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Responsabilità professionale. Il “ddl Gelli” e le assicurazioni. Perché non ne parla?

di Alberto Tita

07 NOV - Gentile Direttore,
maggior rigore di bilancio in sanità. E' un leit-motiv dell'attuale agenda politica. Come dimostrano le molteplici iniziative legislative in corso:  proposta di riforma del titolo V della Costituzione, a ridimensionare l'autonomia delle Regioni in materia sanitaria; stretta nel deficit delle aziende sanitarie, come previsto dalla legge di stabilità;rigore nella prescrizione di esami e farmaci (c.d. decreto sulla appropriatezza delle cure), per arginare la medicina difensiva, che pretende di tutelare la professione dalla sovraesposizione a responsabilità.
 
In questo quadro, si innesta il nuovo impianto di regole sulla responsabilità professionale medica.
Si ricorda che tre sono i punti di intervento caldeggiati dagli osservatori[1] per riportare la responsabilità medica a sostenibilità: (i) ripensare il perimetro della responsabilità professionale; (ii) contenere i sinistri, attraverso prevenzione incidenti (risk management) e snellimento del contenzioso; (iii) rivedere i criteri di liquidazione del danno.
 
Tutti questi interventi vengono adesso proposti in due disegni-legge (ddl) attualmente in corso di approvazione in Parlamento: il ddl Gelli (dal nome del relatore, presidente della Commissione affari sociali della Camera) e il ddl Concorrenza, che raccoglie le disposizioni di attuazione delle regole comunitarie a favore del libero mercato.
 
Il ddl Gelli (che a sua volta si ispira largamente all'avviso espresso a fine giugno dalla commissione di studio Alpa, nominata dal Ministero della Salute a delineare la nuova disciplina della responsabilità medica) propugna: nuove regole di responsabilità civile e penale per i medici; un decisivo ricorso al risk management sanitario per prevenire incidenti; alcuni accorgimenti per alleggerire il contenzioso.
 
Il ddl Concorrenza dispone la revisione dei criteri di liquidazione del danno. Viene prevista la approvazione di una tabella di quantificazione del danno patrimoniale e dei limiti alla quantificazione del danno non patrimoniale. Quest'ultimo é circoscritto al danno biologico, con dei parametri prestabiliti per l'eventuale incremento lasciato alla valutazione del giudice, nei casi sottoposti a suo esame.
Le misure evidenziate, che si prefiggono di riportare la responsabilità medica a sostenibilità, comportano chiaramente un risparmio per la contabilità pubblica, ma la questione sociale è ancora più ampia.
 
Si pensi che il controverso sistema attuale della responsabilità medica mette a repentaglio la tenuta del sistema sanitario, scoraggiando l'alleanza terapeutica medico-paziente e, con essa, l'accesso alla professione di nuove leve, con le pregiudizievoli ricadute sociali conseguenti.
 
Dunque il criterio di sostenibilità non va inteso in senso riduttivo, contabile, di mero rigore di bilancio. Si inganna perciò chi lo contrasta, contrapponendovi il superiore valore della salute, da privilegiare comunque rispetto all'attenzione alle compatibilità di spesa.
 
Sostenibilità è concetto che implica attenzione alle risorse disponibili, che non sono illimitate e di cui bisogna fare prudente uso. Evitando sprechi e sottoponendo la collettività a ragionevole disciplina, con parziale sacrificio e contenimento degli entitlements di ciascuno, in nome di una tenuta complessiva del sistema generale.
 
Sorprende perciò che l'iniziativa legislativa in atto, incisiva su molti dei fronti sensibili, come accennato sopra, trascuri tuttavia il versante assicurativo.  
Riportato a ragionevolezza la responsabilità medica e le conseguenze economiche del danno, rimane da aggiornare chi sia il pagatore di ultima istanza dell'evento avverso occorso: (a) la fiscalità generale, senza soglia; (b) il medico con il proprio patrimonio personale; (c) l'azienda sanitaria con il proprio bilancio, all'interno di un costo "industriale" di esercizio di attività terapeutica; (d) il paziente offeso?
 
Anche qui il costo finale andrebbe equamente ripartito, facendo ricorso alle assicurazioni per il ruolo mutualistico e redistributivo che esse hanno, quando svolgono efficacemente la loro opera.
 
Come è noto, uno dei fattori principali che hanno portato la responsabilità medica alla attuale criticità è la difficoltà di reperire l'assicurazione della responsabilità professionale (soprattutto sanitaria, ossia delle strutture più che dei professionisti). Particolarmente a condizioni accessibili, ovvero che - a fronte di un premio morigerato - offra una garanzia congrua e tale da lasciar agire il professionista in serenità.
Problematici sono risultati sia i costi delle polizze, sia la difficoltà nell'ottenere il pagamento dei sinistri. Ma anche lo stesso reperimento di compagnie sul mercato, se oggi i sottoscrittori di polizze  si contano all'incirca sulle dita di una mano. E sono per lo più stranieri.
 
