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I Forum di QS. La sinistra e la sanità. Asiquas: “La salute come precondizione per uno sviluppo sostenibile ed equo”

di C.Amoddeo, G.Banchieri, M.Dal Maso, A.G.De Belvis, F.Di Stanislao, L.Goldoni, S.Mariantoni, M.Ronchetti, S.Scelsi, A.Vannucci

La “salute” è un “bene comune” e un “bene individuale”. I comportamenti individuali impattano sulle collettività e viceversa. Lo abbiamo imparato con la pandemia e i nostri 100.000 morti sono stati il risultato anche di “pensieri brevi” della politica. Dobbiamo recuperare una concezione della “salute” come una “precondizione” fondamentale di capacitazione per uno sviluppo sostenibile ed equo
 

25 MAR - Con l’articolo di Ivan Cavicchi “La sinistra e la sanità: quali prospettive?”, Quotidiano Sanità ha avviato una riflessione aperta sui temi del ruolo e del significato di una sanità pubblica durante e dopo la pandemia.
 
La pandemia, che è diventata sindemia, creando enormi problemi di differenze sociali, diseguaglianze di reddito e crescita di povertà diffusa, ci sta ponendo di fronte a diversi “nodi”:
• Dare centralità alla sanità pubblica come “settore strategico” del sistema Paese inteso non solo nella prospettiva dell’economia e della produzione di ricchezza (PIL), ma anche come benessere e salute (BES);
 
• Integrare le competenze ambientali gestite dall’ARPA e le competenze sociali gestite dagli EELL. Questo consentirà di rilanciare i programmi di welfare locale e il coinvolgimento del Terzo settore.
 
• Ribadire e sviluppare l’autonomia gestionale dei Distretti (sociosanitari) e verosimilmente approdare ad un modello organizzativo delle Aziende Sanitarie che tenda a superare il modello pseudo-aziendalista delle AO e delle ASL.
 
• Sviluppare l’attività di ricerca in funzione della medicina sociale e delle patologie croniche dando pari dignità alla medicina di territorio e alla medicina ospedaliera.
 
• Perseguire l’obiettivo di una popolazione “sana” che è una popolazione “produttiva” e tendenzialmente socialmente più equilibrata. Il benessere è un diritto individuale ed un bene pubblico.
 
• Salute e ambiente hanno rilevato la loro intrinseca connessione. Gli “spillover” sono figli dell’urbanizzazione sfrenata e del saccheggio dell’ambiente.
 
• Una stagione di riforme non può essere senza il rinnovamento del sistema salute e la riforma del servizio sanitario.
 
• Ripensare, in particolare tutto il sistema di “cure” e di “care” della non autosufficienza che sappia distribuire funzioni, competenze, risorse tra i diversi livelli istituzionali perché i servizi centrali, regionali e locali sappiano dare le risposte adeguate. L’integrazione socio-sanitaria è una condivisione di obiettivi, percorsi e competenze non solo di pratiche e certificazioni.
 
• Adeguare, alla luce delle esperienze positive, i servizi, le strutture e le modalità di accesso.
 
La “centralità” della sanità pubblica risiede nel fatto che già oggi rappresenta, con i settori a monte e a valle, la filiera produttiva più importante in Italia. Conta oltre 1.000.000 di operatori tutti con formazione superiore che con l’indotto arrivano a circa 1.400.000.
 
E’ il settore a più alta concentrazione di professionalità e di competenze e impatta su tutto il resto del sistema Paese. Ha un’alta propensione al rinnovamento organizzativo e tecnologico e al trasferimento veloce dei risultati della ricerca clinica e dell’innovazione digitale.  
 
E’ un “driver” di sviluppo complessivo per il Paese e tale lo dovremmo considerare.
 
La “salute” è un “bene comune” e un “bene individuale”. I comportamenti individuali impattano sulle collettività e viceversa. Lo abbiamo imparato con la pandemia e i nostri 100.000 morti sono stati il risultato anche di “pensieri brevi” della politica.
Dobbiamo recuperare una concezione della “salute” come una “precondizione” fondamentale di capacitazione per uno sviluppo sostenibile ed equo.
 
