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Il Lazio e il progetto dell’infermiere di famiglia. Occasione per professionisti e pazienti

di Emanuele Lisanti

30 MAG - Gentile Direttore,
ho letto l’articolo di Francesco Buono e sono molto incuriosito delle perplessità espresse sul ruolo dell’infermiere di famiglia.  L’invecchiamento della popolazione, la medicina sempre più specializzata, le risorse economiche che portano a restrizioni sui servizi e sulle giornate di degenza assegnano all’assistenza territoriale un ruolo fondamentale. Nel 2050, i 2/3 dei fondi sanitari saranno assorbiti dal territorio: correre ai ripari e non definire una programmazione adeguata sarebbe irresponsabile. Programmazione delle strutture, dei percorsi, delle competenze. Utilizzare la locuzione “rifugium peccatorum” vuol dire che, in qualche modo, c’è da parte di qualcuno il pregiudizio, del tutto sbagliato e privo di visione strategica, su quel che è ormai l’importanza dei servizi territoriali sia per quel che riguarda la prevenzione che per la riabilitazione.
 
I servizi a rete, il team multidisciplinare, la gestione per percorsi, l’educazione sanitaria, la medicina di iniziativa spingono i diversi professionisti che partecipano ai percorsi di cura, al confronto e al tempo stesso a ruoli diversi perché le competenze si sono affinate, perché il servizio è migliorato e si è arricchito, almeno idealmente. Affermare la supremazia di una professione su un’altra è sbagliato.

La professione infermieristica negli ultimi 10 anni è cresciuta molto, l’assistenza “tecnica” viene denominata “problema collaborativo” proprio per sottolineare la cooperazione con altre figure. L’assistenza infermieristica si basa su diagnosi infermieristiche ben precise, catalogate, codificate e che corrispondono a problemi che originano dallo stato di malattia. Si ragiona per percorsi di assistenza e non per funzioni o mansioni. Si parla di protocolli di assistenza e non di protocolli di cura spettanti alla professione medica e che l’infermiere si guarda bene di modificare o “improvvisare” per le conseguenze penali che ne deriverebbero: è finito il tempo degli eroi, ad ognuno il suo.

La medicina di iniziativa sui fattori di rischio della patologia, il percorso di assistenza infermieristica, l’educazione sanitaria per il paziente e i familiari in post acuzie o sul suo nuovo stato in caso di patologia cronica, l’orientamento del paziente nei servizi  territoriali in collaborazione con le figure che partecipano al team multidisciplinare, sono solo alcune cose che spettano all’infermiere di famiglia.

Leggo concetti riferiti alla gestione per processi, gestione per obiettivi, misurazione delle performances, soddisfazione dell’utenza, organizzazione del lavoro: sono tutti concetti già metabolizzati dalle professioni operanti sul territorio perché già lavorano per percorsi di cura. Il coordinamento del percorso del paziente sul territorio tra funzioni differenti (il riferimento è alle strutture), tra professionisti differenti, tra prescrizioni differenti, sarà la vera conquista dell’infermiere di famiglia.

Emanuele Lisanti
Infermiere, economista sanitario – Roma

30 maggio 2013
© Riproduzione riservata

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