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Il Ministero, e non le Regioni, deve definire chi è l’infermiere e quali funzioni gli spettino

di Patrizia Leoni

28 LUG - Gentile direttore,
sono passati oltre tre anni da quando ho sentito parlare delle competenze avanzate per gli infermieri, competenze necessarie per gestire l’assistenza sanitaria della popolazione sempre più avanti con l’età, che necessita sempre meno di diagnosi medica e ricoveri ospedalieri e sempre più del professionista che educa e fornisce gli strumenti necessari al paziente e ai suoi familiari per mantenersi in buona salute e restare nella propria casa. Otto mesi da quando nella legge di stabilità è stato inserito l’ormai famoso comma 566, che tanto fa discutere, ma a tutt’oggi vedo soltanto una sorta di lancio della patata bollente che nessuno vuole avere in mano, forse per non essere additato come colui che ha deciso cosa farne.

Assurdi questi incontri tra medici e professioni sanitarie per capire a chi spetta cosa, per giunta solo quando si parla degli infermieri, che vanno avanti da tempo indefinito, ma che, a quanto pare, non portano da nessuna parte. Infatti risultati non ce ne sono, se non un forte demansionamento per gli infermieri che sempre più spesso diventano interscambiabili con gli operatori socio sanitari , quando in realtà questi ultimi sono ausiliari dei quali gli infermieri si avvalgono per essere aiutati nella loro professione.

Tengo a sottolineare, visto che molti non lo sanno e molti fingono di dimenticarlo, che gli infermieri sono professionisti laureati , abilitati ed iscritti ad un albo e che lo Stato italiano riconosce come professionisti intellettuali.
Eppure non ci vuole molto a capire ciò che non va e che cosa va cambiato…
Innanzitutto il nostro profilo professionale, risalente al lontanissimo 1994 quando con la legge 739 si è cercato di determinare chi fosse l’infermiere di quel tempo, che ancora per lunghi anni fu ausiliario del medico.

Certo quel profilo non può più andare bene per dei professionisti che dovrebbero aver cambiato pelle e al quale è rimasto il nome solo per tracciarne il passato, ma come pura e semplice storia e non come carta d’identità di una professione , ormai intellettuale, quale dovrebbe essere quella degli infermieri.

Un codice deontologico che di fatto ci demansiona attraverso l’articolo 49, ma chi lo ha inserito e che dovrebbe occuparsene continua a far orecchie da mercante, svendendo in questo modo i nostri diritti.
Deve sapere infatti, che per quindici anni, il Consiglio Direttivo della Federazione Nazionale Collegi IPASVI, ha sempre avuto lo stesso Presidente e lo stesso Vicepresidente e che quindi risulta assai complicato per coloro che hanno voluto inserire un articolo del genere, decidere poi di toglierlo in quanto vessatorio verso la categoria tutta.

Ad onor del vero, c’è da dire che la Presidente storica ha lasciato, da poco, il posto ad un’altra presidente, ma continua a far parte del direttivo, tanto che sempre più infermieri si chiedono se la nuova Presidente non sia solo una “testa di legno” che mantiene caldo il posto a chi prima o poi rientrerà, mentre avremmo davvero bisogno che Lei si desse da fare, per farci respirare “ una boccata di aria nuova”.
Il Ministero della Salute, al quale spetta il diritto/dovere del controllo sulla Federazione, che sembra però, non avere interesse ad esercitarlo, non accorgendosi neanche di quanta poca democrazia regni in questo Ente, visto che i rappresentanti sono eletti con un massimo del 10% dei voti degli aventi diritto.

Fondamentale è sapere che questo succede non perché gli infermieri sono così pigri da non aver voglia di votare, ma perché manifestano in questo modo il loro dissenso verso la Federazione dalla quale non si sentono rappresentati, né tutelati e che di fatto tra codice deontologico e assurde proposte cerca di demansionare e riportare la nostra professione agli albori dell’infermieristica.

Come se ciò non bastasse, chiede il versamento di una quota associativa all’albo, fino ad arrivare alla richiesta coattiva attraverso Equitalia, anche per tutti quei colleghi , sempre di più, che sono senza lavoro o che vengono costretti a lavorare per pochi euro con una finta partita iva, che non li rende certo libero- professionisti, ma schiavi senza diritti di chi li usa e li può gettar via in qualsiasi momento.

