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Come uscire dal vicolo cieco delle “non riforme” in sanità. Facciamo come gli inglesi (seconda parte)

di Ivan Cavicchi

La strada più semplice è che la politica nelle sue diverse forme, istituisca  un commissione di scopo a tempo, come tante volte hanno fatto gli inglesi (black report, rapporto Griffith, rapporto Komer, ecc.), con delle competenze e delle sensibilità  riformatrici certe (quelle scientifiche  tecniche amministrative non bastano meno che mai gli amici degli amici, o le logiche di spartizione dei ruoli, o peggio quelle di apparato)

04 DIC - (Seconda parte). Sono arciconvinto che la mia idea di riforma sia  giusta e necessaria (e lo dimostrerò nel corso degli articoli che seguiranno) ma sono altresì consapevole che essa è avversata da quattro grandi oppositori:
· gli incompetenti  cioè coloro che non conoscono da dentro la sanità, non ne conoscono la storia, non la conoscono come sistema e come complessità  e ciò nonostante prescrivono soluzioni, sulla base di statistiche, delle mode, dell’aria che tira, e che ogni tanto ci rifilano un rapporto dove trasformano in grafici quello che sanno tutti senza proporre nulla. Costoro  se fossero chiamati a  riformare  davvero il sistema sarebbero fuori gioco. Non sapendo riformare   contro riformano;
 
· gli interessi come si sono consolidati nel sistema, di vario tipo soprattutto quelli legati  allo status professionale. Scommetterei la testa che se volessimo riformare le aziende i direttori  generali sarebbero contro, oppure se volessimo togliere le funzioni gestionali alle regioni le regioni sarebbero contro, come pure se volessimo riformare le cure primarie integrandole nel distretto i medici di medicina generale sarebbero contro. Cioè in un sistema di interessi  autoreferenziali il nemico è il cambiamento;
 
· il pensiero debole, il gruppo più affollato, nel quale vi sono persone con incarichi importanti. Penso ai sindacati, agli ordini, ai collegi, ma anche agli apparati regionali al funzionariato alto delle principali istituzioni di governo della sanità. Brava gente che per la sanità ha fatto molto ma privi di un qualsiasi  pensiero  ideativo. Costoro per quanto si sforzino non riescono a concepire la possibilità di una sanità diversa da  quella che conoscono, che hanno amministrato, o diretto da qualche parte. Purtroppo sono anche coloro che suggeriscono alla politica cosa fare;
 
· i pregiudizi  tutti  coloro che ci rifilano le loro convinzioni radicate, le loro verità dogmatiche. Il ragionamento è sempre lo stesso: o così o la fine.  Sono loro  quelli che hanno in tasca le leve giuste per sollevare il mondo e per loro il mondo è uno standard universale...mai quindi un mondo a molti mondi. Costoro in sanità hanno fatto più danni della grandine.
 
Ebbene queste  brave persone,  non sono un problema da poco: sono tanti, condizionano le scelte della politica, controllano i  centri nevralgici del governo del sistema.
 
Pur tuttavia  rispetto ai problemi gravi della sanità, costoro  sono, a loro modo, i naturali oppositori di una idea di riforma. Ma quando mai una riforma non ha incontrato ostacoli? Ma se qualcuno non vuole cambiare le mutande  in nessun modo  la colpa può essere data al cambiamento.
 
Detto ciò la contraddizione sussiste:
· l’idea di riforma oggi  è ostacolata da un sacco di cose;
· nello stesso tempo è una necessità  innegabile.
 
Come si rimuove questa contraddizione e soprattutto a chi tocca rimuoverla? La contraddizione si rimuove  con la proposta  cioè mediando con intelligenza con gli incompetenti, con gli interessi e con gli invarianti e con i pregiudizi  (questa è una delle ragioni principali perché è fondamentale conoscere bene da dentro il sistema sanitario).
 
A chi tocca? Senz’altro alla politica o comunque a qualche istituzione pubblica che si occupa di sanità, perché la riforma è questione di interesse generale.
 
La strada più semplice  è che la politica nelle sue diverse forme, istituisca  un commissione di scopo a tempo, come tante volte hanno fatto gli inglesi (black report, rapporto Griffith, rapporto Komer,  ecc.), con delle competenze e delle sensibilità  riformatrici certe (quelle scientifiche  tecniche amministrative non bastano meno che mai gli amici degli amici, o le logiche di spartizione dei ruoli, o peggio quelle di apparato).
 
