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Le classifiche in sanità. Uno strumento tecnico di miglioramento o propaganda?

di Francesco Carbone

10 LUG -

Gentile direttore,
le graduatorie in ambito sanitario sono da tempo l’espressione di valutazioni tecniche basate su obiettivi stabiliti a priori. I risultati sono certo di un qualche peso e sono manna per le amministrazioni regionali che, cadendo nella parte alta del tabellone, possono sostenere la tesi che tutto va bene. Tuttavia la dieresi tra le percentuali esorbitanti di “bersagli” colpiti e la percezione sia di professionisti che di cittadini di un sistema affondato produce uno straniamento.

A tale stato d’animo pone una spiegazione sostenibile il CREA Sanità nel suo rapporto annuale sulle Performance Regionali pubblicato lo scorso 21 Giugno. Frutto dell’apporto strutturato di tutte le componenti attive (o stakeholder) in un sistema complesso come quello sanitario (istituzioni, management aziendale, professioni sanitarie, utenti e industria) ed elaborato con una metodologia basata sul panel in consensus, tale report individua aree qualificanti dei servizi socio-sanitari, ne esplicita dimensioni di performance e corrispondenti indicatori e costruisce mediante elicitazione i “pesi” da attribuire a ciascun indicatore.

I risultati restituiscono il solito schema di un Paese diviso in due, con un punteggio che, fatto 100% il massimo, oscilla tra il 59%% del Veneto e di 30% della Calabria. La Toscana, con il suo 49%, si colloca al quarto posto nel ranking generale, in un gruppo abbastanza omogeneo di Regioni composto da Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia e Marche. Tuttavia, allo scorporo dei punteggi per stakeholder, il ranking della nostra Regione cala al 40% (settimo posto) per gli utenti, 46% per le istituzioni (sesto posto), 48% (quinto posto) per i professionisti, circa 57% (quarto posto) per il management, 55% (quinto posto) per l’industria. Dal che si evince che per quanto sempre nella parte alta del tabellone i numeri ci dicono che ancora tanto c’è da fare e che quanto “percepito” dai cittadini e dai professionisti del sistema sanitario non è il frutto di uno stato d’animo che la pandemia ha esacerbato ma di un reale disagio che, certe fanfare non aiutano ad analizzare.

Meglio un bagno di verità che stimoli la riflessione e suggerisca soluzioni. In questa ottica accogliamo con interesse ed un pizzico di sorpresa la proposta presentata in consiglio Regionale sulla richiesta di una norma nazionale che imponga allo Stato di impiegare il 7.5% del PIL nel fondo sanitario nazionale dal 2025. Interesse, perché il definanziamento del SSN è un elemento su cui c’è una convergenza di opinione da parte di tutti, ma a giudicare dai fatti solo millantata da parte delle maggioranze che si sono via via alternate in questi anni. Per quanto riguarda il solo ambito del personale, mantenendo le retribuzioni attuali (sic!) bisognerebbe incrementare la spesa corrente di circa 30.5 miliardi di euro per affrontare la carenza di organici tra medici e infermieri (dati 18° Rapporto Sanità 2022, CREA).

Sorpresa, perché tale iniziativa nasce su numeri noti da tempo non solo agli addetti ai lavori. Evidentemente la politica ha fatto suo il motto scolpito su un architrave del castello Malaspina, a Massa, e seguita el tempo, aspeta el tempo, va col tempo… e poi finalmente si sveglia.


L’auspicabile incremento del FSN tuttavia dovrà essere corroborato da un contemporaneo cambio di paradigma organizzativo, per evitare che finisca preda del solito modello demagogico-elettorale in cui versa tanta sanità pubblica, anche in Toscana. Certe deroghe alla appropriatezza clinico-organizzativa in nome di risibili esigenze di campanile dovrebbero essere messe non solo politicamente ma anche amministrativamente in conto a chi le decide cosicché si cominci col tagliare le scelte sbagliate non le risorse per il SSN.

Francesco Carbone
Segretario amministrativo Anaao Toscana



10 luglio 2023
© Riproduzione riservata

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