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Dal secondo pilastro integrativo all’intramoenia. Per la sanità (e i medici) è tempo di cambiare

di Alberto Oliveti (Presidente Fondazione Enpam)

Oggi si sostiene, a buona ragione, che il nostro Ssn abbia dei numeri di tutto rilievo internazionale, che la “white economy” possa creare opportunità di crescita e di occupazione, che i nostri medici siano ben apprezzati oltre confine. Ma alcune criticità sono purtroppo ben evidenti: grandi differenze tra regione e regione e tra azienda ed azienda in termini di qualità, di accesso e di fruibilità dei servizi, con sprechi, vuoti assistenziali e malaffare ancora incidenti sulla spesa sanitaria. Ecco alcune idee per rilanciare la nostra sanità

20 DIC - Per tutelare il futuro di chi ci lavora come medico o dentista, la Fondazione Enpam ha un preciso interesse nel salvaguardare il Servizio Sanitario Nazionale, suo principale fornitore di contributi previdenziali. Inoltre, essendo l’Ente percettore in prevalenza di contribuzione obbligatoria derivante dal reddito da lavoro autonomo, è estremamente sensibile all’esercizio della libera professione. D’altro canto avere iscritti tutti i medici e dentisti italiani cui fornisce previdenza ed assistenza anche strategica, la impegna a seguire con attenzione il divenire della professione medica alle prese con il cambiamento, nell’auspicio, un domani, di essere la casa comune di tutti.
 
Un Ssn universalistico ed essenziale
Oggi si sostiene, a buona ragione, che il nostro Ssn abbia dei numeri di tutto rilievo internazionale, che la “white economy” possa creare opportunità di crescita e di occupazione, che i nostri medici siano ben apprezzati oltre confine. Ma alcune criticità sono purtroppo ben evidenti: grandi differenze tra regione e regione e tra azienda ed azienda in termini di qualità, di accesso e di fruibilità dei servizi, con sprechi, vuoti assistenziali e malaffare ancora incidenti sulla spesa sanitaria.
 
La sfida stimolante è come rendere il nostro Ssn rispondente ai tempi accelerati del cambiamento, considerate le proiezioni economico finanziarie collegate agli andamenti demografici di denatalità/ invecchiamento ed alla potenzialità, anche distruttiva, dell’evoluzione tecnologica. Dato il grave problema di debito pubblico e l’evidenza che la sanità già assorbe più del 70% delle risorse dei bilancidelle Regioni , per garantire la tenuta del SSN pubblico appare necessario rifarci alconcetto essenziale di “possibile”, che ci possiamo cioè permettere.
 
L’idea è che si possa rispondere alla crisi selezionando i livelli essenziali di assistenza (Lea) possibili da garantire con finanziamento pubblico comunque a tutti su tutto il territorio nazionale mentre alla sanità integrativa vada il compito di intervenire nel perimetro “extra Lea”. Continuando ad agire prioritariamente sulle asimmetrie assistenziali regionali e locali, sugli sprechi e sulla corruzione, va salvato sia il concetto universalistico fondante del “tutti uguali di fronte alla malattia” che l’attuale sistema di finanziamento pubblico centrato sulla fiscalità generaleper cui “ognuno contribuisce in proporzione al proprio reddito”.
 
Questo primo livello può coordinarsi con la sanità integrativa assicurativa centrata su un secondo livello di prestazioni non essenziali o che non siamo in grado di finanziare in maniera uniforme su tutto il territorio. Non appare praticabile l’opting out di alcuni cittadini più abbienti verso una sanità privata, pagata con i propri soldi, mantenendo l’impegno con le proprie imposte a coprire quella pubblica. Nessuno pagherà a lungo due volte la stessa prestazione. E un prevedibile, seppur posticipato, sgravio di imposizione, ridurrebbe le risorse destinate alla sanità pubblica. Appare evidente quindi che l’opting out è incompatibile a tendere con la sopravvivenza di un sistema universalistico, innescando un doppio binario di assistenza sanitaria: chi può e chi non può.
 
Costo del lavoro
Il tema della sanità si collega anche al dibattito sulla ripresa economica del Paese. Un fattore negativo che si reputa condizioni gli investimenti, con il rischio di frenare una ripresa nazionale autonoma, è il costo del lavoro. Nei contratti aziendali si stanno dunque introducendo piani di sanità integrativa, che danno un beneficio ai lavoratori senza aumentare il costo fiscale e contributivo. Ciò mette in pericolo l’universalismo del Servizio Sanitario Nazionale, poiché qualunque defiscalizzazione che lo Stato conceda rischia di diminuire il monte delle risorse al Fondo sanitario nazionale.
 
Si favorisce lavoro a scapito della tutela della salute, con il ricorso allo strumento “assicurazione” che, come è noto, deve perseguire l’utile, anche se declinato in logica collettiva. In questo sistema la solidarietà sociale è un costo d’impresa e non l’obiettivo del progetto assistenziale.
 
La proletarizzazione della professione e la competizione anomala del privato
Liste d’attesa insostenibili e ticket eccessivi – nati come moderatori della spesa e ora finanziatori – sono la risultante di problemi legati al sottofinanziamento del sistema, alla corruzione in tutte le sue forme e al divario retributivo con gli analoghi professionisti europei. Un privato che utilizza spesso professionisti formati nel pubblico e da esso contrattualizzati con un meccanismo anomalo di part time, innesca un evidente conflitto d’interessi: fra quello del datore di lavoro pubblico a dare il miglior servizio possibile e quello del privato che ha un ritorno maggiore se il sistema pubblico è carente.

