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Ancora sulle donne in medicina. Alla ricerca di un nuovo “genere”

di Ivan Cavicchi

Quando le donne  propongono  di partire dalla persona malata  non fanno altro che  ri-genera-re ontologicamente il malato che per ragioni scientifiche è stato de-genera-to  cioè ridotto a genere neutro. Questo è un cambiamento riformatore vero e non ha nulla a che fare con le chiacchiere sull'umanizzazione

28 LUG - L’articolo sull'iniziativa di Cagliari “Il filosofo e il cancro della mammella” ha dato corpo ad una pregnante riflessione (Orrù, Sarobba, Calvisi, NonnisMazzei). Essa ha posto in una luce nuova la questione  del rapporto peculiare tra donne medico medicina e  sanità. Con Teresita   Mazzei questo intreccio con molta lucidità  viene ancora più evidenziato riconfermando due valori tra loro interdipendenti:
• la donna quale nuovo modo di conoscere;
• la donna quale idea nuova di organizzazione del sistema di cura.
 
La donna medico viene così a trovarsi quale “termine medio” tra conoscenza e prassi . Cambiare la prima implica necessariamente cambiare la seconda. Il postulato di fondo che il genere femminile costituisca  “in qualche  modo” un valore aggiunto nei confronti del cambiamento viene così debanalizzato. Da un modo ingenuamente deterministico “basta essere donna per cambiare la medicina” si passa ad una idea nuova nella quale il cambiamento coemerge da una visione  nuova da parte della donna medico  tanto della medicina che  dell'organizzazione sanitaria. 
 
Ma in che modo  ciò avviene? Per rispondere vorrei proporre una riflessione che ho portato avanti in questi anni, e che ha a che fare con “l'ontologia” una parola che ricorre ostinatamente  in tutti i miei libri, usata dalla filosofia  ma non dalla medicina, ma che certe  donne medico, a quanto pare, mostrano di conoscere molto bene. Vorrei dimostrare tre cose:
• che chiunque voglia introdurre un qualche cambiamento nelle prassi mediche non può non passare per l'ontologia;
• che qualsiasi cambiamento che avviene con ontologie invarianti  rischia di essere un  falso cambiamento;
• che le novità che certe donne medico introducono sono prima  di tutto ontologiche quindi cambiamenti veri.
 
L'ontologia come è noto si occupa dell'essere, di ciò che è, di quello che esiste. Non esiste scienza che non abbia una ontologia implicita. Tutti i ragionamenti della  medicina partono da una ontologia naturale, oggettiva, biologica, organicistica, fisica, molecolare, ecc. Per cui l'ontologia è la premessa che decide  la prassi. Se il malato è considerato  in un certo modo allora sarà conosciuto e curato in un certo modo.
 
Quando a Cagliari ho posto la domanda “di cosa parliamo..di cancro della mammella o di donna malata di cancro” ho semplicemente posto un quesito ontologico “chi è e cosa è” quell'entità che dobbiamo curare perché a seconda del suo significato ontologico avremo un tipo o un altro  di medicina e di sanità. Per proseguire il mio discorso devo però rimettere le cose a posto a come erano al tempo delle nostre lingue madri cioè quando i generi erano tre: maschile, femminile e neutro.
 
Il  genere neutro designava tutti quei nomi, né maschili né femminili, e in particolare il mondo delle cose e degli oggetti. Il mio quesito “chi è e cosa è quella entità che dobbiamo curare” significa molto semplicemente decidere “a quale genere appartiene la donna malata di cancro”? Se la malattia coincide con l'organo, il genere più adatto a significarla è quello “neutro”. Se al contrario la malattia coincide con la persona, il genere più adatto è quello “umano”. Per un medico non è la stessa cosa rapportarsi con un “genere neutro”  o con un “genere umano”:
• nel primo caso prevarrà una ontologia dell'oggetto, nel secondo caso una ontologia del soggetto;
• e ancora, nel primo caso avremo una “disparità di genere” tra malato e medico e la conoscenza sarà solo biologica, nel secondo caso avremo una “parità di genere” e la conoscenza  sarà biologica e sovra biologica quindi tanto oggettiva che soggettiva;
• e infine, nel primo caso avremo una organizzazione sanitaria tayloristica cioè spezzettata, nel secondo caso una organizzazione sanitaria interconnessa.
 
Le donne di Cagliari, in fin dei conti, hanno proposto di ridiscutere una conoscenza clinica e una organizzazione sanitaria fondata sulla “disparità di genere”. Non credo che questo sia una coincidenza fortuita. Mi colpisce che le donne medico che  nella loro professione  conoscono molto bene sulla propria pelle il significato di “differenza di genere”, propongano un “genere” di medicina  che per prima cosa  ridiscute le disparità ontologiche tra malato e medico (aspetto che andrebbe approfondito). Ma in cosa consiste l'operazione  di ripensare la medicina non su una disparità ma su una parità ontologica?
 
Si tratta, in una società radicalmente trasformata in ogni suo aspetto, di fare il percorso contrario a quello che fu fatto quando nacque la medicina scientifica di stampo positivistico ma senza rinunciare a nessuna delle garanzie che offre la  conoscenza scientifica:
• se fino ad oggi  per conoscere la malattia si è trattato di trasformare ontologicamente la persona in sostanza vivente ora si tratta di contro ridurre la sostanza vivente in persona;
• se sino ad oggi la riduzione della persona a sostanza vivente aveva la pretesa di rendere equipollente la  sostanza vivente alla persona - cioè di considerare Il malato come genere neutro, equipollente al malato come genere umano - oggi tale pretesa va revocata.
 
In questi anni, libro dopo libro, non ho fatto altro che tentare di ridiscutere questa pretesa e come me a quel che pare, molte  donne medico.
Quando esse a Cagliari propongono  di partire dalla persona malata  non fanno altro che ri-genera-re ontologicamente il malato che per ragioni scientifiche è stato de-genera-to cioè ridotto a genere neutro. Questo è un cambiamento riformatore vero e non ha nulla a che fare con le chiacchiere sull'umanizzazione perché ridiscute il metodo della conoscenza. Infatti  in medicina la riduzione del malato ad organo è un metodo di conoscenza. Ridiscutere il genere neutro dell'organo significa ripensare la clinica quale forma di conoscenza. Questo sarebbe un atto di riforma vero.
 
La forza di questa riforma non è solo culturale ma è molto di più. Ripensare i postulati del binomio medicina/sanità è straordinariamente più conveniente per tutti da ogni punto di vista. Da quello clinico perché se conosci meglio curi meglio, da quello sociale perché un malato ha più possibilità di guarire o quanto meno di essere curato, da quello economico perché tutto questo  per tante ragioni costa meno e da  maggiori risultati.
(Riprenderemo il discorso in un prossimo articolo a partire dal significato profondo che le donne medico attribuiscono alla “relazione”).
 
Ivan Cavicchi

28 luglio 2013
© Riproduzione riservata

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