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La nuova frontiera dell'infermieristica: il portierato part time

di Chiara D'Angelo

06 AGO - Gentile Direttore,
finalmente si vede la luce in fondo al tunnel per gli infermieri: è la luce della guardiola del reparto RSA “Narnali” di Prato. Nel pieno della discussione sull’evoluzione delle competenze infermieristiche, roboantemente esaltate con inverosimili quanto fantasiosi diagrammi, spunta chi le cose le ha capite davvero: il futuro degli infermieri è la portineria. Sicuramente un bel salto di qualità, poiché sono certa che nella mente di questi geni dell’organizzazione del lavoro ancora oggi l’infermiere porta le padelle, cambia i pannoloni e serve i pasti, come abbiamo spesso letto “pretendere” da parte dei “colleghi” OSS.

La speranza di questo avanzamento professionale è però minacciata dall’odiosa istituzione del profilo professionale dell’infermiere, che da 20 anni ci tarpa le ali. Sono infatti due decenni ormai che qualcuno ha voluto trasformare un “compitiere” in un professionista, ma finalmente arriva la posizione organizzativa dell’Usl 4 a dire basta a questo scempio! Abbandonando il tono ironico che, se pur fa bene allo spirito, qui non giova alla denuncia della “eresia” di quanto si sta commentando, è opportuno mettere in riga un paio di idee, poiché la confusione pare regnare sovrana, anche nelle menti dirigenziali.

Tutto nasce ai piani alti dell’Usl 4 della Toscana (sì, la stessa Regione in cui il Governatore Rossi prevedeva la sostituzione "di un gran numero di infermieri con giovani operatori socio sanitari" da dove parte una richiesta, rivolta ad infermieri e OSS, di coprire, per i sabati e le domeniche d’estate, i turni di portierato alla RSA. C’è poco personale al “Narnali”, da qui l’intuizione della posizione organizzativa, che promette, a chi aderirà alla proposta, il pagamento delle ore in straordinario. Quando ho letto la notizia, dopo un lungo momento di incredulità, hanno cominciato a fioccare nella mia mente molte domande, molte osservazioni, e al contempo la curiosità di sapere se almeno una di queste sia passata nella mente della persona che ricopre la posizione organizzativa, e soprattutto, che risposta si sia data al quesito impertinente.
Innanzitutto non riesco a concepire come una simile proposta possa ritenersi lecita dal punto di vista dei rapporti giuridici di lavoro. Chiedere a del personale dipendente di categoria D di svolgere mansioni (sì, torniamo alle mansioni… ) proprie di operatori di categoria A o B confligge con le comuni norme sull’inquadramento contrattuale. In sostanza un demansionamento “legalizzato” messo nero su bianco.

In secondo luogo mi pare un’aberrazione proporre il pagamento in straordinario (per personale in categoria D) di ore dedicate allo svolgimento di mansioni di categoria A o B; un’aberrazione economica e uno sperpero ingiustificato, anche considerando che sarebbero risorse sottratte al pagamento di ore spese per lo svolgimento di attività infermieristiche vere, di cui certamente c’è bisogno all’ospedale di Parto, dove la situazione dell’organico è nota e dove, per mancanza di personale, dei reparti sono stati chiusi. Tutti aspetti rimarcati anche da Roberto Cesario, segretario provinciale del Nursind, che ha espresso la sue perplessità e contrarietà a questa iniziativa, aprendo un dura discussione anche con il responsabile CGIL della Usl 4, di cui scriverò fra qualche riga.
La terza questione (l’ordine, non è di importanza, ma quasi casuale, lo confesso) secondo me riguarda la professione, ancora una volta. Stiamo conducendo battaglie durissime per il riconoscimento della nostra professione e per dare alla stessa un futuro di sviluppo, per portarla alla dignità che le dovrebbe essere già riconosciuta e che troppo spesso invece le è negata, per creare gli spazi per una sua evoluzione; ma all’Usl 4 hanno mai sentito parlare di tutto questo? Evidentemente no. Peccato, la discussione è molto interessante e potrebbe stimolare menti pigre e avvizzite.

Il Nursind da tempo sta portando avanti queste istanze, sta incalzando la rappresentanza professionale e le Istituzioni con l’intento di stimolare la crescita e il radicamento della consapevolezza dell’importanza che la “questione infermieristica” riveste nel processo di rinnovamento del sistema sanitario nazionale.

Finalmente nascono in Italia iniziative che timidamente (e con fortissime contrapposizioni e resistenze) cominciano a dare spazio alla professionalità autonoma degli infermieri (Reparti a gestione infermieristica, See&Treat, infermieri della continuità assistenziale, case management infermieristico, infermieri in PICC team, infermieri in anestesia, wound care, ecc), si discute di competenze avanzate e specialistiche. Ma davvero può vivere questo mostro bifronte? Una faccia progressista e una retrograda e mortificante? Non possiamo sostenere un confronto così duro (perché attraverso questo dobbiamo per forza passare se siamo determinati a raggiungere il risultato) con queste debolezze.

