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La questione medica è una questione di “contenitore”? 

di Maurizio Benato

Serve un ripensamento generale per promuovere il ruolo del medico nelle organizzazioni, dove far emergere con forza, nelle Istituzioni, la sostanziale inadeguatezza del “contenitore” rispetto alla complessità delle competenze tecnico professionale e alla diversità del moderno esercizio professionale

27 MAR - Diversi interventi su questo quotidiano sono concordi nel ritenere che la medicina non sia in crisi sul versante scientifico e, in una ottica di efficacia di cura, detenga sul versante clinico tutti i presupposti per l’applicazione corretta del dato scientifico alla singolarità del paziente. Vista dal piano alto della medicina, a che cosa si correla, allora, la cosiddetta questione medica, ovvero il disagio di stampo identitario, professionale e politico di una categoria in un quadro di travolgente evoluzione tecnica e sociale? (Panti).

È evidente che il contesto italiano, sia in termini di sistema che di professione, ha caratteristiche peculiari, risultando storicamente e culturalmente diverso da molti altri paesi anche europei. Nel nostro paese l’esercizio professionale si svolge per lo più all’interno di un sistema sanitario che favorisce la tutela di alcuni valori essenziali che lo Stato assicura ai suoi cittadini, ma il sistema sanitario è nello stesso tempo un insieme di parti interrelate e interdipendenti, per cui è portato inevitabilmente a soffrire di una rigidità strutturale.

Dove non c’è questa rigidità strutturale, come avviene nell’ esercizio della libera professione pura e dove il medico stesso detiene il controllo organizzativo, la questione medica si riduce per lo più al contenzioso medico in forza di un rapporto medico paziente più propenso per sua natura ad assumere aspetti di contratto d’opera. In tale rapporto professionale il ruolo del medico non è scalfito nemmeno dall’ impronta utilitaristica che lo contraddistingue. Pertanto la questione medica deve essere affrontata dal contenitore.

Scrive Antonio Panti: “Occorre esaminare il trade off tra la razionalizzazione manageriale della medicina e l'emporwerment del paziente, insomma la convivenza tra tecnocrazia e umanizzazione: efficacia, efficienza e utilità per il paziente”. Piero Muzzetto insiste, chiamandoci al confronto, col problema di fondo: quanto si riesca a coniugare la medicina umanizzata con la precisiontherapy o tailoringtherapy e a loro volta con le risorse, aprendo un ulteriore problema di vera politica sanitaria applicata. Nel sistema sanitario confluiscono tre aree fondamentali: la domanda, che esprime le necessità di salute della popolazione e che esige tutto un quadro di prestazioni e di interventi da pianificare su tutto il territorio nazionale; il finanziamento, che può permettere di soddisfare la domanda di salute presente sul territorio attraverso la raccolta di risorse economiche e finanziarie; la produzione, che cerca di fornire servizi sanitari corrispondenti alle esigenze della domanda. Se si vuole ottimizzare un’organizzazione sanitaria occorre sostanzialmente incidere su tutti gli elementi costitutivi, a partire dalla struttura di base in tempi e modi diversi, oltre che a modificare i meccanismi operativi rispetto ai mutamenti dei processi sociali o della struttura di base stessa.

Mi limito ad esaminare, in questo scritto, la sola “filiera di produzione” dove è facile assistere ad una grande sofferenza dei rapporti tra professionista e istituzioni, tra professionista e amministrazione, tra professionista e cittadino utente, tra professione e altre professioni, tra gli stessi professionisti medici.
È stato più volte ribadito che Il pensiero in sanità è a tutt’oggi di matrice positivista nonostante la realtà sia un sistema complesso e si presenti multidimensionale, scientifica da una parte ma anche sociale, economica e psicologica. Sul versante scientifico, c’è ancora uno stretto rapporto con la professionalizzazione medica di fine Ottocento e si sovrastruttura a priori rispetto alle attività e agli attori che oggi ne fanno parte. Gli ospedali sono organizzati in senso multidisciplinare a compartimenti “semichiusi” dove la struttura di base mantiene la sua preminenza ed espunge le interazioni sociali molto rilevanti nella costruzione dei meccanismi operativi.
 
