chi se ne frega. Io la notte voglio dormire tranquillo.
 
Non so se l’inversione dell’onere della prova sia incostituzionale come sospetta Tonino Aceti (QS 20 novembre 2015) so però che:
· è una sciocchezza correre dietro all’infallibilità  perché la medicina è fallibile;
· non è nobile che un medico per essere invulnerabile renda vulnerabile ancor di più il proprio malato.
 
Il malato per far fronte a questo nuovo onere dovrebbe avere (conoscenze empiriche a parte)  conoscenze scientifiche che non ha, avere l’accesso che non ha a tutte le informazione che lo riguardano, avere a disposizione prove chiedendole a chi non ha nessun interesse a dargliele....insomma come fa materialmente un malato comune a provare la responsabilità del medico nelle migliaia e migliaia di casi clinici  diversi  con tutte le loro infinite complessità?
 
Forse ha ragione Cassi quando dice che la proposta di Gelli contribuisce a riportare  “serenità nel lavoro del medico”, ma a quale prezzo? Possibile mai che per risolvere il contenzioso legale si debba rompere con i malati...acuendo a dismisura la “questione medica”? Vi rendete conto  o no del significato di questa storica rottura?
 
Mi chiedo a questo punto quale sia il senso reale della manifestazione nazionale del 28. Per cosa ci si batte? Lo chiedo  a Troise che anche nel suo ultimo appello alla partecipazione si preoccupa dei malati e dei loro diritti e usa la metafora della trivial machine (Qs 18 novembre 2015).
Ci battiamo:
· per un medico che per deresponsabilizzarsi di fatto ha trovato il modo di  scaricare  la colpa sul malato  accettando di essere come una lavatrice?
· per un medico capace che a partire dal fallibilismo inevitabile della medicina costruisce prima di tutto una relazione fiduciaria  e responsabile con il proprio malato e con la società?
 
Questa proposta di legge sulla responsabilità professionale è a dir poco paradossale:
· da una parte vi è il medico senza colpa e quindi invulnerabile perché  infallibile;
· dall’altra invulnerabilità e  infallibilità si basano sulla  riduzione del  medico ad una macchina banale.
 
Ma vi rendete conto di cosa state combinando e di quale pessimo affare state facendo? Ci vediamo alla manifestazione.
 
Ivan Cavicchi
 
Ps:a proposito di significati giuridici suggerisco  di leggere ciò che scrivono:
· il presidente “dell’osservatorio sanità” degli avvocati, Francesco Lauri che  a proposito di responsabilità professionale teme  il “rischio dell’ennesimo  buco nell’acqua” (QS  10 ottobre 2015).
· Giovanni Pasceriun altro avvocato cassazionista che parla di occasione persa (QS 22 settembre 2015).

23 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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