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Per la politica la sanità è di nuovo passata in secondo piano

di Americo Cicchetti

Pur rappresentando un pilastro del welfare nazionale e nonostante una pandemia ancora in corso, il tema della salute è invece quasi scomparso dalla campagna elettorale delle forze politiche alla luce di altre gravi emergenze, quali la guerra in Ucraina, l’inflazione galoppante e la crisi energetica che catturano l’attenzione dei cittadini più che la stessa salute

06 SET -

La tragedia della pandemia ha fatto riscoprire l’importanza del Servizio Sanitario Nazionale pubblico, universalistico e gratuito al punto di cura. Il tema è stato al centro dell’attenzione per moltissimi mesi e l’ondata emotiva conseguente al lock down aveva lasciato sperare nella definitiva affermazione del SSN quale primo e vero pilastro del welfare nella scala dei valori dei cittadini, delle istituzioni e della politica.

Ci eravamo convinti che l’idea di riformare e tornare ad investire nel sistema sanitario e nello sviluppo del suo indotto industriale fosse la naturale conseguenza della definitiva consacrazione dell’SSN quale patrimonio nazionale.

Pur rappresentando un pilastro del welfare nazionale e nonostante una pandemia ancora in corso, il tema della salute è invece quasi scomparso dalla campagna elettorale delle forze politiche alla luce di altre gravi emergenze, quali la guerra in Ucraina, l’inflazione galoppante e la crisi energetica che catturano l’attenzione dei cittadini più che la stessa salute.

In questi giorni qualcuno, nel bailamme della comunicazione e per accaparrarsi “attenzioni” da parte di chi sarà chiamato a governare, ha suggerito di investire nello sport per ridurre l’investimento sulla salute: l’opposto dell’idea della “salute in tutte le politiche” o della prospettiva della “one health” che solo due anni fa l’Italia aveva portato al centro dell’attenzione durante il G20 di Roma.

In qualche modo l’aver inserito il tema della salute nel PNRR con investimenti per 16 miliardi (su 194 complessivi) e riforme nella medicina territoriale e la ricerca biomedica, è sembrato sufficiente a tacitare qualsiasi ulteriore richiesta di attenzione da parte di chi il servizio sanitario lo usa, ci lavoro e ci investe. I fondi e le riforme del PNRR non saranno però sufficienti a salvare il Servizio sanitario nazionale, oggi di fatto in pericolo, forse più di due anni fa.

Infatti, la quantità di risorse disponibili (quasi 16mld), seppur cospicua, appare non sufficiente. Secondo alcune stime del MdS servirebbero 14 mld di euro solo per l’adeguamento degli ospedali già esistenti alle norme antisismiche.

Nella realtà dei fatti, la sanità in Italia continua ad essere sottofinanziata se si prende come riferimento il livello di spesa degli altri 4 paesi del continente europeo con i quali amiamo confrontarci, ovvero Regno Unito, Francia, Germania e Spagna. I dati pubblicati dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica, stimano in 37 miliardi il gap che ci separa dal livello medio di finanziamento di questi paesi. Il sistema di reclutamento dei professionisti della salute appare antiquato e legato a logiche che non sono in grado di premiare professionalità e merito.

Il Ssn perde infatti appeal tra i giovani laureati in medicina e chirurgia che scelgono la via dell’estero o del privato-privato, per non essere oppressi da burocrazia e medicina difensiva. Il nodo della medicina di famiglia è ancora da sciogliere così come siamo ancora in attesa di un vero e proprio programma nazionale di valutazione delle tecnologie sanitarie che garantisca ai cittadini la tempestiva disponibilità delle innovazioni di “valore”.

Lo squilibrio tra nord e sud nelle dotazioni e nella qualità dei servizi è purtroppo ancora evidente alimentando una mobilità passiva spesso patologica. In un paese con la popolazione che invecchia e con tassi di fecondità tra i più bassi d’Europa, la risposta fornita dal modello delle RSA è certamente da rivedere ma non è ancora stata definita una politica alternativa.

Infine, il ruolo dei pazienti e dei cittadini nelle decisioni di politica sanitaria: non esiste un chiaro modello di coinvolgimento che sia in grado di garantire rappresentatività e indipendenza.

Tra gli operatori del settore da anni si parla di “sanità come investimento” e non come spesa e dell’importanza di una migliore integrazione tra settore pubblico e filiera industriale della salute, ma sono state poche le politiche che hanno cercato di trasformare uno slogan in un nuovo modo di gestire la sanità.

Questi sono i nodi ancora da sciogliere da affrontare avendo il coraggio di distruggere rendite di posizione e anche alcune “istituzioni” per sostituirle con soluzioni più efficaci. Cinque gli ambiti di intervento a nostro avviso.

Le questioni da affrontare sono molteplici e la prossima legislatura non può non prevedere una profonda riforma del sistema. Ne siamo tutti consapevoli?

Americo Cicchetti

Direttore Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari - Facoltà di Economia dell’Università Cattolica, sede di Roma



06 settembre 2022
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