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Malattie cardiovascolari. Solo 1 paziente su 2 segue le terapie. Migliaia di infarti e ictus evitabili


Secondo la Consulta delle Società scientifiche sul rischio cardiovascolare, se le persone con pressione alta e quelle con ipercolesterolemia prendessero correttamente i farmaci ci sarebbero meno morti e il tasso di ospedalizzazione per i due gruppi si ridurrebbe rispettivamente del 13% e del 15%.

12 NOV - Sono migliaia ogni anno i casi di infarto e ictus, anche fatali, che potrebbero essere evitati in Italia se i pazienti a rischio cardiovascolare per ipertensione, colesterolo alto e diabete di tipo 2 seguissero bene le terapie loro prescritte e adottassero corretti stili di vita. A oggi, invece, solo un paziente su due segue le terapie in modo corretto, mentre l’abbandono terapeutico e il fai-da-te sono frequenti. Le conseguenze per la loro salute sono notevoli, basti pensare che se i soggetti con pressione alta prendessero correttamente i farmaci antipertensivi, il tasso di ospedalizzazione per infarto e ictus si ridurrebbe del 13%. Analogamente, se i pazienti con ipercolesterolemia prendessero correttamente i farmaci ipolipemizzanti, il rischio di ospedalizzazione per infarto si ridurrebbe del 15%. Riduzioni dello stesso ordine di grandezza sono attese per la terapia farmacologica del diabete di tipo 2.

E' quanto emerso oggi nel corso dell’Audizione al Senato intitolata “L’aderenza alla Terapia: un problema per la Sanità” promossa dalla Consulta delle Società scientifiche per la riduzione del rischio cardiovascolare - SCV (14 società scientifiche, operanti nei diversi ambiti nei quali si articola la prevenzione cardiovascolare, alleatesi per contribuire allo sviluppo dell’attività scientifica in Italia e all’ottimizzazione della pratica clinica in questo fondamentale campo della medicina).

Nel corso dell’Audizione è stato presentato anche un progetto, denominato Cement, per sensibilizzare i pazienti ed educarli al corretto uso dei farmaci per curare ipertensione, ipercolesterolemia e diabete di tipo 2. Progetto che, secondo la Scv, “potrà servire anche a stimare il risparmio economico per il Ssn se i soggetti a rischio cardiovascolare fanno corretta prevenzione”.

La Consulta Scv ha inoltre proposto un decalogo di raccomandazioni per diminuire i rischi per i pazienti affetti da malattie cardiovascolari.

Le malattie cardiovascolari rappresentano nel loro insieme la più importante causa di malattia, disabilità, morte e spesa sanitaria al mondo. In Italia, secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità, riportati oggi in audizione, muoiono per malattie ischemiche del cuore 97 maschi e 27 femmine ogni 100.000 persone di età compresa tra 35 e 74 anni, 40 maschi e 24 femmine per malattie cerebrovascolari. I tassi di attacco cardiaco sono compresi tra un minimo di 8 eventi l’anno per 10.000 donne (Modena) e 40 eventi per 10.000 uomini (Brianza). Si stima che ogni anno in Italia si verifichino circa 250.000 ospedalizzazioni per infarto e ictus. I principali fattori di rischio di queste malattie sono obesità, ipertensione, diabete, colesterolo alto e fumo. Tenerli sotto controllo significa, quindi, ridurre in modo significativo i casi di infarto e ictus (fatali e non).

“Per contrastare ipertensione, colesterolo alto e diabete sono disponibili terapie mirate ed efficaci; ciò nonostante – ha rilevato Giuseppe Mancia, ordinario di Medicina Interna presso l’Università di Milano-Bicocca -, l’impatto di queste terapie osservato nella vita reale, ovvero nella pratica clinica, risulta costantemente più basso rispetto a quanto atteso sulla base degli studi clinici condotti finora. Il motivo è che, per essere veramente efficaci, le terapie farmacologiche devono essere seguite dal paziente in modo corretto, senza ricorrere al fai-da-te o addirittura all’abbandono delle stesse, di propria iniziativa”.

