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Precariato. Una nuova sentenza a favore della trasformazione del contratto a tempo determinato in indeterminato

di G.Muttillo e D. De Angelis

07 FEB - Gentile Direttore,
con riferimento al problema sollevato dalla lettera, “Lombardia. Quel “pasticcio” sulle graduatorie” che coinvolge oltre un migliaio di operatori buona parte infermieri, le segnaliamo che grazie alla sua pubblicazione siamo riusciti a richiedere un intervento di modifica all’Assessore alla Sanità Mantovani e ai consiglieri del PD Borghetti e Movimento 5 stelle Violi.
 
Cogliamo l’occasione per segnalare ai suoi lettori che il problema del precariato sta finalmente trovando una soluzione.
Dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26 novembre 2014 che ha sanzionato lo Stato italiano per il reiterato ricorso ai contratti a tempo determinato, è cambiato il destino delle centinaia di migliaia di precari che ormai da lungo tempo (a volte anche da oltre dieci anni) prestano la loro attività per gli enti pubblici.
 
La pronuncia in questione ha infatti ormai introdotto nel nostro ordinamento giuridico la figura del “danno-sanzione”, ciò significando che le Amministrazioni che abusano dei contratti a termine possono essere “sanzionate”, con il risarcimento dei danni e/o con la condanna alla trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato.
 
A dire il vero i giudici del lavoro italiani già molto prima della sentenza della Corte di Giustizia Europea avevano emesso delle pronunce che provvedevano in tal senso, condannando le amministrazioni all’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori interessati, nonché al risarcimento in favore degli stessi.
A dare il “la” a questa giurisprudenza era stato soprattutto il mondo della scuola, tant’è che moltissimi docenti o dipendenti del MIUR appartenenti al personale ATA venivano “stabilizzati” da tanti tribunali italiani.
 
Intanto anche per le professioni sanitarie venivano avviati dei ricorsi e a tal proposito il tribunale di Trani, quale giudice unico del lavoro, con la sentenza n. 1125/13 emetteva un importante pronunciamento, disponendo la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato di un medico e due infermieri.
 
Si tratta del primo precedente in materia che ha una rilevante importanza proprio per l’estensione anche ai lavoratori della sanità dei principi già richiamati dalla giurisprudenza per i lavoratori della scuola.
 
Però ormai esaustiva e chiarificatrice deve considerarsi la sentenza del tribunale di Napoli, quale giudice unico del lavoro, del 21.01.2015, con la quale è stata disposta la trasformazione del contratto di un docente da tempo determinato a tempo indeterminato.
Occorre innanzitutto considerare che si tratta della prima sentenza emessa in Italia dopo quella della Corte di Giustizia Europea e che ne recepisce in pieno lo spirito e le direttive.
 
Infatti il giudice partenopeo ha fatto proprie le conclusioni del giudice europeo, applicando la figura del cosiddetto “danno-sanzione”.
Come detto la sentenza in questione appare di particolare interesse scientifico e pratico in quanto affronta tutte le questioni che volta per volta sono state sollevate.
 
A questo proposito il giudice partenopeo ha brillantemente risolto il problema della presunta violazione dell’art. 97 Cost..
Infatti il rilievo da sempre mosso avverso la possibilità della trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato nella Pubblica Amministrazione, è stato quello della presunta violazione del principio costituzionale secondo il quale l’unico strumento di accesso alla P.A. è rappresentato dal concorso, richiamato peraltro anche dall’art. 35 D.Lgs. n. 165/2001.
 
Orbene, il tribunale di Napoli ha osservato come nella fattispecie si registra la corretta ed ossequiosa osservanza dei principi costituzionali in materia, atteso che i lavoratori interessati hanno partecipato comunque ad una selezione volta all’accertamento della professionalità richiesta e tale da garantire in misura adeguata l’accesso dall’esterno.
Del resto la questione era stata già risolta in tal senso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 41/2011 che delibava in senso favorevole la conformità del sistema delle graduatorie permanenti come corretto metodo di selezione dei più meritevoli.
 
