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Meningite. De Gregorio (Gsk): “La vaccinazione è l’unica prevenzione”


I batteri che causano l'infezione colonizzano generalmente il nostro organismo senza conseguenze, ma possono entrare nel sangue e provocare la meningite con un meccanismo ancora sconosciuto: ecco perché è importante vaccinarsi

26 MAR - Con i batteri che causano la meningite che possono essere normalmente presenti nel nostro organismo, l’unica arma per proteggersi contro una malattia che potrebbe essere fatale nel giro di 24 ore è la vaccinazione. Nell’anno della pandemia di COVID-19, però, un po’ a causa dei lockdown nazionali, un po’ per la paura del contagio, gli appuntamenti per la vaccinazione per la meningite sono stati, nella metà dei casi, rimandati o annullati, come evidenziato da un’indagine condotta da Ipsos per conto di GlaxoSmithKline (GSK), presentata il 24 marzo nel corso di un webinar dedicato. Abbiamo parlato dei vaccini per la meningite con Ennio De Gregorio, capo del Research and Development Center italiano di GSK Vaccines, che è intervenuto all’incontro.

“I batteri della meningite possono vivere nella mucosa nasale e solo in alcuni individui, per meccanismi che non conosciamo bene, arrivano nel sangue e provocano la malattia”, ha spiegato l’esperto. I batteri si replicano da soli e “sono diversi dai virus, che devono infettare le cellule dell’organismo per sopravvivere”, ha aggiunto De Gregorio, sottolineando la differenza tra gli individui asintomatici, che trasmettono i virus, e i carrier, ovvero “portatori sani che inavvertitamente possono trasmettere i batteri ad altre persone”.

I batteri che causano la meningite sono di diverso tipo, tanto che “non esiste un vaccino unico per questa malattia”, ha sottolineato il capo del Centro Ricerche GSK di Siena, spiegando la differenza tra i prodotti che proteggono contro il ceppo B e quelli che proteggono, contemporaneamente, da quattro ceppi, A, C W, Y, incluso, dunque, quello C, il più diffuso in Italia. Questi vaccini servono “sicuramente a evitare la malattia”, ha osservato l’esperto, evidenziando, però, che per la sua diversa formulazione, il vaccino per il ceppo C “sembra avere un effetto sui carrier, anche se non provato”. A livello epidemiologico, infatti, “laddove la percentuale di persone vaccinate per il meningococco C è alta, la diffusione del batterio sembra ridursi, mentre per la meningite B, il vaccino protegge esclusivamente la persona dalla malattia”.

Ci sono poi differenze a livello di picchi di diffusione per età, tanto che in Europa e in America, i vaccini per la meningite sono consigliati in momenti differenti. “In Europa ci sono molti più casi tra i cinque mesi e i due anni d’età, per cui l’accento è stato dato soprattutto alla fascia pediatrica, mentre negli USA, la diffusione è maggiore tra gli adolescenti e la somministrazione dei vaccini per la meningite è consigliata solo in questa fascia di età”.
 
Considerando, poi, che la risposta anticorpale, come per tutti i vaccini, tende a diminuire col tempo, “per i ceppi A, C, W e Y si inizia a pensare a un richiamo dopo 5 anni, mentre per il vaccino per il meningococco B, più recente, bisogna aspettare di raccogliere più dati per avere indicazioni precise”, ha spiegato De Gregorio.

Infine, l’esperto ha commentato l’accelerazione data dalla pandemia allo sviluppo dei vaccini, una spinta che secondo De Gregorio, però, “sarà riproducibile solo in parte e riguarderà soprattutto i vaccini per i virus e molto meno quelli per i batteri”. “Ci sono degli elementi, come il fatto di combinare fase II e III di sperimentazione la revisione ‘in tempo reale’ dei dati, che potrebbero aiutare a velocizzazione le approvazioni di tutti i vaccini, anche quelli con tecnologie tradizionali”, ha concluso De Gregorio sottolineando, però, che a livello di tecnologie sviluppate per il COVID-19, “sia l’RNA che i vettori virali non sono appropriati per i vaccini contro i batteri, quindi è difficile, anche se non è escluso, che queste tecnologie verranno sfruttate in questo campo, in futuro”.

26 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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