Nel cuore del Servizio Sanitario Nazionale, gli infermieri rappresentano il 40% della forza lavoro, ma sono ancora trattati come un anello debole. A confermarlo, numeri alla mano, è il primo “Rapporto sulle professioni infermieristiche” curato da FNOPI e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, un’indagine dettagliata presentata a Palazzo Rospigliosi, a Roma, con la partecipazione del ministro della Salute, Orazio Schillaci. In questa prima edizione, il Rapporto ambisce a raccogliere e a certificare le principali evidenze disponibili sugli infermieri in Italia, confrontandole con il quadro europeo e analizzando la situazione delle singole Regioni che restituisce l’immagine di una categoria centrale per la sanità pubblica ma penalizzata da stipendi bassi, scarse prospettive di carriera e crescente insoddisfazione. E se in Europa la professione infermieristica viene valorizzata anche economicamente, in Italia si continua a tirare la cinghia, con stipendi che segnano un distacco di oltre 7.000 euro rispetto alla media OCSE.
Stipendi: fanalino di coda in Europa
Il dato è impietoso: 32.400 euro lordi l’anno è lo stipendio medio di un infermiere italiano, a fronte di una media europea che supera i 39.800 euro. L’Italia si colloca così tra i paesi con la remunerazione più bassa, malgrado l’elevato carico di lavoro e le responsabilità crescenti. In vetta alla classifica retributiva spiccano paesi come il Lussemburgo, la Germania e i Paesi Bassi, dove non solo si guadagna di più, ma si registra anche un numero più elevato di infermieri ogni 1.000 abitanti, a testimonianza del fatto che un miglior trattamento economico aiuta a trattenere il personale e a garantire qualità assistenziale.
Italia divisa: divari regionali profondi
Carenza cronica e rischio abbandoni
Alla sottovalutazione economica si somma il problema della carenza di personale. In Italia ci sono 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro gli 8,4 della media europea. Ma se si guarda solo al personale pubblico (escludendo quindi i privati), il dato crolla a 4,79 per 1.000. E le differenze regionali sono drammatiche: in Lombardia appena 3,53, contro i 6,3 della Liguria.
Un contesto che genera insoddisfazione crescente: secondo il rapporto, quasi il 30% degli infermieri italiani pensa di cambiare lavoro, e nelle aree ospedaliere fino al 45% valuta di lasciare la professione entro un anno. Tra le principali motivazioni: stipendi inadeguati, mancanza di personale e scarse opportunità di crescita.
Serve un cambio di rotta
Il documento, frutto di un anno di lavoro tra ricerca empirica e analisi qualitativa, non propone soluzioni preconfezionate, ma evidenzia chiaramente l’urgenza di un intervento strutturale sulla valorizzazione della professione infermieristica. Una questione che non riguarda solo il benessere degli operatori sanitari, ma la tenuta dell’intero sistema sanitario pubblico. La FNOPI chiede che il rapporto diventi la base per una revisione delle politiche professionali e salariali, in linea con gli standard europei.
Perché in un paese dove il personale sanitario è sempre più anziano e meno motivato, ignorare le voci di chi garantisce ogni giorno assistenza e cure significa mettere a rischio la salute di tutti.
“Per la Federazione questo documento rappresenta il primo, importante, passo per presentare le evidenze ufficiali su cui le politiche che riguardano gli infermieri devono affondare le radici – dichiara la presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli – Vogliamo fare in modo che il nostro Rapporto di anno in anno sia presente sulle scrivanie dei decisori, a disposizione per acquisire dati certi sulla nostra Professione. L’obiettivo è trasformare i dati in informazioni, perché le informazioni servono ad assumere le decisioni che, nel nostro caso, – aggiunge Mangiacavalli – non possono essere esclusiva di un unico ministero. La complessità della questione infermieristica richiede l’istituzione di una cabina di regia con poteri straordinari in grado di coinvolgere più strutture di vertice e toccare diversi ambiti di intervento per prendere definitivamente un problema che non appartiene a una categoria professionale, ma all’Italia intera”.