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I programmi dei partiti sulla sanità sembrano un racconto di fantascienza

di Diego Foschi

Quello che colpisce nel quadro attuale è la mancanza di dibattito, l’assenza di richieste da parte degli elettori (le Società Scientifiche stanno facendo la loro parte) e di risposte da parte di chi domani guiderà lo Stato.

13 SET -

In un momento così difficile della nostra vita nazionale, stretti fra gli annunci di una crisi economica inflazionistica, gli echi di una guerra reale e di una commerciale, non ancora del tutto usciti dall’emergenza pandemica, ci interroghiamo sul nostro futuro e su come affrontare i problemi che maggiormente ci affliggono. Per noi chirurghi, il degrado del Servizio Sanitario Nazionale ha un posto centrale. La crisi del nostro “Welfare” ha origini lontane, in anni di ridimensionamento economico e d’incuria che hanno avuto effetti devastanti. La Pandemia ha fatto da indicatore, rivelando tutte le incongruenze e l’impreparazione di un sistema amministrativo e dirigenziale di nomina politica, ma errori gravi sono stati fatti anche dai vertici della Sanità. Ad oggi, 176.000 morti, 22 milioni di malati, 140 milioni di vaccinazioni, la necessità di ricorrere all’Esercito che in questa difficile circostanza ha fortemente contribuito alla salvezza del paese, il lungo periodo di coprifuoco nazionale attuato per allentare la pressione sugli Ospedali, ci dimostrano che il recupero dell’assistenza sanitaria è un’esigenza prioritaria.

Negli ultimi mesi abbiamo avanzato come Collegio Italiano dei Chirurghi, in seno al “Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani” (FoSSC), proposte concrete alle autorità ministeriali per iniziare un percorso che dia certezza di cura a chi sta male. Come chirurghi sappiamo che la diminuzione delle risorse determinata dal COVID ha portato a una crisi delle prestazioni d’urgenza e di pronto soccorso, ad un accumulo d’interventi non eseguiti da smaltire, ad un allungamento incredibile delle liste di attesa sia per prestazioni diagnostiche che per interventi chirurgici, anche in campo oncologico.

Le cause sono tante e complesse: scarsa considerazione per la professione medica e assistenziale, diminuzione delle risorse, errori di programmazione nell’ambito della formazione dei medici e degli specialisti, mancata o scarsa protezione personale, medico-legale e assicurativa, norme e leggi che riversano sul professionista gli oneri di sicurezza del sistema, bassi stipendi, alti balzelli contributivi, poca trasparenza e chiarezza nell’informare compiutamente gli utenti. Su tutti questi temi abbiamo fornito chiarimenti e avanzato proposte concrete, ma negli ultimi tre anni non si è fatto praticamente nulla per rimediare a tutto ciò. La narrazione ministeriale dice che la dotazione sanitaria è aumentata di dieci miliardi, ma tace che solo per la crisi COVID se ne sono spesi oltre il doppio e questo significa che al netto di ciò lo stanziamento è diminuito. Per quanto riguarda medici e specialisti, è vero che l’arruolamento è stato ampliato ma è anche vero che ci vogliono sei anni per fare un medico e altri cinque (in genere) per fare uno specialista e nel prossimo periodo aumenteranno i pensionamenti e le fughe all’estero.