“Purtroppo è bassa in tutti i paesi europei l’aderenza alle terapie contro pressione alta, diabete e colesterolo alto: l’aderenza è solo del 50% secondo una recente rassegna di tutta la letteratura mondiale sull’argomento, e l’Italia non fa eccezione”, ha spiegato Giovanni Corrao, ordinario di Statistica medica presso l’Università di Milano. Un recente studio ha mostrato che in Italia la tendenza all’abbandono precoce della terapia anti-ipertensiva è molto più diffusa rispetto a quella di altri Paesi europei; ad esempio, in Italia l’abbandono della terapia si verifica con una frequenza quasi doppia rispetto alla Svezia. Ciò suggerisce che il problema, già di per sé preoccupante, lo è ancora di più nel nostro Paese.

Le ricerche condotte sulla popolazione della Regione Lombardia hanno evidenziato che 200.000, 100.000 e 40.000 soggetti di età compresa tra 40 e 79 anni entrano ogni anno in trattamento –  rispettivamente con farmaci anti-ipertensivi, ipolipemizzanti e antidiabetici – per la prevenzione primaria di esiti cardiovascolari (ovvero per prevenire infarto e/o ictus in soggetti a rischio ma non andati incontro finora a tali esiti). Nel 36-37% dei pazienti che inizia la terapia con un farmaco di una delle tre classi farmacologiche, la prima prescrizione non è rinnovata (non è seguita da altre prescrizioni) entro l’anno successivo la data di inizio della terapia. “Poiché è ampiamente riconosciuto che queste condizioni cliniche, una volta diagnosticate, richiedono il trattamento farmacologico continuo, questo dato è allarmante per la salute dei pazienti. Un’unica prescrizione isolata – ha sottolineato Corrao -, comporta peraltro uno spreco di risorse che, per la sola Regione Lombardia, si aggira intorno a 2,5 milioni di Euro ogni anno. D’altro canto, considerando i soli individui che presumibilmente richiedono la terapia continua, dai dati raccolti sul numero di ricette spedite dal paziente in farmacia per l’acquisto dei farmaci si desume che il loro fabbisogno annuo di terapie è “coperto” solo per il 50%, il 40% e il 60% rispettivamente per il trattamento dell’ipertensione, del colesterolo alto e del diabete. Ciò significa che un soggetto a rischio non prende la terapia come si deve, rispettando le dosi e seguendo la cura durante tutto il corso dell’anno”.

Le conseguenze sono notevoli: è stato recentemente riportato che rispetto agli ipertesi con copertura farmacologica molto bassa (ovvero coperti da farmaci per meno del 25% del loro fabbisogno annuo), quelli con copertura intermedia (51%-75%) o elevata (>75%), presentano un rischio di ospedalizzazione per esiti CV ridotto, rispettivamente, del 20% e del 25%. Analogamente, tra gli individui con colesterolo alto e trattati con statine, quelli con copertura intermedia o elevata, presentano un rischio di ospedalizzazione per malattie coronariche ridotto, rispettivamente, del 18% e 19% rispetto ai pazienti con copertura molto bassa.

“Appare dunque evidente che molto ancora si può fare in termini di prevenzione, informando e aiutando i pazienti a seguire correttamente le proprie terapie e sensibilizzando i medici di medicina generale a seguire i propri assistiti nella gestione delle terapie”, ha sottolineato Corrao. “Ne trarrebbe vantaggi anche la ‘salute’ del SSN, per il quale si produrrebbe un risparmio in termini di riduzione delle ospedalizzazioni. In tema di spending review – ha concluso Corrao - noi auspichiamo che un processo destinato a migliorare la salute, e che comporta anche un risparmio di risorse finanziarie, venga accolto con favore da chi ha la responsabilità del governo della salute pubblica”.
 

12 novembre 2012
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