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La crisi dei Pronto Soccorso e la responsabilità dei pazienti ad un uso consapevole

di Eleonora Franzini Tibaldeo

20 GEN - Gentile direttore,
durante il nostro percorso accademico, anche a noi studenti tocca frequentare il Pronto Soccorso. Potrei dire che questa è un’esperienza illuminante dal punto di vista formativo e umano. Vede caro direttore, noi studenti abbiamo il “privilegio” di essere osservatori e semplici agenti non ancora dotati di autonomia decisionale e giuridica (per ora), possiamo insomma vivere il Pronto Soccorso in maniera diversa rispetto agli altri operatori. Il che non preclude l’ insegnamento sulla gestione delle emergenze, semplicemente ci possiamo soffermare di più. E credo che i Pronto Soccorso torinesi non siano in uno stato differente dalla situazione generale e drammatica italiana: si sa è un sistema al limite del collasso.
Con questa lettera mi vorrei rivolgere soprattutto a coloro che da anni si occupano di tematiche annose con relative soluzioni.
 
Ma sarà proprio vero che potenziando i servizi (vedi la radiologia – QS 20 Dicembre 2013) o aumentando le competenze di alcuni operatori della salute (vedi la situazione degli infermieri), ecc, si ottenga un risultato duraturo e congruo alla “complessità” crescente? Non potrebbe invece accadere che ci sia un effetto paradosso che crei quindi ulteriore spazio per altre richieste di esami e visite?
La situazione reale sanitaria ci sta portando ad una forbice: da un lato una progressiva minore disponibilità economica e di risorse umane (vedi piani di rientro, mancanza di turn over, ecc) e dall’altra invece una sempre più crescente richiesta da parte degli utenti. Quindi una incongruenza.
Che fare?
Cosa succederebbe se il cittadino imparasse un utilizzo adeguato del Pronto Soccorso, ossia divenisse un utente consapevole e responsabile della propria salute?
Non potrebbe questo essere da corollario alle già tante soluzioni intraprese, vedi l’associazionismo dei medici di famiglia? (QS 17 Gennaio 2014)
 
Spesso gli utenti, gli ammalati, si sentono smarriti di fronte ad un banale mal di pancia, raffreddore, emesi o virulenza, semplicemente perché non hanno la più pallida idea di cosa fare. E spesso le richieste di prestazione in Pronto Soccorso sono dovute a tali acuzie.
Quindi la persona non responsabilizzata e non “emancipata”, delegherà continuamente il suo stato di salute a qualcuno o a qualche cosa in maniera cieca, cosa che invece non avverrebbe se la situazione fosse al rovescio e la persona divenisse in primis autore della propria salute.
Con ciò non penso di aver trovato la soluzione a tutti i mali, penso, anzi, che rafforzare l’individuo come individuo in una collettività con la propria capacità di gestione autonoma (entro certi limiti ovviamente) possa evitare di imballare pronto soccorso e ospedali.
Presumo che quando il Prof. Cavicchi parli di emancipazione (dal punto di vista marxiano) intenda questo concetto (Il Manifesto 27 Dicembre 2013).
 
 
Eleonora Franzini Tibaldeo
Studentessa in medicina

20 gennaio 2014
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