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Medici in teatri di guerra, tra paura e coraggio

30 LUG - Gentile Direttore,
la recente lettera che il presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli, ha scritto al presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte, per sollecitare “un’azione di tutela di questi nostri professionisti medici che, per puro spirito di servizio e di sacrificio, mettono le rispettive competenze e la loro stessa vita a disposizione dei più deboli, dei più fragili, dei soggetti più esposti” è importante e tempestiva: molti operatori sanitari italiani lavorano in situazioni di grave pericolo sia sanitario, sia militare.

Da poche settimane l’Organizzazione mondiale della sanità ha richiamato l’attenzione internazionale sull’emergenza per Ebola nella Repubblica democratica del Congo. "”È ora che il mondo prenda atto e raddoppi l’impegno. Dobbiamo lavorare insieme in solidarietà con la Repubblica democratica del Congo per porre fine a questo focolaio e costruire un sistema sanitario migliore", ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS.
 
I ritardi dei finanziamenti hanno limitato l’azione dei professionisti sanitari impegnati nel far fronte all’emergenza, ha sottolineato la commissione dell’OMS, sollecitando anche un supporto speciale alle popolazioni più colpite dall'epidemia, mantenendo aperte le rotte di trasporto e le frontiere. È essenziale che al dramma della malattia non si aggiunga quello delle restrizioni di viaggio e di commercio sulle comunità colpite: "Avrebbero un impatto negativo sulla risposta sanitaria, sulle condizioni di vita e sul sostentamento delle persone nella regione”, ha affermato Robert Steffen, epidemiologo dell’università di Zurigo che presiede il comitato di emergenza.

“Un lavoro straordinario è stato fatto per quasi un anno nelle circostanze più difficili. Siamo tutti in debito con questi soccorritori, non solo operatori dell'OMS ma anche di governi e di altre organizzazioni, per essersi fatti carico della maggior parte dello sforzo”. Un lavoro straordinario di cui sono protagonisti anche numerosi operatori italiani presenti in diversi fronti nel continente africano e in Asia. L’epidemia attuale di Ebola, ha precisato il medico Francesco Vairo in un meeting del progetto Forward, non è dovuta a questioni inerenti un particolare stato immunologico della popolazione o a particolari caratteristiche del virus, ma è sostanzialmente un problema sociale e civile.

Il problema maggiore, quasi sempre, è nel contesto: “Quello che fa la differenza nell’attuale epidemia - ha spiegato Chiara Montaldo, altro medico dell’INMI Spallanzani IRCCS di Roma – è che avvenga in un contesto sociale di guerra”, che complica notevolmente le cose anche perché induce nella popolazione un sentimento di sfiducia nei confronti degli operatori che cercando di intervenire. “Da operatore presente sul campo, sul momento la paura neanche la senti perché sei preso dalle cose da fare, ma fa riflettere l’evidenza di come la stessa malattia possa essere completamente diversa in due contesti diversi. E da lì deriva anche la paura di aver sbagliato qualcosa come componente del mondo scientifico perché fronteggiando questa epidemia paradossalmente avremmo più armi, vaccini e farmaci, ma in realtà siamo meno attrezzati. La gestione dei pazienti è migliorata enormemente ma a questo non corrisponde una migliore gestione dell’epidemia”.

Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’INMI Spallanzani IRCCS, sostiene che “il meccanismo della paura in parte è reale e in parte è indotto” e “una parte di responsabilità è della cattiva informazione”.

Anche per questo – e per cercare di controbilanciare il mantra che nei momenti più drammatici viene rilanciato (“Aiutiamoli a casa loro”) – è essenziale che i cittadini italiani siano correttamente informati dell’impegno profuso dagli operatori sanitari del nostro paese nei contesti emergenziali, di guerra e di sanità pubblica, professionisti esemplari per coraggio e competenza.

Luca De Fiore
Progetto Forward del Dipartimento di epidemiologia del SSR del Lazio


30 luglio 2019
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