Perché un medico, la cui formazione è costata un’enorme quantità di denaro pubblico, se ne va all’estero? Perché è pagato molto meglio, lavora con maggiore soddisfazione, e corre molti meno rischi personali (quanti sanitari oggetto di violenza nei PS!!!), legali (solo in Italia il medico è un criminale fino a prova contraria) e assicurativi (la contestazione di colpa grave è un meteorite che ti può colpire in ogni momento). Abbiamo chiesto che i medici venissero sollevati dagli obblighi burocratici e amministrativi, perché il personale di supporto si trova facilmente e a minore costo, mentre i medici non ci sono e non ci saranno. Ogni minuto sottratto alle cure è un minuto perso. Dare maggiore spazio alle donne medico, che vengono aiutate a dedicarsi alla famiglia e ostacolate nella loro attività clinica. Abbiamo chiesto che i medici vengano definitivamente sollevati dal giogo medico-legale, completamente tutelati dalle strutture d’appartenenza in campo assicurativo… ma non è successo e non succederà nulla. Abbiamo chiesto che vengano resi pubblici i risultati clinici conseguiti dai diversi ospedali in modo che la gente possa scegliere dove andare senza correre rischi e premiando il merito. I dati sono elaborati annualmente da AGENAS e renderli pubblici è solo questione di trasparenza e volontà… Chi sa quando?

E oltre ai medici mancano anche le strutture. La disponibilità di letti per numero di abitanti è al ventitreesimo posto in Europa e la capacità di utilizzarli del tutto insufficiente. Gli Ospedali sono stati accorpati, i reparti e i servizi di diagnosi sono stati ridotti e depotenziati. Tutto ciò poteva avere senso aumentando l’efficienza del sistema, ma è avvenuto l’esatto contrario e per un piccolo risparmio si è creato un grande disservizio.

Durante il periodo della Pandemia, tutti i partiti hanno dichiarato che avrebbero potenziato la Sanità ma in questi tre anni non è successo nulla di significativo. Ora finalmente abbiamo il progetto del PNRR che è un pacchetto di finanziamenti calibrato sulla base delle disposizioni di Bruxelles, calato sulla nostra realtà senza alcuna verifica. Avremo un investimento sanitario improntato su due grandi voci: edilizia e tecnologia. I progetti però riguarderanno gli ospedali di comunità e le case di comunità, strutture della medicina territoriale, e le grandi attrezzature di diagnosi e cura (prevalentemente radiologiche). Ma costruire muri non significa avere ospedali, che hanno bisogno di personale e competenze che non ci sono. E davvero è più utile rinnovare le apparecchiature radiologiche, quando le nostre sale operatorie vanno a pezzi?

Pensavamo di trovare la risposta a questi quesiti nelle proposte dei partiti e invece ci troviamo di fronte a programmi generici ed elusivi. È bello pensare che la politica rinunci a gestire i concorsi negli Ospedali, ma non è successo negli ultimi 70 anni ed è improbabile che accada nei prossimi 70. Certo che le politiche regionali sulla sanità hanno efficienza diversa da Regione a Regione, ma davvero la soluzione sta nell’abolire la Sanità regionale o nel differenziare il rapporto gerarchico fra centro e periferia? Abolire il numero chiuso a Medicina al primo anno? Sarebbe possibile solo decuplicando le aule e le cattedre dedicate, in sostanza aumentando la durata del corso di studio pre-laurea visto che il Corso di Laurea vero comincerebbe dal secondo anno. E come sarà possibile riportare il finanziamento sanitario ad un livello europeo, magari diminuendo le imposte? Ma quale Europa: la Germania con 4.500 euro pro capite o Malta che con 2.889 (dati 2020) comunque spende più di noi? Azzerare le liste d’attesa entro il 2027? Programma relativamente ambizioso, ma se mi ammalo domani… Che faccio?

Quello che colpisce nel quadro attuale è la mancanza di dibattito, l’assenza di richieste da parte degli elettori (le Società Scientifiche stanno facendo la loro parte) e di risposte da parte di chi domani guiderà lo Stato.

l programmi dei nostri partiti in tema di sanità sembrano un racconto di fantascienza, ricco di sogni e di buone intenzioni per un futuro distopico, ma la realtà è un’altra cosa: le malattie ci sono e vanno curate… ora e qui.

 

Prof. Diego Foschi

Presidente del Collegio Italiano dei Chirurghi

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13 settembre 2022
© Riproduzione riservata


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