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La Dirigenza medica per "matrix divina" non tiene più

di Luca De Marzio

16 NOV - Gentile direttore,
ho letto le diverse lettere pubblicate nella sua rubrica, che con modi, toni e contenuti diversi esprimono alcune criticità e malesseri non completamente colti e non debitamente espressi sullo status delle professioni sanitarie. Si può così addivenire al fatto che le diverse posizioni esprimono punti critici propri dell’organizzazione del lavoro nel comparto sanitario Italiano.
 
Una anomalia del tutto evidente in Italia, nel lavoro in sanità, è la seguente: qualsiasi laureato in medicina ancorchè al primo giorno di lavoro e solo per il fatto di essere laureato in medicina è inquadrato come dirigente, fatto del tutto anomalo in ogni organizzazione del lavoro e unico al mondo. Questo in carenza assoluta, sia di esperienza che di un “magico” iter formativo atto a far si che un dipendente di prima nomina riceva da una entità “santa” la nomina di dirigente. Questo continua in sorte, in esito a una vetustà normativa risalente a fine anni ’90. La lobby medica in quegli anni si configurò in corporazione e chiese e ottenne considerevoli privilegi economici e di carriera rompendo il C.C.N.L. unico che teneva tutti insieme in un unico contratto, tutti i lavoratori della sanità, garantendo agli stessi pari dignità.
 
Da allora l’Italia è cambiata e alla data odierna tutto il personale del comparto sanità, piaccia o meno è laureato e molti non si sono fermati al I° livello ma sono andati avanti con le lauree specialistiche, i dottorati e i master.
La nomina della Dirigenza medica, “per matrix divina” non tiene più, né sociologicamente, né organizzativamente, né politicamente. Andrà inoltre sempre più deteriorandosi, perché: come può essere giustificato agli occhi di chi è anche lui laureato, magari con titoli ed esperienza, consistente e provata, che dei lavoratori “pivelli” e incompetenti abbiano un inquadramento dirigenziale del tutto regalato e non rispondente in termini reali di capacità?
 
E poi sempre nel merito dell’organizzazione, sarebbe verosimilmente adeguato e più giusto che si tornasse come un tempo al fatto che uno solo: il primario, era il vero e unico dirigente dell’organizzazione gerarchica e scientifica, ora abbiamo una pletora di dirigenti, del tutto inoperanti in tal verso e spesso in numero pari alla “truppa”, come può tenere una simile organizzazione?
Quindi per non stare nel vago, caliamo una proposta nella realtà organizzativa: assumendo che le competenze mediche sono primariamente di natura diagnostica e prescrittiva e che nessuno le pone in discussione, assumiamo che un Primario ha funzioni Dirigenziali Gestionali e organizzative di una Unità complessa e che perciò riceverà retributivamente una indennità di funzione primariale, gli altri medici trasformano e conservano le attuali retribuzioni con una indennità medica distinta per livelli e perciò non è giusto, né necessario che siano anche loro dirigenti se non lo fanno. Se uno vorrà diventare primario, si farà, come è giusto, la relativa formazione gestionale e manageriale con concorso nazionale, come una volta, mentre oggi i medici procedono solo per anzianità di servizio; il chè, attualmente, non è selettivo per competenza e merito.
 
Si torni ad un contratto unico di tutto il personale sanitario, necessitato dai mutamenti socioculturali e organizzativi e lo spazio per lavorare in modo gratificante c’è e ci sarà per tutti, come c’è sempre stato, del resto i quadri intermedi del comparto e i Dirigenti non medici provenienti dal comparto non mi pare creino disturbo come taluni descrivono in lettera né vedo un attacco al potere medico in atto, anche considerando che c’è una lobby parlamentare di 250 soggetti che difende la corporazione.
 
Io spero in una riorganizzazione del lavoro che risolva le tensioni motivatamente presenti e spesso non dette con falso pudore, ma considero ancora più importante che medici e infermieri continuino a curare bene, in comunità d’intenti e con il più basso tasso di errori.
Le chiacchere le lascio alle chiacchere e per il resto, essendo italiano, credo che quanto ho scritto non troverà attuazioni, perché conosco i limiti propri dell’ambito Italiano.
 
Dr. Luca De Marzio
Psicologo delle organizzazioni e bioeticista

16 novembre 2012
© Riproduzione riservata

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