Ma un progetto di riforma può essere proposto anche  da tutti i sindacati, dalle Regioni, o dallo stesso  ministero della Salute. Committente a parte ciò che conta è definire l’idea politica di riforma e affidarla  ad un gruppo di pensatori obbligati a redigere un rapporto finale  a partire dal quale promuovere una vasta discussione nel paese.
 
Intendo dimostrare la necessità  non rinviabile di una riforma della sanità. Ormai da troppo tempo:
· sento circolare la teoria del bivio, m(universalismo o privatizzazione) come se non vi potesse essere una terza strada (vi assicuro che c’è);
· sento girare la storiella “non si può dare tutto a tutti”, come se non fosse possibile riformare l’idea di tutela per riallocare le sue utilità, (vi assicuro che è possibile).
 
Ormai vedo che il sistema senza uno sbocco riformatore sta davvero compromettendo le proprie  basi portanti, vedo le professioni soffrire, i malati nei servizi pubblici  trattati sempre peggio, vedo un sistema stanco e frustrato...che non ne può più di tribolare per sopravvivere  e che ormai è arrivato alla frutta.
 
Ancora due ultime cose: perché proprio io, cioè uno come me,  propone l’idea di una riforma? Perché non altri? E perché proprio oggi? Questa domanda equivale a chiedersi perché l’idea di riforma  non viene in mente ai grandi funzionari della sanità? O agli assessori alla sanità? Cioè  perché  essa  è fuori dalla loro portata cognitiva ?
 
La risposte più semplice è che nessuno può  credere di poter cercare qualcosa senza sapere :
· che questo qualcosa esiste;
· dove cercare.
 
Per chi è convinto che tutto è stato già fatto, che più di quello che è stato fatto non si può, e soprattutto che nessun altro può essere meglio di lui, nessuna riforma può essere possibile. Cioè chi, pur avendo fatto molto, sta sotto il plafond cognitivo del senso comune  non può  vedere  quello che sta sopra.
 
Ma c’è di più: se non si conosce  bene  la storia dimenticata del riformismo sanitario è difficile che a qualcuno venga, per quanto bravo,  in mente di riformare la sanità. Si tratta di una storia fatta anche di omissioni, di errori commessi, di  scelte sbagliate, rispetto ai quali coloro che oggi comandano sulla sanità spesso hanno dirette responsabilità.
 
Non sono in tanti disponibili ad ammettere pubblicamente  i propri errori in sanità. Eppure se ripensiamo il titolo V, o riduciamo il numero delle aziende, o se contingentiamo il numero di ospedali, o se una intere serie di Patti per la Salute sono andati storti, o se la 229 è finita in soffitta, di qualcuno sarà la responsabilità, o no? Ma nessuno fa mai autocritica e la sanità sembra un mondo incausato e incausante. Eppure nulla è ex nihilo cioè nulla viene dal nulla.
 
La sanità ha avuto ottimi amministratori che credono di essere stati dei grandi riformatori solo perché hanno chiuso qualche ospedale, accorpato un po’ di Asl, risparmiato un po’ di sprechi. Tutte cose importanti  non c’è alcun dubbio  ma questo nulla ha che fare con il concetto di riforma. Riformare un sistema e amministrare un sistema sono cose completamente diverse.
 
Quindi a domanda “perché uno come me propone una riforma?” rispondo: perché uno come me è un riformatore, lo è sempre stato e lo ha sempre fatto. Punto.
 
E infine perché proprio oggi? La risposta è brutale: non perché oggi l’idea di riforma è più giusta di ieri ma solo perché oggi la sanità sta drammaticamente peggio di ieri. Cioè oggi abbiamo bisogno di cambiare veramente se no va tutto in malora. Oggi è tempo di riformare proprio perché le speranze legate alla buona amministrazione ormai si sono infrante contro nuove e vecchie complessità.
 
Le idee restano in panchina anche per decenni, come nel mio caso personale,  non  perché sono sbagliate (anche se ovviamente  potrebbero esserlo) ma perché sono ignorate da chi  non vede e non pensa come un riformatore. In genere per accorgersi delle idee degli altri bisogna avere  l’acqua alla gola, cioè ha bisogno di essere costretti dalla necessità a pensare a quello a cui  non si è mai pensato.
 
Ivan Cavicchi
 
(Leggi la prima parte)

04 dicembre 2015
© Riproduzione riservata


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