Un punto di caduta inevitabile è poi l’intramoenia, che permette al pubblico di ricevere una percentuale sulle prestazioni professionali private rese dai propri dipendenti. È evidente che più lunghe sono le liste d’attesa, maggiore è il ricorso all’intramoenia. E’ altrettanto evidente che se il ticket è super, favorisce lo “switch” verso il privato.

Del resto, questo sistema è stato introdotto proprio perché il pubblico non aveva le risorse per garantire ai medici compensi in linea con i livelli europei. Invece di adeguare gli stipendi, è stata data la possibilità ai singoli di integrare il reddito con l’attività libero professionale intramoenia. In questo contesto i costi fissi, compresa la tecnologia, sono tutti a carico del Ssn, le evidenze scientifiche – con il rispetto del mansionario e dei tempi minimi previsti – di fatto deviano le prestazioni sul privato.

Il nodo formazione
Un altro nodo importante strettamente correlato ai problemi fin qui esposti riguarda l’opportunità di continuare una programmazione dell’accesso alla formazione centrata solo sul fabbisogno del nostro Ssn. L’Italia è il principale “provider” in Europa di medici - il 52% del totale negli ultimi dieci anni! - la cui formazione ha un costo pubblico di quattrocentomila euro. Stiamo facendo con l’accesso programmato la fortuna di Università meno blasonate oggetto di scelta obbligata e costosa dei nostri giovani aspiranti medici esclusi, nella speranza di rientrare poi nel circuito formativo nazionale.
 
I dati internazionali sul nostro sistema universitario sono contraddittori, esistono problemi di finanziamento, di mezzi e di competenze necessarie per fare ricerca e didattica di qualità, pur avendo un numero decisamente alto di Facoltà. Se da una parte emerge la necessità che la formazione in Italia sia più orientata alla pratica e all’approccio clinico per problemi, i neodottori italiani sono pur tuttavia ben richiesti all’estero dove godono di una buona fama sul piano scientifico.
 
Crediamo che il tema del mercato professionale della “white economy” non debba prevedere un accesso rigidamente centrato sul fabbisogno nazionale pubblico, formiamo cioè la forza professionale necessaria per le esigenze del nostro SSN ma non limitiamoci solo a questo. Inseriamo la competizione ed il merito anche tra le nostre Facoltà ed apriamoci alla competizione europea per la formazione professionale degli operatori sanitari.
 
Qualità misurabile
Il concetto di total quality che Toyota ci ha insegnato (si perdoni l’affermazione apparentemente pagana rispetto alla sacralità del diritto alla salute) esprime la necessità imprescindibile del connubio tra competenza tecnica specifica, organizzazione del lavoro e soddisfazione dell’utente. Si definisce la qualità come la conformità a determinati requisiti, indicatori, criteri, standard. Qualcuno potrebbe lamentare l’aridità di questa definizione che non permetterebbe sviluppo di pensiero innovativo. Ma questi sono gli elementi che determinano la possibilità di misurare. Galileo ce lo ha insegnato: ciò che non si può misurare non esiste.

Credo sia tempo di fare un cosciente esame di qualità a tutto il sistema partendo dal lavoro medico. Chiunque infatti sia interessato alle sorti del nostro sistema sanitario deve mettere al centro dell’attenzione la qualità dell’esercizio professionale.

La centralità del medico
Un Servizio Sanitario Nazionale può funzionare bene se funzionano in maniera coordinata le sue tre aree fondanti: ospedale, medicina pubblica, territorio con tutti gli operatori medici e sanitari necessari. La programmazione formativa e professionale va centrata sulla loro concatenazione. In questo senso, potenziare l’assistenza primaria appare fondamentale per conciliare efficacia e costi.

Lo dimostrano le evidenze a livello mondiale: un Servizio Sanitario Nazionale fondato sull’equità dell’accesso e sull’universalismo delle prestazioni (tutti eguali di fronte alla malattia, ognuno contribuisce in relazione al reddito) regge se ha un buon sistema di cure primarie, che concili efficacia e costi e che agisca direttamente come primo approccio ai problemi di salute, contribuisca alla prevenzione, costituisca l’interfaccia delle prestazioni tecnicamente più complesse del livello ospedaliero e gestisca direttamente la cronicità.

Per la presa in carico del soggetto cronico affetto da pluripatologie, sarebbe auspicabile la nascita di unità di cure primarie affidate al medico di fiducia, con la collaborazione di altre professionalità sanitarie che possano portare assistenza di prossimità, domiciliare o residenziale sulla base di piani assistenziali individuali.

Infatti, per quanto la tecnologia e l’impatto di Internet possano cambiare le abitudini dei cittadini e il loro atteggiamento, la fiduciarietà del rapporto tra medico e paziente e l’autorevolezza del professionista fanno sì che a lui venga chiesto il giudizio finale indipendente. Fiducia, autorevolezza e giudizio: è da qui che occorre ripartire per un Servizio Sanitario Nazionale che funzioni.
 
Alberto Oliveti
Presidente Fondazione Enpam


20 dicembre 2017
© Riproduzione riservata


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