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Contenzione fisica. Legge ed etica a volte configgono: ecco i nuovi criteri dell'ISS

di Viola Rita

Combinando i principali regolamenti internazionali e i principi di Bioetica, Carlo Petrini dell’ISS delinea i parametri per la valutazione del problema in ambito psichiatrico. La procedura è ammissibile solo in condizioni estreme. Tra i criteri, la priorità alle alternative, l’esame caso per caso e l’informazione IL DOCUMENTO

27 DIC - Uno studio etico, oggi, valuta la contenzione fisica – cioè l’applicazione o l’uso di presidi come barriera nell’ambiente per ridurre o controllare i movimenti dei pazienti - in ambito psichiatrico. La ricerca, pubblicata sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), è stata effettuata da Carlo Petrini, responsabile dell’Unità di Bioetica dell’ISS e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica.
 
In generale, la contenzione fisica è un tema ampiamente dibattuto e non riguarda soltanto la psichiatria, ma anche la neurologia, la geriatria e altri contesti clinici e assistenziali. In psichiatria, però, il tema è molto sentito, anche dalle istituzioni (legislative, giudiziarie, sanitarie): in particolare, in relazione alla chiusura, entro il 1° aprile 2014, degli ospedali psichiatrici giudiziari e all’attivazione di programmi regionali per affidare ai dipartimenti di salute mentale la presa in carico dei soggetti, detenuti e internati, affetti da disturbi mentali.
 
Pur con le diversità che derivano dai differenti contesti in cui la contenzione è applicata, occorre distinguere due aspetti:
1) il problema dell’abuso (ovviamente illegittimo sotto i profili sia etico, sia giuridico);
2) i requisiti per un eventuale utilizzo legittimo (sotto i vari profili: clinico, etico, giuridico).
 
L’articolo non dà risposte operative ai singoli problemi, ma si propone di fornire criteri metodologici, come aiuto per gli esperti all’interno dei diversi scenari in cui vengono prese delle decisioni operative.
La tematica è affrontata attraverso due punti di vista che corrispondono a due argomentazioni. La prima prende in considerazione documenti emanati da autorevoli istituzioni nazionali e internazionali (codici deontologici, linee guida, etc.), con particolare riferimento al Consiglio d’Europa. La seconda considera il quadro teorico dei valori o principi di etica. Ovviamente le due tipologie sono ampiamente intersecate, poiché i documenti necessariamente fanno riferimento ai valori. Tuttavia, è possibile che sorgano conflitti tra la deontologia e i regolamenti: di conseguenza, coloro che devono decidere si trovano talvolta in gravi difficoltà, anche per motivi di coscienza.
Come si legge nell’articolo, “nella ricerca di identificare criteri operativi, può essere utile combinare i due approcci menzionati sopra: i cosiddetti ‘principi di bioetica’ e i documenti istituzionali”
 
In particolare, l’autore prende spunto dal classico modello dei principi della Bioetica nordamericana (autonomia, ‘beneficialità’/non ‘maleficenza’, giustizia) ed evidenzia i conflitti tra valori che possono determinarsi: per esempio, la libertà (che fa riferimento al principio di autonomia e che si esplicita nel consenso informato) può essere in conflitto con gli scopi terapeutici (beneficialità) ed anche con il dovere di proteggere dai rischi per il paziente stesso o per l’incolumità altrui (giustizia). “Gli stessi autori che hanno definito i principi della Bioetica nordamericana hanno anche proposto una griglia di riferimento per aiutare a decidere – dove c’è un conflitto tra principi – quando una violazione di uno o più di questi principi è giustificata”, si legge ancora.
 
L’autore propone dunque alcuni parametri per giudicare l’eventuale ammissibilità della contenzione, tenendo presente che la si tratta di un atto gravemente lesivo della dignità della persona e che vi sono opinioni convergenti nel ritenere che essa non abbia alcun valore terapeutico. Essa è dunque una pratica ammissibile soltanto in condizioni estreme, quando non siano praticabili alternative meno lesive della persona.
Tra i criteri proposti vi sono: priorità alle alternative meno traumatizzanti, esame caso per caso, proporzionalità, valutazione di pericolo grave, limite temporale, informazione. Tutto ciò deve attuarsi sempre nella prospettiva del migliore interesse per il paziente, che è un imperativo deontologico.
 
Viola Rita

27 dicembre 2013
© Riproduzione riservata

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