Siamo “sapiens”, ma anche “in sapiens”, produciamo e distruggiamo: l’1% della popolazione (Osservatorio Oxfam) del mondo concentra il 99% della ricchezza e a tutti gli altri restano le briciole.  Il capitalismo non garantisce uno sviluppo sostenibile se non controllato e indirizzato.
 
In tempi di globalizzazione torna anche il tema dello Stato nazionale e delle Unioni interstatuali (per noi l’Unione Europea) e del suo ruolo.
 
Papa Francesco con la sua rivoluzionaria “visione” di un Dio unico per tutti i credenti e di un mondo condiviso da preservare e di lotta alle diseguaglianze sociali ed economiche esprime un idea olistica dell’uomo e delle comunità come loro inveramento nel “prossimo”, che in questo grande momento di crisi ci offre un forte ancoraggio, al di là se si è credenti o atei, verso un nuova concezione del futuro per la nostra specie.
 
La “Sanità pubblica” è un bene comune nel modello di welfare che vogliamo perseguire, un sistema integrato di diritti e tutela delle persone e non può essere privatizzato.
Va riqualificato e reso efficace e efficiente, nonché adeguato.
 
ASIQUAS, Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale, a cui aderiamo, ha preso posizione in modo netto con una Position Paper “Per una Sanità Pubblica in Italia… anche dopo il Covid 19”, pubblicata su Quotidiano Sanità n.   del …….
“La pandemia/sindemia Covid19 ha messo in evidenza i “nodi” strutturali e organizzativi dei Servizi Sanitari Regionali e del SSN nel suo insieme. Da qui occorre ripartire per dare una risposta di sistema che riveda il SSN profondamente rinnovato e sostenibile. Serve un coordinamento nazionale e UE delle Policy di contrasto alle pandemie.”
 
Nel documento si assume come “visione” un insieme di proposte di difesa e rilancio della sanità pubblica partendo da:
1. Adeguatezza delle risorse economiche per il Servizio Sanitario Nazionale anche in base ai bisogni reali di salute della popolazione e all'innovazione tecnologica e, quindi, accedere ai Fondi Comunitari come unica e irripetibile occasione di riportare il Sistema Sanitario Italiano agli standard dei principali sistemi sanitari europei.
 
2. Sviluppare e promuovere l’integrazione operativa tra i diversi LEA (ospedaliero, territoriale, prevenzione) e ridefinire i modelli regolativi degli ospedali e delle strutture intermedie e delle reti territoriali.
 
3. Sviluppare le strutture intermedie di assistenza sia “specialistiche” che “generaliste” in un'ottica di filiere assistenziali pubblico/privato con una modellizzazione uniforme tipo quella individuata con il Tavolo Re.Se.T. Ministero/AGENAS/Regioni.
 
4. Riorganizzare i servizi territoriali, le cure primarie, il loro potenziamento e la loro integrazione rafforzando i Distretti anche attraverso la connotazione come Agenzie di “continuità assistenziale”, e sciogliendo in assoluto il nodo “storico” di ruolo e di rapporto con i medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali, in una visione unitaria delle cure primarie (verso una medicina di comunità) e sviluppare la figura di infermiere di famiglia.
 
5. Sviluppare una normativa sull'integrazione sociosanitaria con basi strutturali comuni per tutte le Regioni al fine di superare le “bolle” di iniquità sanitarie e sociali esistenti.
 
6. Riorganizzazione dei Corsi di Laurea di Medicina e di specialità, di Scienze Infermieristiche e delle altre professioni sanitarie con migliori approfondimenti ed esperienze di sanità pubblica, degli aspetti relazionali con utenti/pazienti e di intervento sociosanitario.
 
7. Lavorare alla Convergenza di sistemi informativi adeguati e uniformi a livello nazionale con una cabina di regia unica Stato-Regioni per il coordinamento degli interventi.
 
