Gentile direttore,
tra i tanti appelli collettivi in difesa del Ssn si segnala, per la rilevanza del contenuto e le dimensioni del sostegno ricevuto, quello riportato e commentato qui su Qs alcuni giorni fa dal titolo “Non possiamo restare in silenzio. La società civile in difesa della sanità pubblica”. L’elenco delle oltre 130 Associazioni che l’hanno sottoscritto e quello dei promotori della iniziativa si trovano riportati qui. Il documento in cui trova espressione l’appello nasce per scelta incompleto, come si dice nella parte introduttiva che precede le dieci questioni corrispondenti ai “temi che più minacciano i diritti e il benessere delle persone”. Il documento, si dice, “intende individuare cosa non si deve fare (né oggi, né domani) e cosa si può fare (a partire da oggi) per avviare una decisa inversione di tendenza.”
Le indicazioni del documento delle Associazioni sono in buona misura sovrapponibili a quelli di altri documenti collettivi di rilancio/difesa del Ssn come quello degli scienziati (14 firmatari) di un anno fa e quelli più recenti di un gruppo di studiosi ed esperti (inizialmente firmato da 40 persone) e della Accademia Nazionale dei Lincei. E’ giunto forse il momento di fare sintesi su questi documenti che definiscono un quadro di valori, principi e possibili opzioni da far confluire in scelte da fare subito, come raccomanda il Documento delle Associazioni. Sottolineata l’importanza e la validità di questo Documento come degli altri documenti citati, voglio commentare quello che è, a mio parere, un errore di omissione comune a tutti: la rimozione della questione ospedaliera. Questa rimozione nel caso del documento delle Associazioni è espressamente voluta. Si legge infatti nella sua parte introduttiva questa affermazione: “Nel documento non trovano adeguata trattazione alcuni temi che, per quanto importanti, potranno essere sviluppati in successivi momenti di approfondimento, a partire dall’assistenza ospedaliera, area relativamente più strutturata e organizzata di altre che richiedono invece un consistente e urgente impegno”.
Siccome fare i giri di parole non aiuta nemmeno tra amici (e io mi sento molto amico dello spirito del documento delle Associazioni), voglio ribadire ancora una volta che questa affermazione, e più in generale la rimozione della questione ospedaliera dal dibattito sul Ssn, è fortemente sbagliata dal punto di vista tecnico e quindi politico. Cerco adesso di spiegare perché, a mio parere, la irrazionalità delle reti ospedaliere pubbliche e private contrattualizzate della gran parte delle Regioni costituisce un vero e non trascurabile (nel senso letterale che non può essere trascurato) problema strutturale di sistema con riflessi importanti sia in termini di efficienza nell’uso delle risorse (a partire da quelle umane) che di efficacia e sicurezza delle cure. Lo dico partendo una conoscenza approfondita della realtà marchigiana, sicuramente assimilabile a quella di gran parte del territorio nazionale.
Affrontare la questione ospedaliera nel dettaglio qui è impossibile, ma tra addetti ai lavori (quali i firmatari di tutti i documenti/appello che ho citato e i lettori di Qs) si può procedere schematicamente per punti, il primo dei quali riguarda la consapevolezza circa l’elevato grado di risorse assorbito dalla assistenza ospedaliera. La causa di questa natura energivora degli ospedali risiede negli standard strutturali, organizzativi e tecnologici cui essi debbono rispondere qualora trattino patologie complesse sia in regime di urgenza che programmato, come nel caso di tutti gli ospedali per acuti coinvolti nel sistema dell’emergenza ospedaliera. Questo assorbimento di risorse è determinato in particolare dalla garanzia che questi ospedali debbono dare della copertura delle 24 ore nelle diverse discipline che vi operano. Se poi si tiene conto del fatto che c’è una carenza di specialisti proprio nell’area dell’emergenza/urgenza, diventa inevitabile oltre che logico perseguire una concentrazione dell’attività ospedaliera per acuti come premessa di quella scelta su cui invece convergono tutti: il potenziamento della assistenza territoriale e delle attività di prevenzione/ promozione della salute. Pensare di mettere in funzione a regime Case della comunità e Ospedali di Comunità, oggi in molte Regioni ferme al palo, senza recuperare risorse dal macrolivello ospedaliero più che una ipotesi ingenua è una scelta colpevole.
Il secondo punto riguarda le forme della irrazionalità tecnica delle reti ospedaliere pubbliche (ma anche private) per acuti. Esse schematicamente possono consistere nella:
Il terzo punto riguarda gli effetti negativi di questa “irrazionalità” della struttura della offerta di assistenza ospedaliera nel Ssn. Questo è un primo elenco “a braccio” degli effetti negativi di tipo clinico-organizzativo:
Possiamo tornare adesso alla affermazione del Documento delle Associazioni secondo cui per mettere mano alla assistenza ospedaliera meglio aspettare perché si tratta di un’area relativamente più strutturata e organizzata in modo da dedicarsi a quelle che richiedono invece un consistente e urgente impegno. Alla luce delle considerazioni che ho fatto si tratta di una posizione quasi inspiegabile, ma data l’autorevolezza di chi quel Documento l’ha preparato e condiviso e data la coerenza di questa affermazione con analoghi documenti collettivi altrettanto autorevoli, una o più spiegazioni ci debbono essere. Quella che intuisco è che essendo un tema difficile e impopolare si preferisce rimandare la razionalizzazione delle reti ospedaliere a “dopo” che ci sarà più territorio. Purtroppo se non ci sarà meno ospedale “prima” quel “dopo” non ci sarà mai e si lascerà sempre più campo a quella politica sanitaria di stampo populista tipica della destra, ma con adepti anche a sinistra, che le scelte difficili le rimanda o addirittura le nasconde.
PS Mi sino incredibilmente ricordato solo adesso che la razionalizzazione delle reti ospedaliere è prevista persino dalle norme e cioè dal Decreto Ministeriale 70 del 2015, un Decreto di cui si ha talmente tanta paura che nemmeno a me viene da nominarlo più.
Claudio Maria Maffei