La Medicina Generale, ma in generale tutti i servizi territoriali, soffrono di una mancanza di retroterra culturale comune e faticano ad assumere la rilevanza di un primo livello assistenziale. L’organizzazione si rifà in gran parte a un modello “tayloristico” come concezione e “fordistico” come attuazione; un modello scientifico di pura razionalità applicata all’organizzazione, sviluppato su di un piano di lavoro in cui l’ottica meccanicistica è utilizzata per inquadrare un sistema complesso che richiederebbe invece una conoscenza multidimensionale o comunque dovrebbe ispirarsi a questo tipo di conoscenza. 

Elementi di Fordismo in sanità si ritrovano quando l’obiettivo della cooperazione professionale sanitaria è solo basato sull’efficienza produttiva in cui il costo della prestazione assume una forte rilevanza, quando il medico è misurato, in maniera falsata, come numero di pazienti che è in grado di processare in un dato periodo di tempo. È comprensibile che il versante clinico della medicina che scaturisce dal nuovo paradigma medico navighi in un mare procelloso con grande sofferenza per i marinai addetti al timone. Ad un primo esame la risposta sanitaria presenta difetti di congruità, di continuità e scarsa integrazione nella cura e la domanda di segno nuovo posta dalle caratteristiche salienti della post-modernità (la complessità) è espunta; sono tutte condizioni che facilitano il non risultato ottimale in termini di salute e l’insoddisfazione dei medici. Ma si può anche giungere al paradosso di ottenere un raggiungimento pieno della “qualità” all’interno della struttura con l’inefficienza globale.

Alla politica in generale manca la consapevolezza che il sistema si caratterizzi per le sue “funzioni” professionali e che la “struttura”, cui si attribuisce la responsabilità clinica ed organizzativa dello specifico momento clinico, debba essere ad esse correlata. È già abbondantemente chiarito che la gestione del sistema di erogazione dell’assistenza sanitaria influenza i risultati clinici; se le peculiarità cliniche da una parte e le esigenze istituzionali dall’altra necessarie a gestire i problemi di salute del malato non correlano, l’esito è il fallimento dello scopo istituzionale con la consequenziale delegittimazione del medico.

Premesso che un sistema sanitario diventa efficace, efficiente ed equo se riesce a bilanciare l’intensività delle cure, tipica dell’ospedale, con l’estensività assistenziale delle cure dei servizi territoriali, dobbiamo chiederci se siano possibili strategie in grado governare la complessità del sistema. Le troviamo tutte interne ad una dimensionevicina a noi medici,la dimensione etica , che costituisce uno dei contenuti del rapporto che intercorre tra chi governa le organizzazioni e chi vi opera nell'attività quotidiana ed è entrata con forte evidenza nella cultura dell’organizzazione del lavoro.

La struttura sanitaria è un luogo morale perché è un contesto nel quale si snodano attività umane in vista di una mission specifica che richiede una determinata cultura etica e istituzionale dentro un’organizzazione sanitaria. Già nel 1996 il bioeticista R.L. Potter, uno dei primi ad occuparsi di etica organizzativa, scriveva che si doveva sviluppare e mantenere una cultura di stampo etico, laddove questa istanza è costitutiva dei processi decisionali, soprattutto quelli che rivelano complessità, emergenze e possibili criticità. Affermava anche chesarebbe servito uno spazio fisico all’interno della struttura dove poter elaborare, nella riflessione, uno standard istituzionale per riportare “l’integrità” quale virtù centrale a livello di management. Il problema dunque, concordo con Grazia Labate, è nello stesso tempo culturale e politico, ci chiama in causa come medici perché siano risolti i conflitti di interesse intercategoriali e si intervenga sulla formazione con grandi scelte di politica professionale.

Serve un ripensamento generale per promuovere il ruolo del medico nelle organizzazioni, dove far emergere con forza, nelle Istituzioni, la sostanziale inadeguatezza del “contenitore” rispetto alla complessità delle competenze tecnico professionale e alla diversità del moderno esercizio professionale.
 
Maurizio Benato
Componente Gruppo di lavoro Stati Generali e Consulta Deontologica Fnomceo


27 marzo 2019
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