8. Garantire l’acquisizione, la produzione e l’autosufficienza per farmaci e tamponi per DPI (dispositivi di protezione individuali) per operatori sanitari e sociali e per i target a rischio della popolazione per essere pronti per un’eventuale recrudescenza della pandemia.
 
9. La prolungata emergenza pandemica ha rivelato sia i punti di forza che le fragilità e le inefficienze dei sistemi sanitari dei paesi colpiti, non solo dei loro meccanismi operativi ma anche delle scelte strategiche e della visione politica che ne è il presupposto.
 
In Italia, a partire da una altra crisi globale, quella finanziaria del 2008, tutti gli osservatori concordano che la spesa pubblica per la sanità è stata lungamente contenuta entro limiti che avrebbero dovuto bilanciare la capacità di risposta ai bisogni di salute con le esigenze di riduzione del debito pubblico.
 
Partendo quindi dal presupposto che le risorse finanziarie del Fondo Sanitario Nazionale erano state limitate con il principale obiettivo di rientrare dal disavanzo storico del sistema e di alcune regioni in particolare, riflettiamo proprio sul ruolo politico amministrativo di quest’ultime e su quello più prettamente gestionale delle aziende e sull’operato dei manager sanitari.
 
È noto come quest’ultimi hanno dovuto barcamenarsi tra le ristrettezze dei bilanci e le richieste delle comunità residenti nel contesto geografico delle loro aziende così come, ad un altro livello, i responsabili regionali hanno dovuto sottomettersi ai periodici riesami presso il Ministero di Economia e Finanza.
 
Ben pochi nel mondo della sanità conoscendo le dinamiche organizzative e la qualità del flusso dei dati considererebbero l’uso dei LEA e relativi indicatori, pur migliorati negli ultimi anni, una garanzia di conoscenza adeguata e realistica della qualità ed equità delle cure erogate in Italia nelle varie Regioni. 
 
È interessante adesso, con un piano di riforma del SSN proposto, formulato dal Ministero della Salute con la finalità di irrobustire il sistema e renderlo resiliente, e che, a detta del Ministro, richiederebbe oltre 60 mld di euro d’investimenti poliennali, chiedersi a chi lo affidiamo e che caratteristiche devono avere le persone da scegliere per questo compito.
 
Sappiamo già che le prime risposte che ci arriverebbero riguarderebbero i meccanismi di “governance” e che ci sono sostanzialmente due linee di pensiero: coloro che avversano la regionalizzazione della sanità e coloro che la difendono.
 
Da più parti si chiede un nuovo centralismo per la sanità italiana.
È l’idea giusta? Perché perdere alcune delle caratteristiche del decentramento che sembrano le armi giuste proprio ora che tutti affermano che ci muoviamo in sistemi complessi che richiedono strumenti adeguati tra cui la coesistenza e lo sviluppo integrato di reti locali e reti globali?
 
Uno dei vantaggi del decentramento è la differenziazione, la possibilità di dare risposte diverse a problemi simili tenendo conto delle caratteristiche e delle preferenze differenziate dei territori.
 
Un altro è la sperimentazione, cioè il fatto che nei diversi territori si scelgano soluzioni diverse e che alcune di queste, rivelatesi le migliori, siano poi adottate a livello nazionale. Perché perdere queste opportunità proprio adesso che ne è stata dimostrata tutta la loro utilità?
 
E quindi torniamo al punto, oltre ad avere abbastanza soldi e meccanismi di “governance” efficaci, abbiamo bisogno di persone competenti, intraprendenti e responsabili. Se ci sono, troviamole. Se non ci sono creiamole. Oppure, più saggiamente, facciamo entrambe le cose.
 
Ora, la maggioranza del management sanitario è rappresentato da persone di buone competenze ma con esperienze quasi esclusivamente maturate nella dimensione della riduzione dei costi e dell’efficienza, reale o supposta tale.
Cosa c’è da imparare?  A saper discernere la spesa “buona” da quella “futile”, prima di tutto. A saper vedere ed operare anche nel medio e nel lungo periodo, promuovendo e praticando la valutazione del valore dei cambiamenti e la misurazione dei risultati.
 
