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Riforma Ordini. Gli infermieri in corsia hanno poco da gioire

di Marcella Gostinelli

07 GEN - Gentile Direttore,
non provo entusiasmo per l’approvazione del DDL Lorenzin ,nello specifico dell’art.4. Non sono entusiasta per tanti motivi. Sopra a tutti gli altri motivi, che cercherò di spiegare di seguito, sicuramente c’è quello che nasce dalla consapevolezza che la norma di per sé non è sufficiente a cambiare le cose, e la mancata declinazione della  legge 42 del 1999 in un progetto conseguente non  mi permette di pensare altrimenti e di  avere quella  fiducia nel sistema che servirebbe per poter essere soddisfatti.
 
Chi avrebbe dovuto realizzare un progetto per declinare la legge  in attività concrete, ed in modi di essere coerenti, è lo stesso che oggi, cosi come ieri per la 42, gioisce. Chi lavora nelle corsie non ha gioito  ieri – perché, lontano da chi lo rappresentava e lo gestiva, non ne poteva cogliere l’opportunità -   e neanche oggi, perché  per 18 lunghi anni non ha fatto altro che perseguire “il bene”, lavorando moltissimo, continuando ad  essere ciò che per  legge non era più ,ma che la prassi invece lo obbligava  ad essere. Altri, i più fortunati, diciamo cosi, si sono sistemati ed hanno goduto di quello che sono riusciti ad  avere.
 
L’infermiere anonimo, quello di corsia, a furia  di cercare la propria vera identità, continuando a lavorare molto ed in solitudine,   non è riuscito a fare altro che spingere il proprio “pendolo” lontano da dove si trovava, il centro reale; cosa ,questa, , che lo ha portato a provare frustrazioni, ingiustizie e amarezze e ad oscillare necessariamente nella direzione opposta, “il male”. Il male è oggi per un infermiere di corsia non riuscire a fare il proprio dovere, pianificare, personalizzare l’assistenza , differenziare i bisogni, considerarli portati da identità differenziate. Il pendolo dell’’infermiere di corsia oscilla cosi tra il male che vive ed il bene che vorrebbe, allontanandosi sempre di più dal centro reale del pendolo, il malato e la sua realtà. Suo malgrado.
 
Tra i compiti di legge (DDL Lorenzin ) dell’ordine professionale c’è quello  ( punto c ) di “promuovere e assicurare l’indipendenza , l’autonomia e la responsabilità delle professioni e dell’esercizio professionale, la qualità tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei princìpi etici dell'esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva. Non svolgono ruoli di rappresentanza sindacale”.
 
Questi compiti mettono in evidenza quanto la professione infermieristica sia culturalmente e fattivamente regressiva, rispetto ai luoghi di cura, anche per il legislatore.
 
La promozione della indipendenza e della autonomia è infatti un richiamo a qualcosa che avrebbe già dovuto essere e non è stato. Era già facoltà dei collegi e dei dirigenti infermieristici, tale promozione, e della federazione verificarlo. Lo stesso dico per la valorizzazione della funzione sociale; in realtà la società civile ci valorizza per il nostro “supplemento di anima” ed il” nostro buon cuore” e non  per gli esiti del nostro assistere, non conosciuti perché non richiesti  se non per valutare il” buon cuore” infermieristico in termini di  customer satisfaction.
 
Nessun coordinatore si sogna di indicare , nella pianificazione, che ci impediscono di fare, e che non pretendiamo di fare, gli indicatori di esito dell’intervento assistenziale; nessun dirigente infermieristico chiede ai coordinatori aziendali di poterli verificare. Gli stessi coordinatori vengono valutati per obiettivi che niente hanno a che fare con gli esiti assistenziali.
 
Dirigenti e coordinatori d’altra parte sanno di non poterli richiedere agli infermieri se vogliono continuare a fare ciò che fanno.
 
La retorica della “salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici ,al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva” è diventata come quella “del malato al centro” serve solo a placare alcune  coscienze. In realtà la salute collettiva e la sua tutela è un’altra novella che ci raccontiamo per il mantenimento di una funzione infermieristica ancora una  volta più  orientata al senso del dovere che a quello di  autonomia ed efficacia professionale.
 
Esistono, infatti,  11 milioni di persone che non si curano più, esistono comunità con mappe di disagio socio –sanitario, definite e conosciute nei diversi enti comunali, ed  in evoluzione, per le quali  l’infermiere potrebbe davvero mediare, in modo organizzato, tra istituzione e diseguali,  e non viene ancora richiesto, pensato, nelle politiche pratiche, per poterne già osservare gli esiti.
 
Tra i compiti si citano anche il rispetto dei principi del proprio codice deontologico  per la salvaguardia e la tutela della salute individuale e collettiva . Non posso fare a meno di ricordare la fine che ha fatto la bozza di Codice deontologico prodotto dalla Federazione; bozza  che è servita solo a fare campagna elettorale e poi messa via senza alcun resoconto sullo critiche o le note ricevute.;  è stato  ignorato del tutto, invece, un codice deontologico , quello del collegio di Pisa, nato a partire dai problemi e dalla questione infermieristica e che  ci identificava per quello che avremmo già dovuto  essere. Siamo cosi  fermi ad un codice che , prodotto dopo la legge 42 del 99,nel suo ammodernamento  non è stato neanche capace di raccogliere l’opportunità della legge per identificarci come dei veri professionisti ,figurarsi se dopo 18 anni può essere quanto a cui riferirsi per capire chi siamo in realtà e per fare il nostro dovere.
 
E’ però anche vero che tutti hanno manifestato grande entusiasmo per questa riforma attribuendogli un valore ed un fine politico, ciò che darà forza, potere, alla professione  infermieristica e ciò che grazie a quel potere si riuscirà  a fare. Io, invece, è proprio un valore politico che non riesco a dargli, non nel senso di politica che io intenderei, almeno. Per avere un valore politico infatti dovrebbe  avere un carattere anche di inclusività; a questo proposito  mi chiedo  “quanti infermieri trarranno beneficio da questa riforma” (Chiara D’Angelo, Diventare infermiere per essere infermiere, 2017)?
 
Dal mio punto di vista rispondo: “i soliti”,  o comunque non tutti; e  se solo i soliti trarranno vantaggio, o non tutti, i fini di quelli “altri dai soliti”, non essendo un gruppo organizzato, chi li porterà avanti? Le mete della comunità infermieristica sono tante e diverse ed il potere è uno con fini diversi.
 
Il fatto poi che l’Ordine sia oggi un ente sussidiario (verticale-orizzontale) non aiuta certamente il gruppo non organizzato dei più. Di questi colleghi  ancora meno soggetti se ne prenderanno cura.
 
Conforta non aver sentito nel coro dell’entusiasmo la voce del sindacato della professione, Nursind. Anche questo è un segno.
 
Non gridare di gioia non significa schierarsi contro, significa che si poteva fare di più, in modo infinitamente più chiaro, più inclusivo, condiviso ed entrando nel merito dei problemi reali delle professioni come richiedeva anche Fnomceo.
 
L’entusiasmo, in genere, si riserva a qualcosa di compiuto, sarò entusiasta soltanto quando le prassi ci consentiranno di prendere atto che siamo , tutti, anche per la politica pratica, dei professionisti.
 
Fino a quel momento, per rispetto di chi lavora come non vorrebbe e per rispetto del famoso malato al centro  sarebbe bene esercitare  sobrietà.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera

07 gennaio 2018
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