Pertanto nel caso in cui gli operatori della sanità (siano essi medici, infermieri, psicologi, OSS, ecc…) abbiano partecipato ad un avviso pubblico di concorso per titoli e/o esami e risultino utilmente collocati in graduatorie pubblicheprorogate fino a dicembre 2016 ai sensi di quanto previsto dalla normativa vigente (art.3, c^ 61  della Legge 30/12/2003 n. 350 e  art.1,c^100 della Legge 30/12/2004 n. 311; da ultimo l’art.4, c^ 3  del  D.L. 31/8/2013 n. 101 convertito in L. n. 125/2013 e delibera n.124/2013 della sez. reg. della Corte dei Conti Umbria), gli stessi rivestono una posizione giuridica conforme al dettato dell’art. 97 Cost.. Ma colpo di scena, la Giunta Regione Lombardia  con delibera n. 2989 del 23/12/2014 "regole di sistema", al paragrafo 2.6.2.1. “ … alle Aziende Sanitarie lombarde nei cui confronti il regime ordinario non prevede vincolo e limitazioni alla possibilità di assunzioni  trova applicazione la regola generale di cui all’art. 35 comma 5-bis D.Lgs. 165)01 che stabilisce la validità triennale delle graduatorie per l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche …”.
 
Ciò considerato la scriminante è rappresentata appunto dalla selezione pubblica, indipendentemente dal fatto che con la stessa l’accesso alla Pubblica Amministrazione si sia concretato attraverso la stipula di contratti a tempo determinato, anziché a tempo indeterminato.
Del resto nel nostro paese si è assistito per circa vent’anni al blocco dei concorsi pubblici conseguenti al cosiddetto patto di stabilità e per molte regioni ai cosiddetti piani di rientro.
 
Vale a dire che le contingenze temporali non possono aver causato una paralisi della Pubblica Amministrazione, per cui si è dovuto comunque provvedere al reclutamento del personale e ciò nel rispetto della normativa costituzionale.
A tal’uopo il tribunale di Napoli, nel giustificare la trasformazione dei rapporti da tempo determinato a tempo indeterminato, richiama un passo della sentenza della Corte di Giustizia Europea che recita testualmente: “Le ragioni di bilancio sebbene … possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero la portata delle misure che esso intende adottare, … esse non costituiscono tuttavia, di per sé, un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto     dell’accordo quadro”.
 
Quanto, poi, all’applicabilità della disposizione dell’art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. 368/01 (che prevede la trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato al superamento dei 36 mesi di attività negli ultimo 5 anni) anche alla Pubblica Amministrazione, il tribunale partenopeo osserva come non si rileva alcun contrasto di detta disposizione con quella di cui all’art. 36 D.Lgs. 165/01.
 
Ciò considerato allora si può senz’altro concludere che anche i lavoratori della sanità possono azionare il loro diritto alla trasformazione dei loro rapporti da tempo determinato a tempo indeterminato e tale prerogativa va riconosciuta anche a quegli operatori che prestano la loro attività all’interno dei penitenziari ed il cui rapporto sia regolamentato mediante il cosiddetto pagamento a parcella (per cui sono detti parcellisti).
Infatti nelle carceri la guardia infermieristica è gestita pressocché prevalentemente da infermieri parcellisti i quali, però, sono soggetti alla rigida disciplina propria del lavoro subordinato.
 
Ne consegue allora che tali professionisti potranno anche loro adire le vie legali per invocare la “stabilizzazione” dei loro contratti, fermo restando che gli stessi dovranno provare processualmente che risultano organicamente incardinati nelle strutture in cui lavorano.
 
Tanto osservato, si può quindi concludere che tutti gli operatori della sanità che abbiano prestato la propria attività per almeno 36 mesi (anche non continuativi) negli ultimi 5 anni, a mezzo di contratti a termine o con altre forme convenzionali, comunque riconducibili a contratti di lavoro subordinato, possono agire giudizialmente per porre la parola fine alla loro condizione di precari. 
 
 
Dr. Giovanni Muttillo
Presidente Collegio IPASVI
Milano-Lodi-Monza e Brianza
 
 
Avv. Domenico De Angelis
Campobasso

07 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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