Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Giovedì 28 MARZO 2024
Scienza e Farmaci
segui quotidianosanita.it

Diabete: scoperta una nuova forma provocata dall’uso dell’immunoterapia

di Maria Rita Montebelli

L’immunoterapia è stata una rivoluzione nel campo dei trattamenti oncologici, ma non è priva di effetti collaterali. Uno degli ultimi scoperti in ordine di tempo è una nuova forma di diabete insulino-dipendente che compare da 7 a 11 settimane dopo l’inizio di una terapia a base di checkpoint inibitori (soprattutto anti-PD1 e anti-PD-L1). Ad essere colpito è fino allo 0,9% dei pazienti e questa forma di diabete è irreversibile, oltre che difficile da controllare. Nella metà dei casi sono presenti gli autoanticorpi tipici del diabete di tipo 1 e più suscettibili a questa complicanza sono gli individui con aplotipo HLA-DR4.

21 MAR - Con l’espandersi dell’uso dell’immunoterapie in oncologia, aumentano anche le segnalazioni di effetti indesiderati. Uno degli ultimi correlati all’impiego di queste terapie è una nuova forma di diabete insulino-dipendente. A darne notizia è un lavoro pubblicato su Lancet. Gli inibitori dei checkpoint immunitari sono anticorpi monoclonali che bloccano molecole quali la CTLA-4 (cytotoxic T-lymphocyte-associated protein 4) o la PD-1 (programmed death-1). Le cosiddette molecole checkpoint sono espresse sulle cellule T e svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere la tolleranza immunitaria, prevenendo l’attivazione delle cellule T.
 
Gli anticorpi monoclonali anti-CTLA-4, anti-PD-1 e anti-PD-L1 attaccano il tumore scatenandogli contro le cellule T. Ma possono provocare anche una serie di effetti indesiderati, a carico di vari organi, come quelli del sistema endocrino. E’ il caso ad esempio dell’ipofisi, della tiroide, dei surreni e delle cellule beta pancreatiche, produttrici di insulina.
 
Una delle patologie correlate all’uso degli checkpoint inibitori individuate più di recente è una nuova forma di diabete insulino-dipendente che può esordire in forma acuta. E’ più comune con l’uso di degli anti-PD-1 e con gli anti-PD-L1 (da soli o in associazione agli anti-CTLA-4). Solo due studi hanno segnalato la comparsa di diabete dopo l’impiego degli anti-CTLA-4.
 
Si è visto inoltre che l’iperespressione di PD-L1 sulle cellule beta-pancreatiche può prevenire il diabete e questo suggerisce che questo pathway è importante per il mantenimento della tolleranza nei confronti delle cellule beta.
 
Il diabete indotto da checkpoint inibitori non è un’evenienza rara, potendosi riscontrare nello 0,9% dei trattati.
 
Due studi di recente condotti su 64 pazienti gettano luce su questo effetto indesiderato da immunoterapia. Il diabete da checkpoint inibitori è stato segnalato più di frequente tra i pazienti in trattamento per melanoma, ma è stato osservato in altre 13 diverse forme di neoplasia. Molti di questi pazienti avevano una storia di tireopatia o di eventi avversi immuno-relati a carico della tiroide.
 
L’esordio di questa forma di diabete è tipicamente acuto, con un marcato e rapidissimo aumento della glicemia. Il tempo medio che passa tra la somministrazione di checkpoint inibitori e la comparsa di diabete è di 11 settimane e alla diagnosi l’emoglobina glicata è in genere del 7-9%. Nel 75% dei pazienti si è verificata cheto acidosi diabetica, mentre il peptide C è risultato al di sotto della norma o non dosabile nel 91% dei casi.
 
Gli autoanticorpi tipici del diabete di tipo 1 sono risultati presenti in circa la metà di questi pazienti; in questi pazienti la latenza tra la somministrazione di checkpoint inibitori e la comparsa di questa forma di diabete è più breve, dell’ordine di 7 settimane.
Un’elevazione di lipasi e amilasi è stata osservata in un terzo del pazienti, nella metà dei casi senza segni clinici di pancreatite e questo suggerisce che l’infiammazione del pancreas esocrino può giocare un ruolo nell’inizio della malattia.
 
Una forte associazione è stata notata tra gli aplotipi HLA-DR4 e il diabete da checkpoint inibitori. Il 62% dei pazienti esprime HLA-DR4, una percentuale maggiore anche di quella che si osserva nei soggetti con diabete di tipo 1 (43%).
 
La quasi totalità dei questi pazienti affetti da questa forma di diabete richiederà un trattamento con insulina; questo effetto indesiderato in genere non è reversibile (è importante dunque informarne i pazienti). Si tratta inoltre di una forma di diabete dal compenso molto labile, con possibilità di episodi di chetoacidosi e di grave ipoglicemia. Per questo, oltre al fatto che questi pazienti sono spesso in età avanzata, gli esperti suggeriscono di mantenere dei target di terapia ‘rilassati’ (HbA1c 7-8%).
 
Comprendere i meccanismi patogenetici alla base di questo effetto indesiderato potrebbe aiutare a comprendere la patogenesi del diabete di tipo 1 spontaneo, i meccanismi di tolleranza immunitaria e quindi da ultimo a suggerire nuove opzioni terapeutiche per il diabete da checkpoint inibitori e per quello di tipo 1. Una volta compresi i meccanismi causali, potrebbe essere possibile prevenire il diabete da checkpoint inibitori, senza alterare l’efficacia di queste terapie.
 
Maria Rita Montebelli

21 marzo 2019
© Riproduzione riservata

Altri articoli in Scienza e Farmaci

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy