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Epatite E. Il vaccino ‘cinese’ è efficace e protegge a lungo termine

di Maria Rita Montebelli

Ancora poco conosciuta nei Paesi industrializzati, l'epatite E si trasmette con l’acqua infetta e mangiando carne poco cotta di animali infetti. Sul New England Journal of Medicine i risultati di un mega-trial su oltre 112.000 persone che ha decretato l’efficacia sul larga scala e a lungo termine del vaccino ricombinante disponibile sul mercato cinese dal 2012 

06 MAR - Nell’alfabeto delle epatiti virali, la forma ‘E’ nel nostro Paese è ancora poco conosciuta, come nel resto dei Paesi industrializzati. Ma potrebbe essere solo questione di tempo; sia i CDC statunitensi che l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno puntato la loro attenzione su questa infezione ancora poco conosciuta e quindi sotto-diagnosticata, auspicando che si arrivi presto a tracciarne il reale profilo epidemiologico in tutti i Paesi del mondo. Dal New England Journal of Medicine arriva intanto la notizia delle ottime performance di un vaccino anti-epatite E sperimentato in Cina.
 
Il virus dell’epatite E è una frequente causa di epatite virale acuta in tutto il mondo; l’infezione da genotipo 1 e 2, diffusa nelle nazioni a basso income, si trasmette attraverso l’acqua infetta e dà luogo ad epidemie protratte o a casi sporadici, mietendo vittime soprattutto tra le donne incinte. L’infezione da genotipo 3 e 4 invece si trasmette attraverso il consumo di carni poco cotte di animali infetti e si verifica tanto in contesti disagiati, che nelle nazioni industrializzate.
 
Secondo i dati epidemiologici al momento disponibili, le forme da genotipo 1, nelle aree ad elevata endemia, provocano 3,3 milioni di casi l’anno, 70.000 decessi e 3.000 aborti. Nel solo Bangladesh, l’HEV causa 1000 decessi l’anno tra le donne in gravidanza. Sebbene sia noto che l’HEV rappresenti un’importante causa di epatite virale acuta anche nelle nazioni industrializzate, non sono disponibili per questi Paesi dati epidemiologici.
 
Le manifestazioni cliniche dell’ infezione in genere non sono molto diverse da quelle causate da altri virus; la malattia tende ad essere auto-limitantesi e non cronicizza (tranne nei soggetti immunocompromessi). Particolarmente a rischio di complicanze, le donne incinte, gli anziani e i pazienti con epatopatie preesistenti. Il tasso generale di mortalità si aggira tra l’1 e il 3%, ma tra le donne incinte può arrivare al 25%. In Europa, tra le manifestazioni extraepatiche associate alla malattia, sono state segnalate pancreatite acuta, artrite, anemia aplastica e complicanze neurologiche.
 
Tutti i principali genotipi dell’HEV nell’uomo appartengono allo stesso sierotipo. Sono al momento in sviluppo due vaccini ricombinanti contro l’HEV, uno di GlaxoSmithKline, l’altro di Xiamen Innovax Biotech (nome commerciale Hecolin); entrambi sono stati oggetto di trial clinici di breve durata per valutarne l’efficacia. Hecolin è sul mercato cinese dal 2012, ma finora nessun trial ne aveva valutato l’efficacia su vaste popolazioni e a lungo termine. Ma oggi, lo studio pubblicato sul New England, finanziato tra l’altro dal Ministero Cinese per la Scienza e la Tecnologia, ne ha decretato l’efficacia su un periodo di almeno 4,5 anni.
 
Per arrivare a questa conclusione, a partire dal 2007, Jun Zhang e colleghi dello State Key Laboratory of Molecular Vaccinology and Molecular Diagnostics, National Institute of Diagnostics and Vaccine Development in Infectious Diseases, Collaborative Innovation Center of Biologic Products, School of Public Health, Xiamen University (Cina) -  hanno arruolato oltre 112 mila soggetti, di età compresa tra i 16 e i 65 anni, per un trial clinico di fase 3 randomizzato controllato versus placebo.
 
Nello studio di efficacia iniziale, i ricercatori cinesi hanno assegnato in maniera random i soggetti alla somministrazione delle tre dosi di vaccino contro l’epatite E o di un vaccino anti-epatite B (gruppo di controllo). I vaccini sono stati somministrati a 0, 1 e 6 mesi e i partecipanti allo studio sono stati seguiti per 19 mesi.
Il doppio cieco è stato mantenuto per tutta la durata dell’estensione dello studio e le valutazioni di follow up circa efficacia, immunogenicità e safety sono proseguite fino a 4,5 anni.
In questo periodo sono stati registrati 60 casi di epatite E,  7 dei quali nel gruppo dei vaccinati contro l’HEV (0,3 casi per 10.000 persone-anno) e i restanti 53 casi nel gruppo di controllo (2,1 casi per 10.000 persone-anno). Questo configura un’efficacia della vaccinazione dell’86,8%, secondo l’analisi intention to treat modificata.
 
L’87% dei soggetti sottoposti alle tre dose schedulate per il vaccino anti HEV, mantevano gli anticorpi anti HEV per almeno 4,5 anni. Anticorpi anti-HEV si sono sviluppati anche nel 9% del gruppo di controllo , in questo stesso periodo.
Gli autori concludono dunque che l’immunizzazione con questo vaccino contro l’epatite E induce anticorpi contro l’HEV e protegge contro l’epatite E fino ad almeno 4,5 anni.
 
Il vaccino oggetto della sperimentazione si è rivelato sicuro ed efficace (l’efficacia è stata pari al 95% nei dodici mesi successivi alla vaccinazione) e rimane immunogeno ed efficace anche a distanza di 4,5 anni dal completamento della somministrazione delle tre dosi previste (a 0, 1 e 6 mesi).
 
Una limitazione dello studio è che, essendo stato condotto in Cina, i risultati riguardano soprattutto il genotipo 4 del virus dell’epatite E, che è il ceppo più rappresentato in questo Paese. Sono dunque necessari ulteriori studi per stabilire l’efficacia di questo vaccino contro i ceppi endemici in altri Paesi. Nell’Asia meridionale e in Africa ad esempio, il genotipo 1 dell’HEV rappresenta la principale causa di epatite fulminante e provoca circa 70.000 decessi ogni anno.
 
Sebbene l’HEV sia una malattia in genere a decorso benigno , non di rado può causare epatite fulminante e condurre al decesso. E’ il caso ad esempio delle donne in gravidanza; il 20% di quante contraggono l’epatite E nel terzo trimestre di gravidanza, muore a causa di questa malattia o delle sue complicanze.
 
Le epidemie da HEV genotipo 1 non sono affatto rare, soprattutto in condizioni di sovraffollamento e in presenza di condizioni sanitarie precarie (come ad esempio nei campi profughi). La trasmissione avviene soprattutto per via oro-fecale; un miglioramento delle condizioni igieniche e la disponibilità di acqua potabile potrebbero dunque essere di valido ausilio per arrestarne la trasmissione. E la possibilità di somministrare un vaccino in questi contesti sarebbe di enorme utilità.
 
Un grande ostacolo alla gestione di questa malattia è rappresentato dalla scarsità di dati epidemiologici, non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli industrializzati. E’ il caso ad esempio degli USA, dove mancano test diagnostici ad elevata sensibilità e specificità, FDA-approved e di conseguenza, un sistema di sorveglianza efficace. I test effettuati presso i laboratori dei CDC hanno evidenziato una prevalenza di casi a genotipo 3 in questo Paese. Nell’uomo questo tipo di infezione deriva dal consumo di carni poco cotte o crude provenienti da animali infetti (maiali, cinghiali, cervo). Casi aneddotici di trasmissione sono stati segnalati anche tra i trapiantati d’organo.
 
Nell’editoriale di accompagnamento allo studio, Eyasu Teshale e John W. Ward,Division of Viral Hepatitis, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta (USA) -  auspicano dunque la diffusione di test quali il dosaggio degli anticorpi anti-HEV e dell’HEV RNA, oltre ad una migliore sorveglianza sanitaria, al fine di individuare le popolazioni a maggior rischio, che potrebbero trarre beneficio dalla vaccinazione. Nel frattempo  - proseguono gli editorialisti – sarebbe auspicabile che i medici stelle e strisce includessero nella diagnosi differenziale delle epatiti anche l’infezione da HEV, sopratutto nei pazienti appena rientrati da un viaggio in regioni dove questa infezione è endemica o dopo aver escluso cause più frequenti di epatite.
 
Una volta acclarata la questione dell’eventuale pangenotipicità del vaccino disponibile, bisognerà stabilire quali popolazioni vaccinare e quando. E naturalmente, prima di inserire questo nuovo vaccino nel calendario vaccinale dei bambini, sarà necessario acquisire i dati di safety e di efficacia per la popolazione al di sotto dei 16 anni, oltre a valutare l’eventuale interferenza con le altre vaccinazioni .
 
Anche lo Strategic Advisory Group of Experts (SAGE) sulle vaccinazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha di recente sottolineato la necessità di acquisire dati epidemiologici completi e certi relativi all’effettiva incidenza di questa patologia nelle nazioni dove è altamente endemica, prima di raccomandare una vaccinazione di routine.
 
Acquisire questi dati potrebbe stimolare anche l’industria a produrre nuovi vaccini ( altri vaccini anti-HEV  già in fase di sviluppo). Ma per il momento, solo il vaccino oggetto dello studio di Zhang ha superato la fase 2 di sperimentazione.
 
Avere a disposizione un vaccino contro l’epatite E – concludono i due ricercatori dei CDC -  servirebbe nell’immediato a controllare le epidemie in occasione delle crisi umanitarie; in un secondo momento potrebbe essere esteso come vaccinazione routinaria nelle popolazioni più a rischio, tra cui le donne in gravidanza.
 
Maria Rita Montebelli

06 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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