Gentile Direttore,
la riforma della medicina territoriale è legge. Ieri infatti è stato pubblicato in gazzetta ufficiale l’ormai tristemente famoso DM 71, (in realtà DM 77) nel suo impianto originale, senza variazioni di merito rilevanti almeno a una prima lettura.
Nonostante il tentativo di qualcuno (pochi per la verità) di evidenziarne le problematiche (molte), nel silenzio di quanti avrebbero dovuto e potuto intervenire e in modo del tutto “ineluttabile” si è concluso l’iter di riforma che detterà l’impianto dell’assistenza territoriale nei prossimi anni.
Non è dato di sapere come verranno declinate le varie voci previste e mentre si può immaginare che basterà avere disponibilità di soldi per costruire le case di comunità e comprare le strumentazioni previste (ecografi, elettrocardiografi, spirometri e quant’altro) molto difficile è capire con che personale si “riempiranno “ tali case.
La carenza di personale, medici in primis, sta mettendo in ginocchio il nostro SSN già ora: mancano un numero innumerevoli di medici di famiglia per pensionamenti e abbandoni (solo in Veneto più di 500), gli specialisti abbandono in massa gli ospedali e si porta avanti un progetto che sembra ignorare la realtà: medici disponibili 12 ore al giorno 7 giorni su 7, specialisti che lavorano nelle case di comunità (quando già ora non riescono a garantire le visite negli ospedali), infermieri disponibili 7 giorni su 7, assistenti sociali, psicologi per una serie di obiettivi di tutto rispetto.
E ancora: prevenzione e tutela della salute, presa in carico della cronicità e fragilità, garanzia della continuità dell’assistenza anche attraverso il coordinamento con i servizi sanitari territoriali, attivazione di percorsi multidisciplinari, coinvolgimento delle comunità locali e dei cittadini.
Il tutto mantenendo alto lo standard dell’assistenza che deve essere “declinata nelle sue varie dimensioni (es. appropriatezza, sicurezza, coordinamento/continuità, efficienza, tempestività)”.
Senza contare la prevista incentivazione dell’assistenza domiciliare perché “la casa viene individuata come primo luogo di cura, quale setting privilegiato dell’assistenza territoriale”.
Non so se solo a me sembra un bel libro dei sogni. Oggi fatichiamo a fare eseguire esami con priorità, le nostre richieste “galleggiano” in liste che non si sa bene quando verranno prese in esame e la gente finisce per rivolgersi sempre più al privato; trovare un posto in un ospedale di comunità è una chimera e l’assistenza domiciliare arranca con difficoltà per mancanza di forze … ; chissà perché ho il dubbio che questa riforma non risolverà tutto questo e che finirà per restare nella carta come spesso è accaduto in passato.
Forse è proprio per questo che i sindacati non se ne sono preoccupati più di tanto … confidano nell’italica “tutto cambia perché nulla cambi”.
Del resto in questi giorni il dr. Belleri in un suo intervento (Qs 22 giugno), con una sintesi succinta in 5 punti, ci ha illuminato su come il destino del medico di famiglia era ed è ineluttabile e la sua fine ampiamente prevedibile visti i cambiamenti socio culturali (aumento delle specializzazioni, sviluppo tecno-scientifico, diffusione del web…) verso cui evidentemente nulla si poteva.
Nessuna responsabilità quindi da parte di chi ha governato e governa la professione, nessuna colpa da attribuire ai sindacati… che si può fare contro il destino che si è accanito contro la nostra professione? Siamo vittime designate di un mondo cattivo che ci vuole vedere scomparire.
Difficile crederci per davvero, vorrebbe dire riconoscere che i nostri sindacati non hanno mai contatto nulla e noi abbiamo mantenuto un apparato solo per il gusto di farlo.
Ornella Mancin