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Dai medici la solita battaglia lobbystica

di Walter De caro

19 OTT -

Gentile Direttore,
mi riferisco alla nota  pubblicata su QS con cui Anaao e Cimo Fesmed comunicano di aver chiesto chiarimenti ad Aran e Corte dei conti - timorosi - che “le responsabilità affidate nel nuovo contratto del personale del comparto, in particolare,  per gli incarichi di funzione organizzativa e professionale potrebbero dar vita a contenziosi” per invasione delle attività di gestione dei processi clinico-assistenziali e diagnostici – a loro parere – delle competenze riservate ai medici”.

Siamo alle solite. Ritenendosi sempre e comunque professione dominante sulle altre, quella medica, è sempre pronta ad indicare il “perimetro” che altri professionisti non debbono superare.

Quindi per l’ennesima volta, l’azione è solo quella di continuare una battaglia lobbystica ed anacronistica, a tutela conservativa, che al di là dei proclami, non attiene per niente con la salute dei cittadini.

Non è una novità e non è una prerogativa solo italiana. Naturalmente si pone  in linea con quanto già delineato nel manifesto pubblicato su QS la scorsa primavera e firmato dalla FNOMCEO e dai Sindacati e nella stessa logica arcaica continuata in formulazioni diverse nei manifesti e nelle seguenti iniziative ordinistiche, associative e sindacali mediche.

La verità è che continuando di questo passo, con arroccamenti a diverso livello e a geometria crescente,  la sicurezza sanitaria nazionale e lo stesso universalismo delle cure in cui l’Italia è stato riferimento, sarà veramente a rischio.

Le barricate e la dominanza medica sono con-causa della drammatica carenza di professionisti infermieri e della carenza di attrattività professionale, dovuta anche a retribuzioni decisamente basse rispetto alla media e all’impossibilità di esercitare la professione al pieno loro potenziale per garantire la salute ai cittadini.

Come ben noto, l’ambito di esercizio professionale è molto spesso, come in questo caso, influenzato dalla difesa corporativa di alcuni gruppi, in particolare i medici, di mantenere le loro rendite di posizione.

Si evincono, e non è una novità, come in questo caso, le errate percezioni relative, ad esempio, all’estensione e all’espansione delle competenze infermieristiche.

L’introduzione di questo tipo di innovazione non è, infatti, un gioco a somma zero in cui i medici perdono quando guadagnano gli infermieri. In tutti i Paesi in cui, ad esempio, è presente la pratica infermieristica avanzata, è evidente, per converso, quanto la capacità e l’offerta del sistema sanitario possa espandersi con maggiore soddisfazione dei bisogni di salute, con beneficio per tutte le parti interessate: dei cittadini, ma anche dei professionisti che sono posti in migliori condizioni di operatività.

Una seconda errata percezione è che le restrizioni all’ambito di esercizio professionale sono necessarie per tutelare la salute pubblica e la sicurezza delle cure. Anche qui le ricerche e gli studi accademici, ampiamente disponibili e facilmente consultabili, a partire da revisioni Cochrane, oltre che documenti delle maggiori organizzazioni internazionali (i.e. OECD, WHO, ICN) dimostrano in forma cristallina che non esistono differenze nei risultati di salute: gli infermieri con competenze di assistenza infermieristica avanzata offrono assistenza sicura e competente, con grande soddisfazione dei cittadini, al pari dei medici.

La terza erronea percezione è relativa ai dati. I dati ci dicono che i medici italiani in termini numerici sono in cima alle graduatorie europee e mondiali (e ci dicono che anche in virtù di quanto contrattualmente si è stabilito per la loro categoria in questi anni, è cresciuta la quota privatista, il versamento out-of-pocket dei cittadini).

Se poi questi medici, mancassero in alcune specifiche specializzazioni, o in ambito territoriale, la soluzione attuata in tanti Paesi con successo, da chiedere anche da parte loro, sarebbe quella di condividere più ampiamente ed in forma coordinata la responsabilità con gli infermieri, con l’espansione e l’estensione delle specifiche competenze, a vantaggio dei cittadini.

Non invece arroccarsi a tutela del fortino, per far aumentare le liste di attesa e le cure mancate ai cittadini.

La tendenza generale globale, infatti, è di ridurre le barriere per l’esercizio della pratica: oltre 70 nazioni al mondo hanno stabilizzato la pratica avanzata, con particolare riferimento all’area dell’assistenza primaria. Recentemente è stata introdotta in forma progressiva anche nei paesi più vicini al nostro confine come Germania, Svizzera, Francia. In  Francia,  sono anche presenti infermieri “anestesisti” che assicurano i servizi di anestesia e rianimazione negli interventi chirurgici al pari del medici, come riportato nei Report ICN tradotti in Italiano da CNAI. Per non citare i Paesi di lingua anglofona.

in Italia invece, mancano oltre 100.000 infermieri e gli infermieri sono limitati nell’esercizio professionale. Ed è sempre più evidente il disagio e la demotivazione della professione.

In alcune regioni poi, si vogliono sostituire, attribuendo specifiche funzioni infermieristiche, ad operatori - davvero non qualificati e non appartenenti alle professioni sanitarie, per l’assistenza per le cronicità o nelle residenze per anziani, in una ottica protesa esclusivamente alla contrazione delle spese e senza nessuna visione programmatica.

In questo caso però nemmeno un guaito delle organizzazioni mediche e non solo, a difesa della salute dei cittadini.

Appare il caso, che il prossimo Governo avvii interlocuzioni serie in ambito associativo e sindacale, per cambiare davvero l’architettura del Servizio Sanitario. E’ necessario e prioritario  avviare un piano straordinario di valorizzazione delle professione infermieristica, sia in termini di nuovi ingressi nella professione, con incentivazioni per la frequenza di corsi, sia con la possibilità di esercitare le competenze infermieristiche avanzate, con prescrizione, attraverso specificazioni normative e innovazioni curricolari già delineate.  Non bisogna inventare la ruota, esiste già.

Bisogna davvero costruire un “nuovo” sistema di relazioni tra le professioni e rendere il servizio sanitario coerente per davvero alle esigenze di salute dei cittadini.

Non farlo significherebbe solo aumentare le disuguaglianze e diminuire l’accesso alle cure.  Significherebbe non garantire il diritto costituzionale alla salute.

Walter De Caro

Presidente Nazionale CNAI
Executive Board EFNNMA



19 ottobre 2022
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