In questo orrendo quadro, l’IPASVI si è assunto come unico onere la redazione di un vademecum per ricordare a costoro cosa devono e non devono fare per mantenere il decoro della professione, ma della loro tutela e di tutti gli infermieri che lavorano sotto caporalato, oggi rappresentato dalle cooperative, non se ne fa carico.

Il problema dei titoli di studio: siamo l’unica categoria di professionisti al quale lo Stato italiano fissa, attraverso il MIUR, un certo percorso di studi, che si sente ripetere continuamente che il corso di laurea triennale non è sufficiente, che è solo un punto di partenza.
Rasenta il ridicolo questo modo di vedere l’infermiere, mentre per tutte le altre professioni il conseguimento della laurea è condizione necessaria e sufficiente al futuro professionista.

E’ vero invece che dovrebbe essere tolto il corso per moduli, che pretende di insegnare agli studenti tante materie tutte diverse tra loro per un unico voto.
Data l’oggettiva difficoltà che si ha a laurearsi nei tre anni previsti, tra esami e tirocini gestiti alla meno peggio, si potrebbe semplicemente portare il corso ad una laurea magistrale, così che si possa partire da una base comune che ci assicuri la dignità che merita la nostra professione, per poi specializzarci nelle varie aree individuate dal Ministero .
E’ forse una cattiveria pensare che ci sia una volontà dietro il fatto che è obbligatorio per i ragazzi uscire fuori corso, magari per ricevere più fondi economici alle Facoltà di Medicina?

I Master, altro tasto dolente della formazione, non sono riconosciuti a livello giuridico né contrattuale se non il master in coordinamento. Ma nessuno informa di questo gli studenti che si trovano a pagare quote esorbitanti per dei titoli che non richiede nessuno. Per non parlare poi della laurea magistrale, che viene utilizzata da pochissimi, mentre per gli altri è solo carta straccia, ma tutto questo fa tanto bene alle casse delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e a chi di questo vive.

Il comma 566 che recita “Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia”. Ora, senza nulla voler togliere ai medici, si ritiene davvero così facile riconoscere gli atti complessi e specialistici dagli atti semplici e generici? I medici sono più intelligenti degli infermieri? A me non risulta e non credo che in medicina ci sia qualcosa di semplice e generico, o almeno io, infermiera del 118, ancora non l’ ho vista.

Necessitiamo, in qualità di professionisti, di poter effettuare prescrizioni sia per farmaci che per presidi, soprattutto ora che si cerca di portare la Sanità sempre più nel territorio e meno negli ospedali; senza dimenticare che il Presidente della Repubblica ha riconosciuto la prescrizione transfrontaliera, anche infermieristica e questo, dovrebbe spianarci una strada che si fa invece sempre più in salita, tanto da sospettare che ciò che manchi sia la volontà di portare a termine questo percorso.

Sono i medici che si ribellano? Non so a quali medici ci si riferisce. Forse ai baroni che non vedono l’ospedale da anni, perché tutti i medici che io conosco ringraziano se l’infermiere condivide con loro le priorità del paziente, soprattutto nell’emergenza.
Io credo che ciò che più spaventi i medici, non sia la paura di restare senza lavoro ma la frase:” … Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica", perché suona come “dobbiamo ripartire tra tutti il badget che abbiamo” e questo per i medici è impossibile solo pensarlo.

Fondamentale è che a definire chi è l’infermiere e quali funzioni gli spettino sia il Ministero della Salute e non siano le Regioni, perché non possiamo avere in Italia 22 infermieri diversi, ognuno per ogni regione. Un professionista deve essere tale in qualsiasi territorio egli si trovi.
In ultimo, ma la lista è solo all’inizio, l’obbligo su tutto il territorio nazionale di applicare le leggi, altrimenti punibili con ammende e sanzioni. E’ incredibile il fatto che vengano sfornate migliaia di leggi per essere lasciate a giacere inutilizzate, mentre gli infermieri devono trovarsi davanti ad un giudice che decide di volta in volta ciò che si può e ciò che non si può fare, pagando ogni volta con ansia e punizioni oltre che economicamente, perché non si conosce a priori di cosa dovremmo occuparci. Questo non succede al dentista, al chirurgo, al fisioterapista, all’ostetrica e a nessuna altra professione se non a noi, perché qualcuno ci vuole come jolly in una sanità malata.
Questa non è democrazia e sinceramente non oso definirla.

Patrizia Leoni
Infermiera

28 luglio 2015
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