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Salute mentale ed elezioni. Le domande scomode

di Andrea Angelozzi 

31 AGO -

Gentile Direttore,
ho letto su Quotidiano Sanità le varie proposte formulate dai partiti in materia di Salute Mentale e mi ha colpito l’assenza di qualunque riferimento al problema della massiccia privatizzazione in atto anche in questo ambito. 

È stato pubblicato recentemente su The Lancet un complesso studio svolto in Inghilterra che segnala come la privatizzazione dei servizi sanitari abbia portato ad un incremento della mortalità che poteva essere invece evitata, in relazione - a parere degli autori - ad una perdita di qualità nella erogazione dei servizi.

È un dato che pone molti interrogativi circa la realtà Italiana dove assistiamo ad un progressivo cedimento del Servizio Sanitario Nazionale a favore di una sanità privata.

Si tratta di un dato importante anche nell’ambito della salute mentale. Non conosco i dati nazionali se non per il riferimento portato dal Presidente Forum-Aupi su Quotidiano Sanità dove segnalava che metà del finanziamento nazionale in questo ambito va di fatto ai privati. Il tentativo di quantificare questo dato in una singola Regione – il Veneto -  trova problemi nella difficoltà a ricevere i dati richiesti alla Regione, come già segnalato su Quotidiano Sanità. Tuttavia alcuni elementi per una valutazione, per quanto approssimata e per difetto, ci sono.

La DGRV n° 1673/2018 con la quale viene riorganizzata la residenzialità extraospedaliera in salute mentale definisce al suo interno alcuni parametri, indicando in oltre 59 milioni di Euro la spesa per i servizi acquistati dai privati. In questo calcolo mancano fra l'altro alcune nuove strutture di cui era stabilita la istituzione.  Le Case di Cura private, in base all’art 15 della Legge Regionale n. 23/2012 Piano Socio-Sanitario 2012/2016 devono poi pubblicare i finanziamenti ricevuti dalla Regione per le loro prestazioni, che ammontano a oltre 22 milioni di Euro per il 2021. Anche in questo caso si tratta di una cifra per difetto perché di una struttura che ricovera non solo in salute mentale, non è possibile scorporare il finanziamento specifico, che quindi non è stato conteggiato; e manca anche la spesa per i ricoveri con diagnosi psichiatrica in struttura privata non specialistica e quelli fuori Regione. Difficile anche il calcolo per le strutture semiresidenziali, dove tuttavia la presenza di un 42% di posti letto privati suggerisce che, su una spesa complessiva indicata dal SISM per l’anno 2020 di oltre 25 milioni, siano circa 10 milioni quelli che vanno ai privati.

Il tutto indica una spesa di oltre 92 milioni di Euro all’anno, su una spesa complessiva che sempre il rapporto SISM indica in 209 milioni. Si tratta cioè come minimo del  44% della spesa totale.

A questo punto si pongono alcune domande.

La prima è perché quest’aspetto non sia, come invece meriterebbe, al centro della riflessione psichiatrica e politica.

La seconda se esistono dati chiari relativamente alla situazione nelle diverse Regioni che permettano, con valutazioni quantitative e confronti più ampi, di capire se si tratta di una vicenda regionale o di una precisa scelta in ambito nazionale.

La terza è se questo aspetto diventa un problema specifico nell’ambito della salute mentale, di cui peraltro nessuno parla. La Legge 180/1978, come peraltro i Progetti Obiettivo Nazionali delineano infatti un modello di organizzazione dei servizi fortemente orientato ad una gestione pubblica, che permette quella complessità ed integrazione necessarie per le specifiche garanzie essenziali per la la comunità e lo stesso cittadino che fruisce di questi servizi.

Al di là delle tante possibili integrazioni organizzative fra pubblico e privato, che vengono proclamate come un costante ritornello, rimane il dubbio di come si sviluppi la loro concreta attuazione a fronte delle diversità dei soggetti in gioco, non solo nello logiche di funzionamento, ma anche nelle finalità, dove le regole private del profitto e del mercato dovrebbero convivere con l’obbligo pubblico di erogare le necessarie prestazioni essenziali in base ai principi ispiratori del SSN. E' lecito domandarsi se queste dissonanze possano favorire una lontananza dalla legge di riforma; come pure quale rapporto abbiano con la L. 180/1978 le Case di Cura, che operano in maniera indipendente dai DSM e nulla hanno a che fare con la logiche territoriali di di psichiatria di comunità. 

Ed ancora: esistono valutazioni che mostrano quale è l’andamento negli anni di questo binario che da doppio sta diventando sempre più asimmetrico, con un impoverimento della struttura pubblica che rischia di trasformarsi in un binario morto ed un privato invece sempre più florido? La privatizzazione pone sotto una luce diversa anche la difficoltà di reperire personale medico, sulla quale già pongono quesiti importanti i dati sulle dimissioni dalle USL, come già indicato in lettera recente a Quotidiano Sanità o il confronto fra gli specialisti esistenti negli Ordini dei Medici e quanti lavorano nell’ambito pubblico. Mancano specialisti o mancano per il pubblico? Non è la stessa cosa ...

Ed infine, ma forse la più importante, se siano state fatte valutazioni in Italia sull’impatto di questo doppio binario gestionale non solo sugli aspetti economici a medio e lungo termine ma anche sulla salute dei cittadini in generale e nella salute mentale in particolare. Quale è cioè il prezzo reale che i cittadini pagano per un modello di pensiero che - per motivi che andrebbero approfonditi - predilige la delega semplificante rispetto alla gestione della complessità?

Domande, forse un po’ scomode, che a quanto pare sono al di fuori della riflessione della politica. 

Andrea Angelozzi 

Psichiatra



31 agosto 2022
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