Condizione, quest'ultima, non secondaria, quando si chiamano a raccolta, a sostegno delle politiche di welfare, tutte le componenti di un sistema nazionale.
Le compagnie nazionali, che sono via via uscite dal ramo r. c. medica, hanno evidentemente giustificato la loro ritrosia a continuare a garantire la r. c. medica, col negativo rapporto sinistri/premi che nel tempo si è accumulato.
 
I rapporti consuntivi annuali di Ania[2] sono più che eloquenti al riguardo. Ma al tempo stesso Ania ha lasciato intendere la disponibilità del mercato assicurativo a riconsiderare la garanzia della responsabilità medica, quando il sistema ne avesse ripristinato la sostenibilità, con le misure indicate sopra.
 
Nonostante ciò, il ddl Gelli non fa cenno alla questione assicurativa. Benché altri ddl in materia[3] prodotti nelle commissioni affari sociali e sanità di Camera e Senato contenessero specifiche previsioni relative alle assicurazioni. Come già la vigente Balduzzi. In qualche caso, spingendosi fino a prevedere l'obbligo delle compagnie a contrarre, sul modello della r. c. auto obbligatoria,
 
Ci si chiede allora se la lacuna del ddl Gelli sia giustificata, perché l'attenzione si è concentrata piuttosto sulle altre misure sopra accennate. Oppure se deliberatamente il legislatore abbia optato per non intaccare l'indifferenzache il mercato assicurativo italiano ha assunto sulla r. c. medica. Indifferenza interrotta solo al verificarsi di interventi degli organi di vigilanza a sanzionare gravi incongruenze gestionali delle compagnie[4]. Ma queste sono state solo l'esito naturale di un mercato asfittico, che appunto va seguito, corretto ed indirizzato. 
 
Pertanto, una volta riavviati verso la sostenibilità il rischio sanitario e la quantificazione del danno da medical malpractice, grazie alle misure accennate, é ora opportuno che il legislatore dialoghi con il mercato assicurativo. Occorre ottenerne il coinvolgimento e la ripresa della sua seria partecipazione alla copertura della r. c. medica.
Il mercato assicurativo va inteso nell'accezione: (i) delle compagnie più rappresentative (non solo nazionali); (ii) delle istituzioni di rappresentanza (Ania e i brokers); (iii) delle autorità di garanzia (Ivass) e di mercato (Antitrust), al fine di ottenere il concorso di tutti - seppur in quota-parte - all'equilibrio del settore sanitario.
 
In che modo? Chiedendo al mercato assicurativo di svolgere il proprio ruolo, non certo con sussidi, ma rispondendo alla domanda di garanzie del sistema e prezzando correttamente il rischio.
 
Ossia superando ognuna delle criticità che ha presentato finora, e così: incentivando il ripopolamento di compagnie (anche nazionali) nel settore; calmierando i premi delle polizze; favorendo la liquidazione dei sinistri; monitorando la appropriata contabilità di sinistri/premi.
 
Il tutto, evidentemente, non nella logica assistenziale o di obbligo a contrarre e di prezzi imposti. Bensì con spirito di servizio e di partecipazione responsabile alla tenuta economica dell'attività professionale medica, che ora si appresta, grazie alle nuove misure, a far rientrare il sistema di responsabilità nei canoni dell'economicità.
Ma che va, al tempo stesso, affiancata da garanzie, su basi di mercato e non protette. Perché la sanità, di cui la responsabilità professionale è parte essenziale, è indispensabile a mantenere un livello diffuso di qualità di vita nel paese.
 
Non è certo socialmente agevole lasciare aperta la questione della riparazione dell'evento avverso in sanità.  Come, ad esempio, ricorrere alla c.d. "autoassicurazione" delle strutture sanitarie - a parere di molti - altro non è che posporre la consapevolezza del debito, facendo solo cosmesi ai bilanci correnti. Salvo esporsi a future, spiacevoli sorprese, per la scoperta di poste debitorie  inattese, o sottovalutate.
 
E la questione della sostenibilità della sanità aprirebbe nuovamente delle crepe quantitative e qualitative sgradite.
 
Alberto Tita
Of counsel, studio legale Lexellent, Milano
 
 



[1]
D. Focarelli, (Ania), Responsabilità sanitaria e assicurazioni: criticità e proposte, 20 marzo 2015 convegno Roma.;

[2]
  Ania, l'assicurazione italiana 2014-15, ed edizioni precedenti, rapporti tutti consultabili sul sito www.Ania.it;

[3]
  vedi tra gli altri  il ddl A.C.1581 a firma Vargiu, ottobre 2013;
 
[4]  vedi i casi delle compagnie Faro, City Insurance, piuttosto che i rilevanti chiarimenti richiesti in questi ultimi mesi da Ivass ad altre compagnie attive nel ramo.


07 novembre 2015
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