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Hiv/Aids. Iniziare la terapia entro i 4 mesi dal contagio può fare la differenza


Prima dei 3 mesi dal contagio il test per l’Hiv non è definitivo. Ma una ricerca dimostra che se si inizia la terapia antiretrovirale entro i primi 4 mesi dal presunto contatto col virus, si hanno risultati migliori in caso di effettiva infezione. Su New England Journal of Medicine tutti i benefici e i problemi della terapia anticipata.

18 GEN - Sempre più studi dimostrano che iniziare al più presto la terapia antiretrovirale dopo un possibile contagio fa la differenza nel tenere sotto controllo l’Hiv. L’ultimo in ordine temporale è uno studio dell’Università della California di San Diego e dello UT Medicine di San Antonio, che ha dimostrato come i pazienti che hanno iniziato il trattamento entro quattro mesi dalla presunta data di contatto col virus e che avevano una conta di linfociti T CD4+ - le cellule immunitarie specializzate che servono a rispondere alle infezioni e che vengono attaccate dal virus, causando l’immunodeficienza tipica dell’Aids – dimostravano di rispondere meglio alla cura, riuscendo a ottenere risultati migliori di quelli che iniziavano più tardi. La ricerca è stata pubblicata su New England Journal of Medicine.
 
Quando il virus dell’Hiv-1 infetta un organismo, il sistema immunitario impiega all’incirca quattro mesi a organizzare le difese per cominciare, rialzando il numero di linfociti T CD4+ e rispondendo all’attacco. In questo tempo però, e in particolare nei primi tre mesi, non è possibile rilevare con assoluta sicurezza la presenza del virus, perché ancora non esistono gli anticorpi specifici prodotti dal corpo umano, e per questo ad oggi le terapie antiretrovirali vengono iniziate solo dopo qualche mese e con la sicurezza che il contagio sia avvenuto.
Dopo il primo periodo di produzione delle cellule immunitarie, tuttavia, se non vengono prese le adeguate misure di risposta, la conta dei CD4+ comincia a scendere progressivamente e inesorabilmente, portando allo sviluppo di Aids e alle conseguenze che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi decenni, da quando la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita ha iniziato a diffondersi.
Tuttavia, l’osservazione che l’organismo umano ristabilisca in maniera temporanea la corretta conta dei linfociti T CD4+, nelle settimane immediatamente successive al contagio, e che solo successivamente le difese ricomincino ad abbassarsi, suggerisce che dopo la prima fase acuta dell’infezione esista una “finestra di azione” piuttosto stretta in cui il sistema immunitario si ristabilisce e nella quale questo può essere meglio aiutato a prepararsi a sopportare la sieropositività.
 
Per dimostrare questa possibilità gli scienziati hanno dunque approntato una ricerca della durata di 48 mesi su due gruppi di pazienti che si sovrapponevano parzialmente: il primo includeva 384 partecipanti, seguiti durante la finestra temporale in cui non erano sottoposti a terapia antiretrovirale, l’altro includeva 213 partecipanti cui la terapia era stata somministrata tempestivamente dopo il presunto contagio. Nello studio era considerata pressoché normale una conta di linfociti T CD4+ di 900 o più cellule per millilitro cubo di sangue: durante questo studio, questi livelli sono stati osservati nel 64% dei partecipanti che avevano iniziato la cura antiretrovirale entro i primi quattro mesi, contro appena il 34% di quelli che avevano cominciato più tardi. “Anche un breve ritardo dopo la chiusura di questa ‘finestra di azione’ poteva provocare una compromissione del recupero dei linfociti T, a prescindere da quanti erano quelli di partenza”, ha commentato Sunil K. Ahuja, co-autore dello studio e ricercatore di microbiologia, immunologia e biochimica allo UT Medicine di San Antonio. “Lo studio suggerisce dunque l’urgenza di cominciare la terapia al più presto possibile, quando la maggior parte delle armi del sistema immunitario sono ancora a disposizione dell’organismo. Per ora però non sappiamo dire se iniziare la cura entro questo tempo limite può aiutare a ricostituire completamente il sistema immunitario”.
 
Nello stesso numero di New England Journal of Medicine, uno studio randomizzato controllato, è presente inoltre un’altra ricerca, che dimostrerebbe come il trattamento tempestivo rallenti i danni provocati dal virus al sistema immunitario, e ritardi la necessità di ricorrere a trattamenti a lungo termine. Lo studio, dal nome SPARTAC (Short Pulse Anti-Retroviral Therapy at HIV Seroconversion) e condotto da Wellcome Trust e Imperial College di Londra, ha seguito 366 adulti per cinque anni: si trattava prevalentemente di donne eterosessuali e uomini gay provenienti da Australia, Brasile, Irlanda, Italia, Sud Africa, Spagna, Uganda e Gran Bretagna.
 
Tuttavia, il numero della prestigiosa rivista inglese presenta anche un editoriale scritto a quattro mani da due scienziati della Harvard Medical School, Bruce Walker e Martin Hirsch, che pongono il problema della disponibilità dei farmaci antiretrovirali nel sud del mondo: “È chiaro che gli studi presentati supportano con i dati la teoria che bisogna cominciare il trattamento al più presto, per avere i maggiori benefici “, scrivono. “Ma la questione di quando iniziare la terapia rimane complicata soprattutto nelle nazioni dalle risorse limitate, dove l’accesso alle cure è più difficile. Per questo nei prossimi studi, bisognerà tenere in considerazione anche queste popolazioni, se veramente si sta cercando una ‘cura’ per questa infezione”.
 
 
 
 
 

18 gennaio 2013
© Riproduzione riservata

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