Un approccio che per funzionare deve diventare prassi anche dei rappresentati della “polis”, gli eletti e gli elettori. Che cos’è la “spesa buona” in campo sanitario?
 
Sostanzialmente investire risorse nella formazione continua per avere le competenze adeguate ai mutamenti che non solo sono profondi, ma anche rapidi e per comprendere e intraprendere l’innovazione tecnologica necessaria e disponibile. Avere le dotazioni adeguate di personale sanitario, di posti letto negli ospedali e nelle strutture intermedie, di case della salute e reti di assistenza domiciliari sono aspetti importanti per la “manutenzione” di un sistema.
 
Aspetti spesso trascurati per i motivi che ormai sappiamo, e anche per conformismo o ignavia, ma non bastano per la vera sfida, che è quella di rinnovare e di crescere.
Abbiamo detto dei manager, e dal mondo clinico cosa ci dobbiamo aspettare? In sostanza le stesse caratteristiche e sensibilità che non siano focalizzate solo sull’immediata sorte dei singoli pazienti.
 
Un innegabile ed auspicabile patrimonio che non è mutualmente esclusivo con una visione d’insieme e un approccio scientifico, come da loro esigibile, ai cambiamenti da mettere in atto, alle direzioni da scegliere per andare laddove ci sono più opportunità, maggiori occasioni di sviluppo, migliori probabilità di successo.
 
Tutti siamo convinti che la buona salute di una popolazione è un importante patrimonio per un paese; è garanzia non solo di benessere fisico e psichico ma anche economico ed è un determinante di coesione sociale e consolidamento dei valori di una società democratica.
 
Il susseguirsi di infezioni virali legate all’insorgere di “spillover” ha una progressione allarmante, per non parlare del rischio di infezioni di batteri antibioticoresistenti … E’ altamente probabile che altre sfide ci aspettano e non è detto che saranno meno gravi di Covid19.
 
Crediamo che tutte queste considerazioni si impongano in una discussione come quella aperta da Ivan Cavicchi. Dobbiamo ripensare i nostri fondamentali”, dobbiamo aprirci a contaminazioni culturali nuove, dobbiamo avere una “visione” di ampio respiro che mobiliti le coscienze, dia identità nuove ai molti …. Crei speranza in un mondo diverso … Qui e ora.
 
La “sanità” non solo è centrale per una idea di stato e di welfare del XXI secolo, ma è anche elemento costitutivo di una visone del mondo, delle collettività, dell’uomo …
Siamo esseri sociali e la pandemia ci ha fatto toccare con mano la nostra fragilità e le nostre insicurezze e le nostre debolezze “proxy” di implosione di patologie psicologiche e fisiche.
 
Crediamo che ora dobbiamo metterci la testa e dobbiamo partire da noi stessi, rimetterci in discussione, fare rete, incontraci, riflettere, proporre …
Si può anche ripartire dal basso. Se siamo in grado di fare proposte credibili.
 
Andiamo avanti nel confronto e nella elaborazione e poi misuriamoci con la politica e le istituzioni. Ci sono grandi temi su cui confrontarci e aree di consenso da esplorare.
Sta a tutti noi reagire al presente e provare a cambiarlo.
 
Caterina Amoddeo, Giorgio Banchieri, Maurizio Dal Maso, Antonio Giulio De Belvis, Francesco Di Stanislao, Lidia Goldoni, Stefania Mariantoni, Mario Ronchetti, Silvia Scelsi, Andrea Vannucci
Associazione Italiana per la Qualità della Assistenza Sanitaria e Sociale
 
Vedi gli altri interventi relativi a questo Forum: CavicchiBonacciniMaffeiRossiTestuzzaSpadaAgnolettoZuccatelli, Mancin, Pepe.

25 marzo 2021
© Riproduzione riservata


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