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Ancora sulla sostenibilità del Ssn e sulla necessità del cambiamento

di Ivan Cavicchi

Cambiare da dentro un sistema sanitario, come si può intuire, significa cambiare molte cose, intervenire su piani diversi, affrontare molteplici generi di problemi e soprattutto tenere tutto insieme con una nuova idea di sanità. Ma si può fare, ecco come

04 DIC - Su una cosa il mio amico Spandonaro ha ragione, nel mio articolo, l’idea di cambiamento “nel” sistema, rispetto alla sua idea di cambiamento “del” sistema, risulta generica. Le proposte che ho confutato, “priorità”, “finanziamenti aggiuntivi” “mutue”, devo ammettere che comunque sono chiare. Vorrei spiegare quindi cosa vuol dire per me cambiamento “nel” sistema. Cambiare da dentro un sistema sanitario, come si può intuire significa cambiare molte cose, intervenire su piani diversi, affrontare molteplici generi di problemi e soprattutto tenere tutto insieme con una nuova idea di sanità. Mi limiterò a spiegare pochi postulati e a ricavarne succintamente la proposta politica finale.
 
1) La necessità di un cambiamento interno alla sanità nasce prima di tutto dal comprendere che essa si trova come l’intero welfare, indipendentemente dal governo Monti e dai futuri governi, tra una società che chiede molto e una economia che da poco. La sfida difficile è salvare capra e cavoli, cioè rendere compossibili i diritti con i limiti economici e risparmiarci per ragioni di sostenibilità la perdita o il declino del servizio pubblico.
 
2) L’idea di compossibilità è nuova e si basa sulla correlazione forte che esiste tra costi e sistema. I costi della sanità sono la sanità…cioè non sono altro dal sistema…per cui non si riformano i costi della sanità senza riformare la sanità. I costi della sanità non sono solo delle quantità di bilancio, dei numeri, ma sono delle complessità riformabili…che vanno ben oltre gli approcci marginalisti sull’efficienza che sino ad ora ci hanno prescritto gli economisti. Ci vogliono cambiamenti più robusti più profondi che liberando la spesa sanitaria dal peso schiacciante dei costi resi più costosi dalla loro intrinseca antieconomicità siano in grado di renderla strutturalmente più sostenibile ma non per questo meno efficace, meno pubblica, meno universale e meno solidale.
 
3) Il luogo comune “non si più dare tutto a tutti” cioè non ci possiamo più permettere l’universalismo, si basa su un equivoco: ritenere che il “tutto” sia irriformabile mentre l’unica cosa riformabile sia il “tutti”…cioè fermo restando l’invarianza dell’offerta storica di sanità, si tratta semplicemente di distribuirla in modo iniquo cioè dare a qualcuno di più e a qualcuno di meno. In realtà questo “tutto” è ripensabile senza costringerci a discriminare nessuno. Questo tutto non è fatto solo dai Lea ma coincide con un intero sistema. Cioè l’universalismo non è solo un problema redistributivo o allocativo di tutele, come se fosse una torta, ma è funzione ed estensione del sistema che lo garantisce. Il “tutto” dipende da come è calibrato, congegnato, distribuito, organizzato, integrato il sistema…cioè dai suoi modi di essere tale. Basterebbe semplicemente ricalibrare i rapporti tra i vari sottosistemi sanitari e le varie aree di tutela per avere un “tutto” assolutamente gestibile. Basterebbe riconcepire il lavoro e quindi l’operatività che si svolge nel sistema per avere un “tutto” diverso e più fruibile. Basterebbe fare uno sforzo e andare oltre l’idea competitiva del territorio contro l’ospedale, o di dare più infermieri e meno medici, o più medici di medicina generale e meno medici ospedalieri. In sanità come altrove, è di gran lunga meglio cooperare come un tutto anziché competere come tante parti concorrenti. Si tratta quindi di ricalibrare ricontestualizzare e interconnettere…quello che c’è nel tutto…nel sistema 
 
4) Il problema della sostenibilità…si può affrontare in tanti modi…c’è chi pensa al sistema multipilastro quindi assistenza integrativa, fondi assicurativi, mutue sostitutive…e chi ragiona, come nel mio caso, sulla base di un principio: quando non si hanno i mezzi per realizzare la propria politica bisogna realizzare una politica per realizzare i mezzi che ci servono. Questo principio intanto si potrebbe declinare così: quando non si hanno i mezzi per realizzare dei fini di salute allora bisogna realizzare fini di salute per avere i mezzi che ci servono…cioè la questione della salute personalmente non sono disposto a liquidarla come ideologica, o utopica o peggio teorica. E’ la stessa Europa a darmi ragione. Le malattie si possono ridurre, siamo il paese che fa meno prevenzione in Europa. Quindi una politica dei mezzi non è solo una politica finanziaria...i mezzi in sanità non sono solo i soldi…i mezzi sono i servizi, gli operatori, le tecnologie, i farmaci, i dispositivi medici, i cittadini, le metodologie, le conoscenze ecc. Chi ci impedisce di ripensare i mezzi del sistema per rendere il sistema sanitario più sostenibile?
 
Ed ora succintamente la proposta politica. Nel sistema sanitario vi sono tante idee, esperienze, progetti, non c’è categoria professionale che non abbia una propria proposta di cambiamento, in questi anni è cresciuto nonostante tutto e probabilmente per necessità, anche se in sordina e in modo sparso, un pensiero riformatore…soprattutto nei servizi. Naturalmente so che questo grande patrimonio non è coordinato da un pensiero strategico, meno che mai da un soggetto istituzionale capofila e che per giunta è spesso avvelenato da conflitti, corporativismi, insufficienze ecc. La proposta è di organizzare un pensiero strategico in una “riforma pubblica” che metta insieme e coordini l’immenso patrimonio che c’è nella sanità pubblica. Tale pensiero strategico si può riassumere in cinque “r”:
* “riconsiderare” il sistema di finanziamento/governement/governance ,
* “rinnovare” il sistema dei servizi,
* “ricontestualizzare” i modelli culturali della tutela,
* “ripensare” le professioni in campo,
* “riconoscere” al cittadino il ruolo di produttore responsabile di salute
 
Io credo che l’economia sia una scienza importante ma sono convinto che se sarà solo l’economia a ispirare la politica sanitaria queste “cinque r” non saranno neanche prese in considerazione cioè non si farà null’altro che un cambio “del” sistema. Le “cinque r” servono per fare un cambio “nel” sistema per questo bisogna fare spazio ad altre conoscenze, ad altre logiche, altre razionalità e a altri approcci.
 
Ivan Cavicchi

04 dicembre 2012
© Riproduzione riservata


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