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Scoperto il gene della longevità. È collegato all’invecchiamento dell’intestino


Uno studio statunitense, pubblicato su Cell Metabolism, dimostra come agendo sul gene Pcg-1 si possa aumentare la vita di alcuni moscerini della frutta fino al 50%. Le applicazioni? Forse possibili anche nella cura delle malattie nell’uomo.

04 NOV - Da qualche tempo si sa che uno dei modi di aumentare l’aspettativa di vita di diversi organismi, sia ridurre il numero di calorie della loro dieta. Finora, però non si era mai capito perché. Ma grazie ad uno studio del Salk Institute e dell’Università della California di Los Angeles, pubblicato sulla rivista Cell Metabolism, si ha qualche sorprendente informazione in più. Sarebbe infatti un gene, il Pgc-1, uno dei responsabili dell’invecchiamento: è stato infatti dimostrato come modificando questo gene, che si trova in molti animali e anche nell’uomo, si possa aumentare la vita di una particolare specie di moscerini della frutta addirittura del 50%.
Questo, secondo i ricercatori, sarebbe dovuto al fatto che Pgc-1 controlla l’invecchiamento dell’intestino di queste mosche, della famiglia Drosophila melanogaster, e che sia proprio questo ad aumentare la lunghezza della loro vita. E ciò potrebbe accadere anche per gli uomini. “Che ci crediate o no, abbiamo molte cose in comune con i moscerini della frutta”, ha spiegato Leanne Jones, docente del Salk's Laboratory of Genetics e coordinatrice dello studio. “E soprattutto, ci sono moltissime somiglianze tra il loro intestino e il nostro”.
Precedenti studi avevano già mostrato che la restrizione calorica, ovvero limitare la quantità di cibo assunta ogni giorno, può far vivere molti animali più a lungo. In alcuni casi, in media, anche del doppio rispetto agli altri. All’interno delle cellule di questi animali era poi stata notata una particolare abbondanza di mitocondri, organelli deputati alla trasformazione di zuccheri e grassi in energia.
Sapendo che è proprio Pcg-1 a regolare il numero di queste piccole centrali elettriche, i ricercatori statunitensi hanno cercato di scoprire cosa succede quando l’attività di questo gene viene aumentata. Per farlo hanno quindi usato degli organismi che per le loro caratteristiche si prestavano all’esperimento: la Drosophila melanogaster, tra le altre particolarità, ha una vita molto breve, ed era quindi più adatta di altri animali per questo tipo di studi.
Tramite tecniche di ingegneria genetica i ricercatori hanno quindi agito sulla versione del gene contenuta nelle cellule di questo insetto, ottenendo come atteso un aumento del numero di mitocondri e quindi dell’”energia” delle mosche. A causa di questa modifica, gli scienziati hanno osservato però qualcosa di sorprendente: quando l’attività di Pcg-1 era accelerata nelle cellule staminali dell’intestino (utilizzate dall’organismo proprio per riparare i tessuti di questo organo), la modifica aveva ripercussioni positive sulla salute complessiva. Le drosofile geneticamente modificate vivevano tra il 20% e il 50% più a lungo delle altre.
Questo risultato mostra come Pcg-1 agisca rallentando il processo di invecchiamento. I ricercatori sperano che questo possa essere usato anche per sviluppare terapie per le malattie legate all’età, soprattutto per quelle in cui i bersagli all’interno del corpo sono molteplici. “Rallentando l’invecchiamento di un singolo organo, in questo caso l’intestino, può avere effetti spettacolari sulla salute in generale e sulla longevità”, ha spiegato ancora la dottoressa Jones. “In una malattia che attacca molti tessuti, per esempio, si potrebbe focalizzare l’attenzione nel mantenere vitale e sano un organo specifico, e sperare così di aiutare l’organismo a riprendersi. E per fare questo il ruolo di Pgc-1 potrebbe essere fondamentale.”
Laura Berardi


04 novembre 2011
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