Un fatto (un altro) che mi ha lasciato molto perplessa (e che ha scatenato uno scontro a suon di articoli sulla stampa locale fra il segretario provinciale Nursind Roberto Cesario e il responsabile CGIL della Usl 4) è stato l’atteggiamento del sindacalista CGIL nei confronti di questa proposta; da uno dei maggiori sindacati è sostanzialmente arrivato un benestare, anzi, un incoraggiamento verso decisioni di questo stampo. Sostanzialmente incredibile; che un sindacato appoggi uno scempio del genere per me è la negazione del senso della sua esistenza.

La difesa più banale (e inconsistente) che viene adottata è l’”emergenza”. Emergenza per la carenza di personale. In nome dell’emergenza si può fare tutto, un po’ come la polizia che con la sirena può passare col rosso. Solo che qui non funziona così. Qui ci sono dei diritti, delle prerogative legislative e giuslavoristiche, delle pregiudiziali economiche che farebbero rizzare le orecchie a qualunque dirigente, aziendale, professionale e sindacale di buon senso.

Ma c’è ancora un’altra cosa che, nella drammatica realtà di questa scellerata proposta, mi agita: se davvero l’azienda è in queste condizioni (pietose, mi verrebbe da pensare), allora perché non si chiede il concorso di tutti, per “salvare la Patria”? Perché per sostituire i portinai non si è fatto appello a tutto il personale disponibile? Magari qualche medico, qualche tecnico di radiologia, qualche altro professionista sanitario sarebbe interessato ad aderire per “arrotondare” un po’ lo stipendio (perché, ovviamente, è questa la leva su cui poggia la proposta). Invece no: solo infermieri e OSS. Ancora una volta vicini, ancora una volta indistinti fra loro, ancora una volta (gli infermieri) ben distinti e distanti dalle altre professioni sanitarie.

Lo scoramento sta salendo. Lo scoramento per questioni dette e ridette mille volte, lo sgomento per le sacche di arretratezza culturale che ancora ci sono, lo sconforto per l’inadeguatezza di molti, troppi.

Abbiamo un progetto in mente: definire l’infermiere del futuro, a partire da oggi. Il nostro è un progetto vero, profondo, complesso. Ne abbiamo parlato diffusamente nel nostro libro “Il Riformatore e l’infermiere, il dovere del dissenso”, edito da Quotidiano Sanità Edizioni (in cui si possono ritrovare le previsioni del prof. Cavicchi sulle conseguenze dell'invarianza della nostra condizione professionale, oggi ancora una volta confermate in pieno da questa iniziativa del Narnali), ne stiamo discutendo a tutti i livelli, a partire dal comma 566 fino ad arrivare al documento IPASVI sull’evoluzione delle competenze. Ancora una volta, come ho scritto ormai innumerevoli altre volte, abbiamo molti problemi da risolvere: culturali, di identità, di riconoscimento, di convivenza con altre professioni. Ma uno dei problemi, uno grosso, è tutto nostro, interno: dobbiamo essere coscienti e convinti di che cosa sia e di che cosa debba essere la nostra professione. E’ per questo che mi meraviglio che proposte come questa arrivino da una posizione organizzativa e che proposte come questa possano attecchire fra di noi, perché sono certa che qualcuno aderirà, noncurante del danno che ne deriva alla professione, a tutti, infermieri e cittadini.

Io avverto questo pericolo, questo trabocchetto sotto i piedi degli infermieri, perché se troverà spazio il “caso del Narnali” farà scuola. E’ per questo che chiedo a tutte le nostre rappresentanze, sindacali (anche a una CGIL rinsavita) e professionali (la Presidente Nazionale IPASVI Barbara Mangiacavalli si è dimostrata molto sensibile a queste tematiche e ha dato prova di non essere disposta a cedere su questo terreno) di prendere una posizione netta, di censurare questa iniziativa per le sue connotazioni estremamente negative sui rapporti di lavoro, sulla dignità (e decoro) professionale, sull’adeguatezza delle prestazioni erogate, sul diritto del cittadino di ricevere i giusti servizi che gli spettano e riceverli dalle giuste figure.

Io una scelta l’ho fatta, molti anni fa: ho scelto di fare l’infermiera, non la tappabuchi, l’Oss di riserva, la portiera o chissà cos’altro si inventerà qualche dirigente fantasioso. Nemmeno part-time.
 
Chiara D’Angelo
Infermiera 


06 agosto 2015
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